Le sanzioni economiche imposte dall’Unione europea, dagli Stati Uniti e dai loro alleati contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina sono diverse da quelle del passato: lo sono per la loro ampiezza, per la velocità con la quale sono state messe a punto e per le ricadute sul sistema internazionale.
La grande domanda che i politici, i diplomatici, gli economisti e anche le opinioni pubbliche si fanno, adesso, è una: funzioneranno? Riusciranno, cioè, a mettere in crisi l’economia russa e ad esercitare abbastanza pressione sul governo russo da convincerlo a negoziare la fine delle ostilità?
Il portale Project Syndicate ha girato la domanda a quattro esperti: Jayati Ghosh, professoressa di Economia alla University of Massachusetts Amherst; Ricardo Hausmann, docente alla John F. Kennedy School of Government di Harvard; Harold James, professore di Storia alla Princeton University; e Shang-Jin Wei, professore di Finanza alla Columbia Business School.
IL PARERE DI JAYATI GHOSH
Secondo Jayati Ghosh, le sanzioni si sono rivelate più dure e più ampie di quanto previsto, e probabilmente infliggeranno un danno molto serio all’economia della Russia e alla sua popolazione. Ma se il loro obiettivo ultimo non dovesse essere questo, ma piuttosto quello di fermare la guerra in Ucraina o di favorire il crollo del regime di Vladimir Putin, allora è difficile prevedere se avranno successo.
Ghosh accusa gli Stati Uniti di imporre sanzioni che distruggono le economie e uccidono le persone, impedendo l’accesso a medicinali, cibo e altri beni essenziali: dice che il governo talebano in Afghanistan non è in grado di importare cibo perché Washington sta impedendo alla banca centrale del paese di accedere alle riserve in dollari.
Ghosh prosegue nella sua riflessione accusando di immoralità l’America e gli altri paesi che hanno imposto sanzioni alla Russia per l’invasione dell’Ucraina, sostenendo che molti di quei governi sono gli stessi che hanno partecipato alla “distruzione della Libia” nel 2011. A suo dire, le nazioni che non hanno introdotto penalità economiche verso Mosca – come l’India, la Cina e il Brasile – stanno agendo così anche per protesta contro l’ipocrisia dell’Occidente. Le sanzioni americane, poi, hanno “raramente, se non mai” raggiunto gli obiettivi politici prefissati.
Secondo la professoressa, il congelamento delle riserve in dollari della banca centrale russa da parte degli Stati Uniti potrebbe indebolire l’egemonia internazionale della loro valuta, perché alcuni paesi potrebbero decidere di distaccarsene per non rischiare di finire danneggiati come la Russia in un ipotetico futuro.
IL PARERE DI RICARDO HAUSMANN
Secondo Ricardo Hausmann, gli esempi dell’Iraq e del Venezuela suggeriscono che le sanzioni non sono efficaci nel provocare il crollo di un regime. E questo perché, se è vero che indeboliscono quel regime, indeboliscono ancora di più la popolazione e non permettono una mutazione degli equilibri di potere, necessaria al ribaltamento del governo.
Le sanzioni, però, riescono con maggiore efficacia a diminuire la capacità di un regime di proiettare potenza all’estero. Per indebolire davvero la Russia, però, bisognerebbe colpirne il settore petrolifero e impedirle, così, di vendere il suo greggio. La mossa, comunque, si rivelerebbe economicamente costosa non solo per il paese sanzionato, ma anche per quelli sanzionatori.
IL PARERE DI HAROLD JAMES
Per Harold James, le sanzioni hanno colto di sorpresa il Cremlino, che probabilmente non si aspettava una reazione così dura e ampia, ma non hanno però cambiato il corso del conflitto: l’andamento della guerra è influenzato dall’eroismo della resistenza ucraina, dalla scarsa preparazione dell’esercito russo e dall’efficacia delle armi anticarro e antiaeree fornite agli ucraini dalla NATO.
Le sanzioni stanno già indebolendo l’economia russa, ma non danneggeranno altrettanto rapidamente le forze armate del paese, che sono autosufficienti per – ad esempio – le forniture di combustibile, prodotto internamente.
Se l’Occidente dovesse unirsi nel divieto di importazione di petrolio e gas russo, il collasso economico di Mosca procederebbe con maggiore velocità e lo scontento della popolazione nei confronti di Putin crescerebbe, ma è possibile – nota James – anche il contrario: il presidente potrebbe veder aumentare il suo consenso da parte dei russi più nazionalisti.
L’analista crede che la durezza sanzionatoria verso Mosca faccia bene al morale degli ucraini, per non farli sentire abbandonati, e per influenzare gli eventuali negoziati di pace.
IL PARERE DI SHANG-JIN WEI
Shang-Jin Wei sostiene che le sanzioni alla Russia avranno successo se il loro scopo è quello di danneggiare l’economia russa e mandare un segnale di forza a Putin. Il rifiuto di alcuni paesi – come Cina, India, Israele, Brasile e Messico – di partecipare non ne pregiudicherà l’efficacia, per due motivi.
Il primo è che l’Unione europea è nettamente il maggiore socio commerciale della Russia: nel 2020 è valsa il 36,5 per cento delle sue importazioni e il 37,9 per cento delle esportazioni. Nell’immediato, Mosca non riuscirà a trovare sostituti al mercato europeo; nemmeno per il gas e il petrolio, nel caso (difficile) che Bruxelles decida di imporre un embargo.
Il secondo motivo è che gli Stati Uniti dominano il sistema finanziario globale, e le soluzioni alternative che la Russia potrebbe trovare – il meccanismo rupie-rubli con l’India e l’utilizzo dell’SPFS, il proprio sistema di trasmissione dei messaggi finanziari – non basteranno a compensare l’isolamento finanziario posto in essere da Washington. Ecco perché, secondo Shang-Jin Wei, è probabile che la Russia andrà in default.