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Spesa

Vi spiego perché per Tria il sentiero della manovra è stretto

Il commento dell'economista Giorgio La Malfa su numeri e rapporti fra ministro dell'Economia, Giovanni Tria, e i leader di M5S e Lega in vista della manovra

Anche senza conoscere i termini precisi delle discussioni in seno al governo circa la prossima manovra finanziaria e senza prendere troppo sul serio le richieste o minacce di dimissioni annunciate e smentite intorno al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, non è difficile immaginare che tipo di legge di bilancio emergerà nelle prossime settimane e quali prospettive ne discenderanno per l’economia italiana.

Il punto dal quale partire in questa esplorazione è che i partiti della maggioranza sanno benissimo che non possono permettersi di mandare via il ministro dell’Economia: troppi i rischi di esplosione dello spread. A livello politico la maggioranza ne è già consapevole, come si vede dalle dichiarazioni dei due leader della coalizione negli ultimi giorni, anche se non tutti dentro i rispettivi partiti se ne sono ancora resi conto. Comunque, per renderglielo più chiaro vi è stato ieri l’intervento, come si diceva un tempo, della cavalleria nella persona del Presidente della Bce Draghi ed anche le rozze dichiarazioni del Commissario Moscovici.

Pertanto Tria avrà via libera per scrivere un bilancio che sta più o meno nei limiti previsti dagli accordi precedenti con la Commissione Europea. Una cifra abbastanza vicina, intorno al 2%. Probabilmente Tria dirà che vuole stare un po’ sotto il 2. Di Maio e Salvini strilleranno e alla fine sarà all’incirca il 2. A quel punto la Commissione Europea, pur avendo costretto alla resa il governo Conte, fingerà di protestare per qualche decimale in più, ben sapendo che di fatto non è da scostamenti di questo ammontare che possono nascere i problemi.

Queste le cifre dei cosiddetti saldi. Dentro questi saldi, dovendo anche evitare gli aumenti dell’Iva, rimane poco spazio per cose nuove. Nel merito della manovra vi saranno salti mortali e capriole dialettiche. Alla fine Tria dovrà cedere alla retorica dei partiti di maggioranza, i quali chiedono spese correnti sotto forma di pensioni a un’età più bassa e sgravi fiscali (la Lega) e reddito di cittadinanza (i Cinque stelle).

Se dicesse davvero di no, magari per difendere l’idea di maggiori investimenti pubblici, probabilmente la coalizione non reggerebbe. Ma non è difficile prevedere che Tria si accontenterà di avere “salvato” i saldi e cercherà una soluzione “costruttiva” con la coalizione. La logica politica della situazione è che se Tria trova i soldi per le richieste di un partito dovrà trovarne altrettanti per le richieste dall’altro partito. Di che cifre si tratterà? Di cifre comunque compatibili con il deficit più o meno convenuto con la Commissione, cioè qualche punticino decimale.

Non grandi cifre, ma per trovarle Tria dovrà rinunziare del tutto ai propositi di rilanciare gli investimenti pubblici, cioè all’unica cosa seria dal punto di vista del sostegno alla ripresa economica del cosiddetto contratto di governo. Vi saranno frasi retoriche e molto fumo negli occhi, sotto forma di cifre buttate lì. Ma in realtà il blocco degli investimenti pubblici risolve anche il vero conflitto fra Lega e 5 Stelle sugli investimenti: se non ci sono i soldi, gli uni potranno continuare a difendere le grandi opere pubbliche e gli altri ad attaccarle, ma non litigheranno davanti ai cantieri aperti perché di cantieri non ce ne saranno.

L’esito di questa mediocre commedia? La totale continuità rispetto alle politiche della scorsa legislatura. Una crescita economica che continuerà ad essere asfittica, un rapporto fra debito pubblico e PIL che non diminuisce, come è avvenuto in tutti questi anni. Anche l’attuale ministro dell’Economia prometterà che la discesa del rapporto comincerà nel terzo anno di bilancio, in questo caso nel 2021, salvo spostare ogni anno, come il suo predecessore, il traguardo all’anno successivo. La Commissione Europea fingerà di credere a questi impegni, anche perché sa che, a un certo punto, quando gli interventi della BCE saranno definitivamente conclusi, i problemi nasceranno dai mercati.

Dunque tutto è cambiato sul piano politico, ma nulla cambia nella tradizionale rassegnazione di un paese che non riesce a darsi una politica che solleciti e favorisca una ripresa economica più vigorosa. E subisce quindi un declino inarrestabile per mancanza di un programma politico adeguato. Naturalmente queste che si sono fatte sono pure ipotesi. E’ possibile e soprattutto sarebbe auspicabile che le cose non vadano così e che i documenti di bilancio ci raccontino una storia diversa e migliore. Del resto questo è il senso del voto con cui gli elettori hanno condannato la classe politica del precedente governo. E dunque conviene attendere con fiducia. Si tratta solo di pochi giorni.

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