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Stellantis

Sorpresa: la liberista Confindustria vuole lo Stato in Stellantis (e il gruppo Gedi silente…)

Il Sole 24 Ore critica apertamente "i dettami dell’era Tavares, che ha posto la questione del taglio dei costi come tema fondamentale per gli stabilimenti e i fornitori italiani". E Confindustria continua a chiedere l'intervento dello Stato (via Cdp) nell'azionariato di Stellantis

 

Ritorno al futuro. Sembra proprio che i principali esponenti di Confindustria, presenti o passati, stiano chiedendo a gran voce una nuova Iri, che all’automotive italiano ha saputo innegabilmente dare tanto, come dimostra la storia di uno dei marchi più prestigiosi: Alfa Romeo.

Soltanto ieri avevamo registrato il curioso tamtam mediatico apparso sulle pagine del Sole confindustriale: ben due articoli (una intervista all’ex numero 1 di Confindustria Lombardia Marco Bonometti, presidente del Gruppo OMR, Officine Meccaniche Rezzatesi, realtà specializzata nella produzione di basamenti per motori, trasmissioni, telaio e sospensioni affiancata da un editoriale del curatore della pagina sui motori) per dire che Stellantis sta lasciando il nostro Paese alla chetichella e serve dunque un intervento dello Stato nell’azionariato per zavorrarla qui.

Oggi è ancora più esplicito Paolo Scudieri, presidente dell’Anfia, l’Associazione delle imprese della filiera automotive, amministratore delegato del Gruppo Adler Hp Pelzer, azienda di famiglia fondata dal padre, Achille, nel 1956 dal fatturato sui 2 miliardi di euro attiva nella progettazione, nello sviluppo e nella produzione di componenti e sistemi per l’industria del trasporto ma, soprattutto, membro dell’Advisory Board di Confindustria. In passato è stato inoltre membro della Giunta nazionale di Confindustria e del comitato ristretto per l’Internazionalizzazione.

CONFINDUSTRIA CONTINUA A CHIEDERE LO STATO IN STELLANTIS

«È necessario equilibrare le forze e i pesi in Stellantis, si tratta di una cosa giusta, alla luce della presenza dello Stato francese» è il commento di Scudieri alla proposta avanzata sul Sole 24 Ore da Bonometti, che ha parlato della possibilità di un ingresso di Cdp in Stellantis per equilibrare la presenza dello Stato francese e tutelare la filiera italiana.

Anche Bonometti non è un interlocutore casuale, dato il suo passato da presidente in Confindustria Lombardia nel quadriennio 2017-2021. E proprio in quel ruolo, a fine marzo ’21, esprimendo preoccupazione sul futuro degli stabilimenti italiani, disse: “Non vorremmo affrontare un’altra storia come quella dell’Ilva, dove emergono tutti i limiti di una parte importante della politica italiana. Il settore dell’auto a livello nazionale vale 400 miliardi di euro di fatturato e 27 di salari, pari al 20% del Pil, ma l’Italia non l’ha mai considerato strategico. Non discutiamo il libero mercato, un’impresa ha ragione di muoversi come vuole; la responsabilità è quella di non aver creato le condizioni affinché le aziende italiane dell’auto fossero competitive in modo strutturale. Bene gli incentivi, ma dobbiamo togliere burocrazia e rendere attrattiva l’Italia”.

QUELLA “VECCHIA” PROPOSTA DI FDI…

Come ricordavamo ieri, l’aspetto più interessante è che l’allora numero 1 di Confindustria Lombardia scandì quelle parole a un convegno di Fratelli d’Italia in cui il partito di Giorgia Meloni invocava l’intervento dello Stato italiano, tramite Cdp. “Presenteremo un progetto che preveda la predisposizione di un piano nazionale per l’automotive e la partecipazione di Cdp nell’azionariato della nuova azienda al pari della quota pubblica francese. Ormai è, infatti, chiaro come non si sia trattato affatto di una fusione paritetica tra Fca e Psa ma di una vendita che prefigura una governance francese, il cui azionista pubblico ha, peraltro, aumentato la propria quota dopo la fusione, contrariamente a quanto precedentemente affermato”, aveva detto infatti a quel meeting Adolfo Urso, oggi ministro alle Imprese e Made in Italy.

Adesso, con Giorgia Meloni seduta sullo scranno di Palazzo Chigi, Bonometti al Sole dice: «È necessario portare la produzione italiana a quota 1 milione di autovetture e servono interventi strutturali, a cominciare dall’ingresso dello Stato italiano, attraverso Cdp, nel capitale sociale di Stellantis, esattamente com’è per la Francia».

COSA SCRIVE IL SOLE 24 OGGI

“La mancanza di un contrappeso istituzionale all’interno di Stellantis – tornano a insistere dal quotidiano di Confindustria diretto da Fabio Tamburini (nella foto con il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi) – rischia di penalizzare i produttori italiani proprio in una fase in cui il Gruppo guidato da Carlos Tavares riallineerà l’intera produzione sulla base delle piattaforme STLA. Nella nuova geografia produttiva del Gruppo, a Melfi sarà installata la STLA Medium, mentre a Cassino andrà la STLA Large”.

L’obiettivo per gli industriali – riporta Il Sole – è quello di portare l’interlocuzione ai livelli istituzionali più alti per aprire una fase di discussione su asset strategici come quello dell’auto. Consapevoli però che si tratta di una partita assai difficile. «È una proposta difficilissima da far accettare – ammette il presidente di Anfia – a meno che non si aprano altre partite industriali con la Francia su dossier altrettanto strategici per il paese d’Oltralpe».

Insomma, come dice apertamente Il Sole quest’oggi, serve l’intervento dello Stato via Cdp “per calibrare il mix dei costi e andare incontro ai nuovi dettami dell’era Tavares, che ha posto la questione del taglio dei costi come tema fondamentale per gli stabilimenti e i fornitori italiani”.

SUI GIORNALI DI AGNELLI TUTTO TACE

Difficile per il governo a guida FdI restare sordi a simili sirene, non fosse altro che quelle proposte portano proprio la firma di chi oggi guida il Paese ed è responsabile della sua politica industriale.

Altrettanto difficile che l’idea incontri il favore di Elkann e soci, che nel recente passato hanno dimostrato ampiamente di non amare alcun tipo di legaccio, financo delle associazioni di categoria, uscendo prima da Confindustria e quindi da Acea, che riunisce i costruttori d’auto del Vecchio continente. Chi oggi ha aperto uno dei quotidiani di proprietà della famiglia Agnelli – in primis Repubblica e La Stampa – resterà deluso: al momento tutto tace. Ma il silenzio non è sempre sinonimo di assenso.

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