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Volatilità

Perché la crisi in Ucraina attapira economie e mercati finanziari

La crisi in Ucraina accentua volatilità e rischio al ribasso per economia e mercati finanziari. L'analisi di Filippo Casagrande, head of insurance investment solutions di Generali Asset & Wealth Management 

 

Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad una escalation delle tensioni attorno alla crisi ucraina. Il 21 febbraio il presidente russo Putin ha riconosciuto le repubbliche separatiste del Donbass, inviando contingenti militari nelle regioni contese con Kiev. Lo scenario ricorda quanto accaduto in Georgia nell’estate 2008, quando la Russia intervenne a supporto dei separatisti delle regioni dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia; in quell’occasione, il governo georgiano rispose militarmente, ma fu rapidamente sconfitto dalle forze russe, con il conseguente riconoscimento delle due repubbliche separatiste da parte della Russia.

L’attuale situazione risulta senza dubbio più complessa, data la dimensione e il ruolo strategico rappresentato dall’Ucraina per l’Occidente. Stati Uniti e Regno Unito spingono per pesanti sanzioni contro la Russia, mentre la risposta dell’Unione Europea risulta più incerta. Sanzioni economiche colpirebbero l’approvvigionamento energetico, in un momento di già grave tensione sui prezzi di petrolio e gas e, mentre le diplomazie rimangono al lavoro, è innegabile che le tensioni sull’Ucraina rappresentino un ulteriore elemento di volatilità e di rischio al ribasso per l’economia e i mercati finanziari.

Va notato, però, che i mercati finanziari siano già da settimane in una situazione di tensione e aumentata volatilità. Ciò è dovuto al forte riprezzamento delle aspettative circa il corso delle politiche monetarie da parte delle principali banche centrali, su tutte Fed e BCE. L’inflazione ha, infatti, continuato a sorprendere al rialzo a causa di una combinazione di prezzi energetici in salita, problemi nelle catene di approvvigionamento, ma anche e sempre di più in ragione dell’aumento delle pressioni salariali legate al deciso calo della disoccupazione, tornata praticamente ai livelli pre-Covid negli Stati Uniti.

La corsa dell’inflazione, unita a politiche monetarie meno espansive e le tensioni geopolitiche stanno inevitabilmente pesando sulle stime di crescita, che rimane però – ed è bene ricordarlo – ben al di sopra dei livelli potenziali. Negli Stati Uniti, il consenso vede ora una crescita del 3,7% nel corso del 2022, mentre le stime dell’Eurozona sono state riviste dal 4,4% al 4,0%, soprattutto a causa del rallentamento in Germania (da 4,5% a 3,7%). La Bundesbank ha recentemente affermato che l’economia tedesca potrebbe contrarsi anche nel primo trimestre 2022, cosa che porterebbe ad una recessione tecnica, visto il calo del PIL registrato nell’ultimo trimestre del 2021. Continuano a salire, invece, le stime di inflazione per quest’anno, arrivate al 5,0% negli Stati Uniti (rispetto al +3,0% di settembre, quando la Fed cominciò a parlare di tapering) e al 3,7% in Eurozona (dall’1,5% di settembre).

PROSPETTIVE PER I MERCATI FINANZIARI: SANGUE FREDDO E MOLTA SELETTIVITÀ

Tutti i principali strumenti finanziari hanno avuto un avvio d’anno molto difficile, e le perdite si sono accumulate anche nel  mese di febbraio. La risalita dei tassi e la correzione dei corsi azionari mette, infatti, in difficoltà il tradizionale portafoglio bilanciato, sebbene rimangano sempre delle sacche di opportunità da sfruttare.

Il mondo del reddito fisso ha subito perdite pesanti: al forte aumento dei tassi sottostanti (tassi decennali Bund, Treasury e Gilt in rialzo di 45, 47 e 58 punti base dove il tasso di rendimento decennale tedesco risalito ben oltre la soglia psicologica dello 0%), si è infatti aggiunto anche l’allargamento degli spread, sia nel settore pubblico sia nel settore privato.

Basti pensare allo spread decennale BTP-Bund, arrivato in area 170 pb, ai massimi da giugno 2020 e anche il mondo del credito ha sofferto dove lo spread dell’Investment Grade (IG) europeo è salito a 120 pb (+22 pb da inizio anno), mentre l’High Yield (HY) ha segnato un +57 pb a quota 388. Aumenti simili anche negli Stati Uniti, con generazione di performance/ perdite in conto capitale tra il meno 3% e il meno 5% per tutte le principali asset class del mondo obbligazionario.

Il mondo azionario ha sin qui sofferto meno in termini aggiustati per il rischio, ma ha comunque segnato cali significativi, in alcuni casi a due cifre. A soffrire di più è il listino americano (Nasdaq in calo dell’11,8%, S&P 500 a -7,2%), ma anche in Eurozona (MSCI EMU: -3,4%) e Giappone (Topix: -1,5%). Sorprende invece al rialzo la borsa inglese (FTSE 100: +3,8%, favorita dalla componente energetica) e i listini emergenti (+0,8%). Il fenomeno più significativo sui listini azionari è però la rotazione settoriale e di stile, che ha favorito il comparto Value (+5,3% in Europa da inizio anno) a scapito di quello Growth (-10,9%) , dove il comparto Value è stato trascinato dal settore energetico (+14,4%), finanziari e banche (+13,5%) in particolare. Le banche beneficiano in particolare del rialzo dei tassi reali, risaliti in maniera repentina con lo spostamento delle aspettative sulle politiche monetarie.

Guardando al proseguo del 2022, ribadiamo la centralità del processo di normalizzazione delle banche centrali, e in primis della Fed, per l’evoluzione dei mercati finanziari. Anche la crescita, dopo un probabile primo trimestre debole, dovrebbe migliorare, anche grazie al minore impatto legato alla pandemia Covid, con un sempre maggior numero di paesi che sta rimuovendo tutte le restrizioni. Naturalmente, rimane l’incognita sulle tensioni Russia-Ucraina, ma è importante non perdere il quadro di fondo che rimane dominato appunto dalle banche centrali.

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