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Confindustria Bonomi Meloni

Sorpresona, la Confindustria di Bonomi è sempre più meloniana

Non solo su Stellantis, la Confindustria a guida Bonomi dimostra sintonie evidenti con le posizioni dell'esecutivo di Giorgia Meloni. Fatti, tesi e sorprese

«La Ue ha puntato ad essere i primi in sostenibilità e poi ha detto arrangiatevi. Non funziona così». E, ancora: «abbiamo tutte le condizioni per fare bene. Abbiamo le risorse finanziarie, molto probabilmente avremo stabilità di governo e questo ci dà la garanzia di provvedimenti che guardano al medio-lungo periodo». Non sono virgolettati tratti da un esponente dell’esecutivo, magari d’area meloniana, ma di Carlo Bonomi, numero 1 di Confindustria, raccolti dal Sole 24 Ore.

DIMENTICATO IL DISPIACERE PER LA CADUTA DI DRAGHI?

Proprio quel Bonomi che non le mandava a dire a Giuseppe Conte in piena pandemia e sulla gestione del PNRR («Noi immaginavamo un Piano che si concentrasse a rafforzare il potenziale di crescita del Paese. Ci siamo invece trovati di fronte a una serie di interventi a pioggia») e che pareva aver perso il sorriso con la caduta di Mario Draghi ( «Noi industriali increduli di fronte alla caduta di Draghi. L’irresponsabilità dei partiti quel giorno ha toccato l’apice», disse a fine luglio ’22 al Corriere). Invece il numero 1 di Confindustria pare tornato sorprendentemente ed eccezionalmente ottimista.

CONFINDUSTRIA NON ENTRA NELLA VICENDA CORTE DEI CONTI

Nessuna critica al governo, nemmeno per la vicenda della Corte dei Conti, malamente esautorata dai controlli sui progetti del Next Generation Eu: «Non entro nelle polemiche della Corte dei Conti, non sta a noi imprenditori. Ciò che chiedo è un bagno di realtà, bisogna dire cosa siamo in grado di realizzare e che serva alla crescita del paese. Indebitarci solo per dire che abbiamo speso le risorse non è la strada giusta».

PER BONOMI IL GOVERNO DURERA’

E anche se la maggioranza è litigiosa, Bonomi scommette comunque sulla tenuta (forse perché consapevole dell’irrilevanza delle opposizioni): «Molto probabilmente avremo stabilità di governo e questo ci dà la garanzia di provvedimenti che guardano al medio-lungo periodo. È una occasione da non sprecare, l’industria italiana c’è e ha voglia di partecipare alla crescita del Paese».

LE CRITICHE ALLA UE (CONDIVISE COL GOVERNO)

Il numero 1 degli industriali condivide pure le critiche che la maggioranza rivolge a Bruxelles: «la Ue, anzi una persona, il commissario Timmermans, sta facendo una crociata ideologica ai danni dell’industria europea». E sottolinea soprattutto la mancanza di aiuti: «Per raggiungere i target europei sull’ambiente occorrono 3.500 miliardi di investimenti a livello Ue, 650 in Italia. Il Pnrr stanzia tra i 60 e i 70 miliardi, vuol dire che il resto è sulle spalle di imprese e famiglie» e occorre «un fondo sovrano europeo che possa accompagnare le imprese verso le transizioni, ma l’Europa dopo la crisi pandemica ha smesso di fare l’Europa».

Servono, insomma, «quegli interventi di politica industriale necessari affinché l’industria europea cresca, come hanno fatto la Cina con il piano strategico Mic e gli Stati Uniti con Ira, che non è un provvedimento di protezione ma di competitività. La Ue ha puntato ad essere i primi in sostenibilità e poi ha detto arrangiatevi. Non funziona così».

Mentre sulla ridefinizione del PNRR Bonomi rivela che Confindustria non condivide le preoccupazioni delle opposizioni: «c’è uno scontro con la Ue indipendente dal fatto se siamo in grado di realizzare i progetti». Insomma, gli industriali sposano la guida meloniana e vi si aggrappano tenacemente.

NON SOLO BONOMI, CONFINDUSTRIA STRAVEDE PER MELONI

Soltanto pochi giorni fa avevamo registrato il curioso tamtam mediatico apparso sulle pagine del Sole confindustriale: ben due articoli (una intervista all’ex numero 1 di Confindustria Lombardia Marco Bonometti, presidente del Gruppo OMR, Officine Meccaniche Rezzatesi, realtà specializzata nella produzione di basamenti per motori, trasmissioni, telaio e sospensioni affiancata da un editoriale del curatore della pagina sui motori) per dire che Stellantis sta lasciando il nostro Paese alla chetichella e serve dunque un intervento dello Stato nell’azionariato per zavorrarla qui.

Questi interventi erano stati seguiti da quello ancora più esplicito di Paolo Scudieri, presidente dell’Anfia, l’Associazione delle imprese della filiera automotive, amministratore delegato del Gruppo Adler Hp Pelzer, azienda di famiglia fondata dal padre, Achille, nel 1956 dal fatturato sui 2 miliardi di euro attiva nella progettazione, nello sviluppo e nella produzione di componenti e sistemi per l’industria del trasporto ma, soprattutto, membro dell’Advisory Board di Confindustria. In passato è stato inoltre membro della Giunta nazionale di Confindustria e del comitato ristretto per l’Internazionalizzazione.

«È necessario equilibrare le forze e i pesi in Stellantis, si tratta di una cosa giusta, alla luce della presenza dello Stato francese» è il commento di Scudieri alla proposta avanzata sul Sole 24 Ore da Bonometti, che ha parlato della possibilità di un ingresso di Cdp in Stellantis per equilibrare la presenza dello Stato francese e tutelare la filiera italiana.

L’aspetto più interessante è che la proposta ricalca quella che il partito di Giorgia Meloni avanzò a Mario Draghi, all’epoca presidente del Consiglio. “Presenteremo un progetto che preveda la predisposizione di un piano nazionale per l’automotive e la partecipazione di Cdp nell’azionariato della nuova azienda al pari della quota pubblica francese. Ormai è, infatti, chiaro come non si sia trattato affatto di una fusione paritetica tra Fca e Psa ma di una vendita che prefigura una governance francese, il cui azionista pubblico ha, peraltro, aumentato la propria quota dopo la fusione, contrariamente a quanto precedentemente affermato”, disse infatti a un meeting online del marzo 2021 Adolfo Urso, oggi ministro alle Imprese e Made in Italy.

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