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Quando Fratelli d’Italia criticava le francesi Vivendi, Credit Agricole e non solo

L'incontro Macron-Meloni e i dossier Vivendi-Tim e Credit Agricole. L'articolo di Luigi Pereira

 

Non c’è stata granché sintonia tra Fratelli d’Italia e la Francia – ovvero le società francesi attive in Italia – anche se ora i rapporti sono destinati ad appianarsi. L’incontro avvenuto ieri fra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni non sarà solo simbolico, secondo molti osservatori di geopolitica: in Europa su diversi dossier il governo Meloni potrà trovare maggiori sintonie con la Francia di Macron che con l’esecutivo tedesco presieduto da Scholz.

Un lungo faccia a faccia durato più di un’ora, informale quanto si voglia, non ufficiale, voluto da Giorgia Meloni e subito accettato da Emmanuel Macron. Il suo primo impegno internazionale è andato dunque in scena ieri sera, alle 19.50, sulla terrazza del Gran Melià di Roma, hotel 5 stelle con vista sul Vaticano, dove il neo presidente del Consiglio ha incontrato il capo di Stato francese.

Incontro «cordiale e proficuo», informa una nota di Palazzo Chigi alla fine. E a testimonianza della sua riuscita, ecco anche il tweet di Macron:

Di che cosa hanno parlato? «Nel corso del colloquio, seppur informale — prosegue la nota di Palazzo Chigi — sono stati discussi tutti i principali dossier europei: la necessità di dare risposte veloci e comuni sul caro energia, il sostegno all’Ucraina, la difficile congiuntura economica, la gestione dei flussi migratori. I presidenti di Italia e Francia hanno convenuto sulla volontà di proseguire con una collaborazione sulle grandi sfide comuni a livello europeo e nel rispetto dei reciproci interessi nazionali».

La differenza tra europeisti francesi e patrioti italiani si è vista ancora quasi un anno fa, in occasione della firma a Roma del Trattato del Quirinale tra Italia e Francia che fu anche l’occasione per mostrare l’intesa personale tra Macron e Mario Draghi, ha chiosato il Corriere della sera: “Meloni all’epoca si disse contraria al Trattato («Di fatto abbiamo dato una delega in bianco a Parigi per trattare a nome nostro. Temo che l’Italia non ci guadagnerà, a differenza del Pd») e ancora nel luglio scorso Fratelli d’Italia ha votato contro la ratificazione in Parlamento. Ma oggi gli scenari sono completamente cambiati”.

Il clima era bel diverso fino a pochi giorni fa: di seguito un estratto di un recente articolo di Start Magazine:

In quest’ottica non si può dimenticare la strenua difesa dell’italianità nei settori strategici del tessuto produttivo e nelle maggiori aziende nazionali, a partire da banche e assicurazioni, fatta in questi anni da importanti esponenti di Fratelli d’Italia. L’ultima stilettata è Guido Crosetto, co-fondatore di FdI, imprenditore e ascoltato consigliere di Meloni: il neo ministro della Difesa nei giorni scorsi è tornato sull’argomento parlando della partecipazione detenuta da Crédit Agricole Italia in Banco Bpm che potrebbe portare a una scalata di Piazza Meda da parte del gruppo francese. A Crosetto peraltro, due giorni dopo il voto, ha risposto indirettamente proprio l’amministratore delegato di Crédit Agricole Italia, Giampiero Maioli.

COS’HA DETTO L’AD MAIOLI (E LA RISPOSTA INDIRETTA A CROSETTO)

Le agenzie di stampa raccontano il ragionamento fatto da Maioli al settimo congresso nazionale della Uilca. “La nazionalità di una banca conta poco, conta di più quello che si fa per il territorio e le persone” ha affermato il manager rispondendo a chi – Crosetto – aveva dichiarato: “L’Italia ha bisogno di 2-3 grandi gruppi bancari” e in tal senso “Banco Bpm è un tassello fondamentale per la costruzione di un secondo o terzo polo italiano che possa competere con i gruppi bancari europei”.

Secondo Maioli, invece, “siamo in Europa, l’Italia è un Paese europeo, in Europa c’è il libero scambio dei capitali per fortuna. Così come le banche europee possono investire in Italia, anche per le banche italiane è legittimo investire in Europa. Da cittadino italiano sarei orgoglioso di vederle sempre più presenti nei paesi core in Europa”.

LE STILETTATE DI CROSETTO, NEO MINISTRO DELLA DIFESA

Al Crédit Agricole qualche attenzione Crosetto l’aveva dedicata a marzo 2021. “Sta andando avanti, nel silenzio totale – scriveva su Twitter – l’Opa di Crédit Agricole su Creval. Il cda di Creval si è opposto, l’Opa è sostanzialmente a costo zero (350 mln di crediti fiscali e 400 di free capital), ma la politica italiana fa finta di non vedere l’assalto francese alla finanza”. Com’è andata a finire, è storia: il 24 aprile di quest’anno si è concluso il processo di integrazione del Credito Valtellinese nel gruppo bancario francese tramite Crédit Agricole Italia.

Più recente – risale al 13 agosto scorso – un altro tweet dell’ex sottosegretario alla Difesa nel governo Berlusconi IV: “Mentre noi perdiamo tempo a dibattere sugli strafalcioni di questo o quel politico – scriveva -, Crédit Agricole continua la sua scalata per diventare il secondo polo ‘italiano’ e per controllare tutto il risparmio gestito. Dopo Pioneer toccherà ad Anima? Il tema non è di mercato, è politico”.

Nello stesso mese, quattro anni prima, Crosetto aveva invece detto la sua – sempre su Twitter – sull’eventuale fusione fra Unicredit, allora guidata dal manager transalpino Jean-Pierre Mustier, e Sociétè Generale. “Considero la mormorata fusione di #SocGen ed #UniCredit un atto ostile nei confronti dell’Italia, al pari della guerra alla Libia. Voglio dirlo prima anche questa volta. È il risultato di una strategia nata con la scelta del CEO Mustier, francese, ‘dimesso’ da SocGen per insider”.

E ancora, pochi giorni dopo: “Lo dico perché nessuno possa avere scuse: UniCredit è persa ed entrerà nell’orbita francese, nella totale indifferenza di tutti. Ricordatevene usando non acquisterà più titoli italiani. Spero che qualche italiano almeno rilevi le sue quote di Mediobanca. Almeno quelle…”.

GLI ALLARMI DEL COPASIR DI ADOLFO URSO

Anche da parte di un altro esponente di punta di FdI, Adolfo Urso, neo ministro dello Sviluppo economico, negli ultimi anni sono emersi molti timori per una possibile espansione della presenza francese nel tessuto economico nazionale. Nell’ultima relazione del Copasir – che l’ex viceministro presiede da giugno 2021, subentrato a Raffaele Volpi – sull’attività svolta dal 1° gennaio 2021 al 9 febbraio 2022 si interviene su Tim, controllata dai francesi di Vivendi. “La realizzazione di una rete unica a controllo pubblico appare la soluzione in grado di garantire il necessario livello di sicurezza delle comunicazioni. Quindi è auspicabile che il Governo intraprenda il percorso decisionale più rapido per il perseguimento di questo obiettivo, anche al fine di evitare che distinti progetti di realizzazione di reti a banda larga, portati avanti da diversi attori di mercato, possano rendere più complessa e costosa la realizzazione di un’unica infrastruttura di rete controllata dallo Stato”. Tra i soggetti principali che operano in quest’ambito c’è proprio il gruppo Tim, attualmente sotto il controllo di Vivendi.

CAPITOLO VIVENDI IN TIM

Pochi mesi prima, a gennaio 2021 Urso aveva presentato un’interrogazione agli allora ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, in cui evidenziava come la fusione mettesse “a rischio il controllo pubblico della rete consegnando l’intera rete italiana ad un solo operatore, peraltro controllato da un soggetto estero e cioè Vivendi. Ciò è in contraddizione con le indicazioni che il Parlamento ha dato al Governo con più convergenti mozioni approvate tra giugno e dicembre 2020 – asseriva -, e nelle quali oltre ad auspicare un rapido completamento della rete nazionale a fibre ottiche si affermava che il controllo della società della rete unica, vista la sua importanza e strategicità, dovesse rimanere saldamente in mani italiane e sotto il controllo effettivo dello Stato”. “Ora la banca torni a perseguire l’interesse nazionale” era stato invece il commento, affidato a Twitter, dello stesso Urso quando Mustier aveva lasciato la guida di Unicredit.

DOSSIER FRANCIA IN UNICREDIT

E ancora quand’era vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, a novembre 2020, era stata presentata una relazione annuale in cui si metteva il dito in varie “piaghe”, a partire dalle “preoccupanti notizie su possibili operazioni di fusione di UniCredit con altri players stranieri, tra cui: l’istituto tedesco Commerzbank, ovvero le banche francesi Crédit Agricole e Société Générale”. Tutte operazioni in cui si ravvisava “un rischio di particolare rilevanza per il sistema bancario e del pubblico risparmio, atteso che, oltre a pregiudicarne l’indipendenza, le stesse potrebbero determinare una forte asimmetria tra l’area di raccolta delle risorse finanziarie (Italia) e quella di impiego delle stesse (estero). Infatti, pur continuando a provenire dalle famiglie e dalle imprese italiane, le risorse raccolte da UniCredit potrebbero essere impiegate per finanziare territori e sistemi produttivi esteri”.

LE REPRIMENDE ANTI FRANCIA IN GENERALI

Pensieri non dissimili erano riservati poi al Leone di Trieste: “Il Comitato ritiene che sia di rilevanza strategica mantenere l’indipendenza di Generali, assicurata anche dal mantenimento della governance in Italia”. Il riferimento era alla possibile cessione a “gruppi assicurativi esteri, tra cui AXA, di proprietà francese”. Senza dimenticare Unicredit con “alcune iniziative apparentemente volte ad affrancare la banca dall’Italia. In tal senso potrebbero essere infatti inquadrate le operazioni di cessione di UniCredit di alcuni ‘gioielli italiani’, quali Fineco e Pioneer, ovvero la riduzione del portafoglio di BTP che, dal 2016 ad oggi, è diminuito di circa 11 miliardi di euro”.

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