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Banca Popolare Bari: governo e Bankitalia sballottati dagli economisti (più o meno) liberisti

Chi sono e che cosa dicono prof e commentatori di impostazione liberista sul salvataggio della Banca Popolare di Bari

Lo Stato ha messo il cappello sulla Banca Popolare di Bari, con i 900 milioni di euro a Mediocredito Centrale (controllato dall’holding statale Invitalia) che soccorrerà l’istituto pugliese insieme al Fondo Interbancario di Tutela dei depositi. E non passa giorno che non emergano testimonianze – volontarie e non, come nel caso del video di Fanpage con le parole dell’amministratore delegato Vincenzo De Bustis – sulla gestione “allegra” (e sfrontata) della banca da parte dei manager. L’intervento pubblico è però ancora una volta messo sotto esame e commentato da osservatori ed economisti che arrivano a biasimare l’uso di risorse statali per l’ennesima banca in difficoltà.

I CALCOLI DI COTTARELLI

L’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, guidato da Carlo Cottarelli, ha fatto qualche conto in tasca a Via XX Settembre: “Sono stati spesi, per il salvataggio degli istituti di credito, circa 650 milioni investiti da Cassa Depositi e Prestiti e Poste Italiane in Fondo Atlante 1 e i 4,8 miliardi destinati a Banca Intesa come contributo di capitale e per la ristrutturazione del business” si legge in un report dell’Osservatorio. “Questi soldi non potranno essere recuperati. Ciò che invece è stato stanziato, ma potrebbe tornare allo Stato nel giro di alcuni anni, si aggira tra i quasi 12,5 e i 18,5 miliardi di euro, circa un punto percentuale di Pil. La forchetta varia a seconda di come si valutano gli investimenti nell’ex Fondo Atlante 2 e le garanzie per il risanamento delle due banche venete”.

LE CRITICHE DI LUCREZIA REICHLIN

Con un fondo sul Corriere della Sera ieri ha detto la sua al riguardo anche Lucrezia Reichlin, docente di Economia alla London Business School e già capo economista alla Bce. “Le crisi bancarie possono essere destabilizzanti per l’intero sistema e un intervento precauzionale di ricapitalizzazione pubblica di una banca in difficoltà può rivelarsi meno costoso per i contribuenti che un fallimento, soprattutto se come nel caso delle banche più piccole, la capacità di assorbire le perdite di azionisti e obbligazionisti è limitata”, ha scritto Reichlin, già nei cda di Unicredit e Carige, secondo cui, però, gli interventi pubblici “devono essere comunque limitati e visti come misure complementari a soluzioni che non escludono liquidazioni e penalizzazioni per i creditori”.

Quando invece l’intervento statale è “sistematico e praticamente indiscriminato” si fa passare l’idea che “investire in azioni o in obbligazioni subordinate delle banche non comporti alcun rischio e sia praticamente equivalente all’acquisto id un’obbligazione statale”. Va dunque chiarito “in quali circostanze l’intervento dello Stato sia giustificabile e in quale forme”.

Per quanto riguarda la Popolare di Bari, spiega Reichlin, “la crisi era annunciata” e arriva “dopo tante altre che avrebbero dovuto mettere in guardia azionisti e creditori sul rischio del loro investimento”. Inoltre “la banca è relativamente piccola” e se un fallimento avrebbe “un alto costo politico” non è ovvio che “ne avrebbe uno economico se non per gli azionisti”. Questa operazione di sistema, dunque, è un “salvataggio pubblico camuffato”. E pure l’obiezione di Bankitalia – i 900 milioni messi a disposizione sono meno dei 4 miliardi che servirebbero a risarcire i correntisti in caso di liquidazione – non è corretta perché il costo ricadrebbe sull’assicurazione dei depositi e non sullo Stato. Ma il punto è che il Fondo interbancario si è già “dissanguato” a causa dell’intervento per Carige, messo a punto nei mesi scorsi dopo l’assemblea di fine luglio. Per questo, osserva, serve invece un’operazione di sistema con “largo respiro”, che faciliti le aggregazioni e comporti la pulizia dei bilanci.

LE PUNTURINE DI GALLI

Tiene a fare delle precisazioni sulla questione anche Giampaolo Galli, numero due dell’Osservatorio sui conti pubblici diretto da Cottarelli e docente di Economia Politica all’università Luiss. “Puntualmente, come in ogni precedente crisi bancaria – scrive l’ex direttore generale di Confindustria sul suo sito – , sulla Banca Popolare di Bari è ripartita la demagogia: basta con i salvataggi dei banchieri, vanno salvati i risparmiatori, vanno puniti i vertici di Banca d’Italia che non hanno vigilato. E allora è utile ricordare che mai i banchieri, intesi come amministratori delle banche, sono stati salvati, perché in tutti i casi di crisi è intervenuto il commissariamento della banca; che, fino a prova contraria, i banchieri sono i proprietari della banca, ossia i soci/azionisti, al netto di eventuali casi di miselling; che tutti gli interventi fatti sino ad oggi, non sempre brillantissimi o tempestivi, hanno avuto la finalità di minimizzare le perdite per i risparmiatori nonché per i territori di insediamento della banca; che la Banca d’Italia non è certo infallibile, ma i suoi eventuali errori vanno dimostrati analiticamente”.

CHE COSA DICE L’ECONOMISTA EX DG CONFINDUSTRIA

E a riguardo, l’ex deputato del Pd precisa: “Il compito della vigilanza non può essere quello di impedire ogni possibile crisi, perché le banche sono imprese in concorrenza fra di loro e devono poter fallire. Solo in un sistema pubblico le imprese non falliscono mai, perché vengono salvate con le tasse dei cittadini”.

A chi in questi giorni parla “di colonizzazione del Sud”, l’economista Galli ricorda che “alla fine degli anni Ottanta, le banche del Sud, tutte pubbliche, erano tecnicamente fallite e sono state salvate, su input della Banca d’Italia di Ciampi, dalle grandi banche del Nord”. Per finire, una puntualizzazione che non lascia adito a dubbi (e a cui si potrebbero aggiungere nomi e cognomi): “Negli ultimi anni, quasi tutti i politici locali e buona parte dei politici nazionali si sono schierati con la Popolare di Bari nel suo anacronistico tentativo di evitare l’obbligo di trasformazione in spa, che è la precondizione per poter raccogliere fondi per una eventuale ricapitalizzazione: costoro abbiano almeno il pudore di tacere”.

SEMINERIO FASTIDIOSO CONTRO LA BARI

Sulla mancanza di controlli e sulla cattiva gestione dell’istituto di credito intervengono altri economisti come Mario Seminerio, investment manager e autore del seguitissimo blog Phastidio.net.

A un tweet in cui si dice che “la fusione Popolare di Bari-Tercas è un esempio perfetto del vecchio modo di fare vigilanza: ‘salvare’ banche decotte accollandole ad altri istituti. Visti i risultati, non mi sembra un modello da rimpiangere” risponde: “Eppure è l’unico modello che Bankitalia conosce, da sempre”.

GIANNINO SFRUCULIA LA VIGILANZA

Sul ruolo di Via Nazionale spende qualche parola – sempre via Twitter – anche la firma Oscar Giannino, fondatore del movimento liberista Fare. “Conte si vanta di salvare PopBari statalizzandola. Bankitalia fa capire in note a propria difesa che capitale PopBari è negativo, ma nessuno sobbalza nell’apprenderlo così dopo anni di malagestio tollerata. Senza più anticorpi istituzionali, vale tutto. E lo schifo diventa vanto”.

BOLDRIN ATTACCA VIESTI

Fa nomi e cognomi Michele Boldrin, economista liberista In particolare, Boldrin punta il dito contro Gianfranco Viesti, economista, editorialista del Messaggero e del Mattino, e componente del board di Popolare di Bari prima del commissariamento. “Ieri chiedevo cosa facessero consiglieri e sindaci della BPB negli anni del saccheggio. Una domanda particolare vorrei rivolgerla al @profgviesti, economista e frequente fustigatore dei mercati e del nord che ‘saccheggia’ il sud. Che ci facevi in Cd’A? Chi ha saccheggiato cosa?”.

Al tweet Boldrin aggiunge la foto di un editoriale di ieri del Foglio dall’eloquente titolo “Veni, vidi, Viesti” in cui il docente viene tacciato di essere un meridionalista che fa la lezione accusando il Nord ma partecipando ai guai del Sud. “Viesti potrebbe arricchire la sua produzione pubblicistica – si conclude l’articolo del quotidiano diretto da Claudio Cerasa – con un libro di memorie sui difetti e le carenze della classe dirigente meridionale. Sarebbe di grande aiuto al Mezzogiorno, più delle imprecazioni contro il Nord”.

CARNEVALE MAFFE’ TWITTA CONTRO BOCCIA

Decisamente contrario all’intervento pubblico è il bocconiano Carlo Alberto Carnevale Maffè. In un cinguettio il professore cita l’intervista del ministro per gli Affari regionali, l’economista Francesco Boccia, al Corriere della Sera. “Ettepareva. La #PopBari è un ‘fallimento del mercato’, secondo il ministro Boccia. Quindi deve intervenire lo Stato magnanimo, che porta ‘manager all’altezza’, e soldi per tutti: clienti, fornitori, la Puglia, il Mezzogiorno. Naturalmente pagano i contribuenti. Ma sono dettagli”.

Ma già il commento al Consiglio dei ministri d’urgenza di domenica sera non lasciava dubbi: “Che cosa può spingere a convocare d’urgenza un Consiglio dei Ministri la domenica sera 15 dicembre. Ma è ovvio! La ‘realizzazione di una banca d’investimento’. In un Paese con centinaia di banche e un debito pubblico da 2400 mld, è roba da non dormire di notte. Di vergogna, però”. E sabato, quando Palazzo Chigi era all’opera sul decreto per salvare la banca, Carnevale Maffè twittava: “Caro Governo, vorrei un regalo. Anch’io chiedo 1 miliardo di soldi pubblici per la mia banca, che, grazie a buona gestione, è sana. Giusto per cominciare, eh. Poi ne chiederò tanti altri quanti ancora ne metterai nel buco di PopBari. Come dici? Non si può fare? Davvero davvero?”.

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