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Pirelli

Pirelli, le cineserie di Tronchetti Provera e i fari di Meloni

Il governo Meloni pensa di limitare l'influenza di Sinochem in Pirelli, ma rischia l'ira della Cina. Le manovre di Tronchetti, le indiscrezioni contraddittorie, il ruolo di Brembo e il dossier di Palazzo Chigi

 

L’ipotesi golden power fa slittare l’assemblea degli azionisti di Pirelli e mette sotto pressione il titolo, nonostante i conti brillanti, che ha chiuso a -4,6% a 4,4 euro.

Il governo di Giorgia Meloni sta infatti cercando un modo per ridurre l’influenza di Sinochem, conglomerato statale cinese che si occupa di petrolchimica e fertilizzanti, su Pirelli, di cui è il maggiore azionista con il 37 per cento. Lo scrive Bloomberg, sulla base delle informazioni ricevute da fonti anonime, inquadrando l’affare Pirelli all’interno delle più generali tensioni tra l’Occidente e la Cina.

Pirelli realizza pneumatici (anche ad alte prestazioni) per automobili, e rifornisce le vetture di Formula 1.

LE OPZIONI PER LIMITARE SINOCHEM

Più nello specifico, il governo sta pensando di restringere la condivisione di informazioni sulle tecnologie strategiche di Pirelli con i membri del consiglio di amministrazione nominati da Sinochem, e di limitare il diritto di voto di questi ultimi.

Non è stata ancora presa una decisione da parte di Palazzo Chigi. L’esecutivo, comunque, non avrebbe intenzione di modificare l’azionariato di Pirelli né di costringere Sinochem a vendere la sua quota.

IL RINNOVO DEL MEMORANDUM SULLA BELT AND ROAD INITIATIVE

Sullo sfondo, c’è la competizione politica e tecnologica (riguarda soprattutto i semiconduttori) tra gli Stati Uniti e la Cina e il deterioramento delle relazioni tra le due potenze. Bloomberg scrive che, in generale, i paesi europei – visti i rapporti di alleanza – sostengono le azioni di Washington per il contenimento dell’ascesa di Pechino, ma preferirebbero comunque non essere costretti a tagliare i legami commerciali con una partner importante.

In tutto questo, l’Italia si trova in una posizione particolarmente delicata: è infatti l’unico paese del G7 ad aver firmato (nel 2019) un memorandum d’intesa con la Cina sulla Belt and Road Initiative, il mega-progetto infrastrutturale-geopolitico promosso dal presidente cinese Xi Jinping, noto anche come Nuova via della seta. L’accordo non ha avuto conseguenze pratiche di rilievo, ma possiede un grande valore simbolico. Il patto verrà rinnovato automaticamente nel 2024, a meno che il governo Meloni non decida di rinunciarvi; se così dovesse fare, però, rischierebbe quantomeno di raffreddare la relazione con Pechino, o di subire ritorsioni.

Meloni, comunque, aveva già definito “un grosso errore” la firma del memorandum sulla Belt and Road Initiative. “Difficilmente vedrei le condizioni politiche” per un suo rinnovo, ha precisato durante una conferenza stampa prima del bilaterale con Xi, a margine del vertice del G20 a Bali. Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva detto, a questo proposito, che “la nostra posizione non cambierà, per cui un eventuale rinnovo lo vedo improbabile”.

COSA FARÀ IL GOVERNO CON PIRELLI?

Stando alle fonti di Bloomberg, per non rischiare uno scontro aperto con Pechino l’Italia non adotterà, per Pirelli, misure rivolte esclusivamente alla Cina, ma a tutti quei paesi che non sono considerati dei partner strategici.

Il governo Meloni – scrive l’agenzia – “avrà presto l’occasione di intervenire su Pirelli” attraverso il cosiddetto golden power, ovvero quei poteri speciali a cui l’esecutivo può fare ricorso per tutelare l’interesse nazionale nei settori strategici, ad esempio bloccando degli accordi o imponendo certe condizioni.

Di recente Pirelli ha informato il governo italiano dell’intenzione di rinnovare un patto tra Sinochem (che possiede il 37 per cento delle azioni, attraverso la Marco Polo Int. Italy Srl) e Camfin (ha il 14 per cento). Camfin è la holding controllata da Marco Tronchetti Provera, l’amministratore delegato di Pirelli.

Vista la presenza cinese, Pirelli – stando alle regole del golden power – dovrà farsi approvare dal governo italiano la maggior parte delle decisioni commerciali.

GLI ALTRI AZIONISTI DI PIRELLI

Gli altri azionisti di Pirelli sono il Silk Road Fund, il fondo d’investimento del governo cinese, con il 9 per cento; LongMarch, società cinese di pneumatici, con il 3,6 per cento; e Brembo, azienda italiana di impianti frenanti, con il 6 per cento.

LE INDISCREZIONI SU SINOCHEM IN USCITA DA PIRELLI

Le notizie di ieri – secondo alcune ricostruzioni di ambienti finanziari – consentono di interpretare meglio tra le righe quanto successo nei giorni scorsi. Infatti, a metà febbraio la holding cinese Sinochem – sempre secondo Bloomberg – stava valutando l’uscita da Pirelli. L’indiscrezione provocò tensione sui titoli della Bicocca.

LA SMENTITA DI SINOCHEM SU PIRELLI

Ma la notizie fu smentita: “L’articolo di stampa secondo cui Sinochem sta valutando la cessione della sua partecipazione in Pirelli non corrisponde al vero. Sinochem non ha alcun piano di vendere la sua partecipazione in Pirelli”, attestò una nota del gruppo cinese, che detiene la quota di maggioranza relativa di Pirelli.

FRA NOTIZIE, SMENTITE E INTERPRETAZIONI

Dunque, come leggere la notizia sul potenziale uso del golden power da parte di Palazzo Chigi? Analisti a cavallo di finanza e geopolitica ragionano: quelle indiscrezioni potrebbero essere state frutto o di un malinteso o di una strategia, ossia far balenare l’uscita dei cinesi per testare la reazione dei mercati in vista di un’azione che era già in nuce da parte di Palazzo Chigi.

IL RUOLO DI TRONCHETTI PROVERA

Insomma, Tronchetti è di fatto in ambasce. Gli azionisti di Pirelli sono legati da un patto di sindacato rinnovato l’anno scorso con un anno di anticipo, che entrerà in vigore in primavera con l’approvazione dei conti 2022 da parte dell’assemblea e scadrà nel 2026. L’accordo stabilisce i diritti di governance e di management che assegnano ai cinesi la presidenza, oggi ricoperta da Li Fanrong, e ai soci italiani la gestione operativa, esercitata dal vicepresidente esecutivo e CEO, Marco Tronchetti Provera, e da Giorgio Bruno, deputy-CEO.

FUTURO CON BREMBO?

“Nel recente passato – ha scritto nelle scorse settimane il Corriere della Sera – si era parlato più volte anche di una possibile combinazione con Brembo, oggi azionista retail in Pirelli con il 5,2 per cento e primo produttore mondiale di sistemi frenanti, nell’ambito di un progetto per la creazione di un polo italiano dei pneumatici intelligenti, segmento tecnologico in cui il gruppo della Bicocca sta investendo molto”.

I VERTICI DI BREMBO SCHISCI

Ma nei giorni scorsi i vertici di Brembo – che ha comunque un patto con Pirelli – hanno escluso una fusione tra Pirelli e Brembo, che per qualche broker come Equita e Akros potrebbe penalizzare le valutazioni del gruppo della famiglia Bombassei. Per il presidente Matteo Tiraboschi è ancora presto per ipotizzare le “potenziali aree comuni di sviluppo e innovazione”: “abbiamo stretto un accordo di allineamento su quelle che sono le nostre posizioni ma – ha detto a marzo – è ancora tutto troppo prematuro”.

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