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Perché la Cina picchia su Alibaba, Tencent, Didi e non solo (secondo il Partito comunista cinese)

La Cina sta imponendo nuove normative alle sue industrie per promuovere il loro sano sviluppo e la politica economica a lungo termine del paese rimane invariata, ha scritto il giornale l'organo di stampa del Partito comunista cinese

 

Più regole per costruire una prospera economia di mercato è la posizione sostenuta dal governo di Pechino.

Mercoledì il Quotidiano del Popolo, organo di stampa del Partito comunista cinese, ha difeso in un editoriale la raffica di nuove norme e regolamenti messi in atto dalla Cina negli ultimi mesi, che hanno colpito soprattutto i colossi di internet, e rassicurato che il sostegno del governo al settore privato non è cambiato.

Il più importante giornale cinese rivendica infatti il raggiungimento di “risultati” e il “costante miglioramento” della concorrenza leale nel mercato interno, dopo l’introduzione delle nuove norme antitrust e per la protezione dei dati che hanno provocato ampi sconvolgimenti in tanti settori, a partire da quello tecnologico.

Negli ultimi mesi la Cina ha introdotto una serie di normative, solo in parte rivolte al settore tecnologico. Di conseguenza, le aziende tecnologiche di alto profilo hanno dovuto affrontare indagini e sanzioni.

La mossa ha spaventato gli investitori e ha cancellato miliardi di dollari di valore di mercato da giganti di Internet del paese. Come Meituan (e-commerce e consegne a domicilio), indagata per abuso di posizione dominante, che ha perso 30 miliardi di dollari di valore. Altri 400 miliardi li ha persi Tencent. E 29 miliardi li ha persi Didi (servizi automobilistici con autista), che si era quotata a Wall Street contro il parere delle autorità cinesi.

Non solo. Se da una parte la Cina riduce il potere dei suoi colossi tecnologici, dall’altra li ha anche spinti ad assumersi maggiori responsabilità sociali, che includono il rispetto dei diritti dei lavoratori nella gig economy.

Tutti i dettagli.

L’EDITORIALE DEL QUOTIDIANO DEL POPOLO

Secondo quanto sostiene un editoriale odierno del Quotidiano del Popolo, l’ondata di regolamentazione riguarda “azioni pragmatiche in una situazione complessa e mutevole”. Quest’ultime servono a “migliorare il sistema economico di mercato socialista” e sono state attuate “in risposta ad alcuni importanti problemi come la crescita barbara e l’espansione disordinata di alcune società di piattaforme”.

LE “RASSICURAZIONI” DEL GOVERNO DI PECHINO

L’editoriale giunge a due soli giorni dalle rassicurazioni sul sostegno del governo al privato del vice primo ministro Liu He, consigliere economico del presidente Xi Jinping, e ribadisce che “i principi e le politiche di incoraggiare, includere e governare lo sviluppo del settore privato dell’economia non sono cambiati”.

Lo scopo delle misure messe in atto, prosegue il giornale cinese, è quello di impostare “semafori” nello sviluppo delle imprese per “guidare e sollecitare le imprese a obbedire alla direzione del partito e servire la situazione complessiva dello sviluppo economico e sociale, promuovere lo sviluppo tecnologico e scientifico, fare prosperare l’economia di mercato, agevole la vita delle persone, partecipare alla comunità internazionale e svolgere un ruolo attivo nella concorrenza”.

IL GIRO DI VITE REGOLATORIO

Nell’ultimo anno la Cina ha imposto infatti una serie di regolamenti e sanzioni, colpendo settori che vanno dai giochi all’istruzione all’e-commerce e scuotendo gli investitori nazionali e stranieri.

L’assalto legislativo è iniziato nel novembre dello scorso anno, quando il governo di Pechino ha bloccato la maxi Ipo da 37 miliardi di dollari per Ant Financial, fondata dal miliardario cinese di Alibaba Jack Ma.

Da allora, le autorità hanno anche imposto una multa record di 2,5 miliardi di dollari ad Alibaba, vietato il tutoraggio basato sul curriculum da parte di società di istruzione a scopo di lucro e indagato sul gigante dei viaggi Didi Chuxing per problemi di privacy dei dati.

Da allora, i regolatori hanno introdotto una legislazione anti-monopolio incentrata sulla cosiddetta “economia della piattaforma” che si riferisce in generale alle società Internet che gestiscono una varietà di servizi, dall’e-commerce alla consegna di cibo. I regolamenti hanno anche mirato a rafforzare le leggi sulla sicurezza e la protezione dei dati critici.

L’ultimo colpo al settore tecnologico Pechino lo ha assestato la scorsa settimana, mirato all’industria dei giochi. La National Press and Publication Administration ha imposto i limiti più severi del mondo ai giocatori minorenni.

Inoltre, secondo il Wall Street Journal, la Cina sta valutando regole per vietare ai colossi di internet che gestiscono un grande ammontare di dati personali di quotarsi all’estero, inclusi gli Stati Uniti.

DICHIARATO ILLEGALE IL PROGRAMMA 996

Dunque Pechino sta esercitando una forte pressione regolatoria sulle Big Tech sia sul versante del possesso e gestione dei dati, sia su quello delle pratiche commerciali scorrette. Ora però si apre un nuovo fronte: quello dei diritto dei lavoratori.

A fine agosto, la Corte suprema del popolo cinese ha dichiarato illegale il programma “996”, che lavora dalle 9:00 alle 21:00 sei giorni alla settimana. La dichiarazione ha seguito anni di resistenza dei lavoratori contro la cultura del burnout dell’industria tecnologica.

Proprio a luglio la Federazione cinese dei sindacati del lavoro (ACTFU), in collaborazione con una serie di enti governativi, aveva prodotto delle linee guida sui diritti dei lavoratori e ha chiesto che la presenza sindacale abbia un ruolo più ampio nelle imprese.

SINDACATI INTERNI IN DID E JD.COM

Ed è notizia del 1 settembre che presso due giganti tech – la già citata piattaforma di ride-hailing Didi e quella di e-commerce JD.com, rivale di Alibaba – sono stati formati sindacati interni, una cosa che nell’economia digitale cinese (e no solo) non è certamente la prassi.

COME SE LA PASSANO ALIBABA, DIDI & CO

Come dicevamo il “techlash” della Cina è iniziato lo scorso novembre, quando il governo cinese ha bloccato l’IPO per Ant Financial, braccio finanziario del colosso di Alibaba.

La mossa è stata seguita ad aprile da un’ondata di azioni antitrust, tra cui una multa di 2,8 miliardi di dollari per Alibaba a seguito di un’indagine anti-monopolio.

Subito dopo l’Ipo da 73 miliardi di dollari dell’Uber cinese Didi, i regolatori del governo hanno escluso la sua app di ride sharing dagli app store. Mentre i regolatori conducono una revisione della sicurezza informatica della società Didi ha dovuto interrompere le registrazioni di nuovi utenti.

Lo scorso dicembre i regolatori hanno multato il gigante cinese dell’e-commerce JD.com di 500.000 yuan per irregolarità nei prezzi. Eppure la società ha comunicato agli investitori che non si aspetta alcun impatto commerciale dall’ondata di regolamenti che colpisce l’industria tecnologica cinese, dopo aver battuto le aspettative degli analisti per il trimestre terminato il 30 giugno.

Tuttavia, anche Jd.com ha visto sfumare i progetti di quotazione della sua divisione fintech. Ad aprile, la borsa cinese di Shanghai ha chiuso la prevista Ipo per JD Digits, sulla scia dell’annullamento dell’Ipo di Ant Group di novembre.

COSA DICE TENCENT RIGUARDO LE NUOVE REGOLE SUI VIDEOGIOCHI

Infine, la scorsa settimana la National Press and Publication Administration, autorità di Pechino che regolamenta il comparto editoriale e l’utilizzo di Internet, ha emanato nuove misure rigorose volte a frenare quella che le autorità descrivono come la dipendenza dai videogiochi dei giovani.

Alla borsa di Hong Kong, i titoli di NetEase e Tencent hanno accusato la decisione del regolatore, che sovrintende al mercato dei videogiochi del paese.

Il gioco è la più grande fonte di entrate per NetEase e Tencent. Ma gli analisti non si aspettano un enorme impatto sulle aziende a causa delle nuove regole, sottolinea Cnbc.

A seguito della notizia, diverse società di gioco cinesi quotate, tra cui NetEase e 37 Games, si sono affrettate ad annunciare che i giocatori minorenni rappresentavano meno dell’1% delle loro entrate di gioco. Tencent ha rivelato nei suoi guadagni del secondo trimestre che “i minori di 16 anni rappresentavano solo il 2,6% delle sue entrate incassate in Cina per i giochi e i minori di 12 anni rappresentavano solo lo 0,3%”.

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