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Commerzbank

Ecco come Commerzbank, Ing e Abn Amro tremano per lo scandalo Wirecard

15 istituti di credito, tra cui spiccano Commerzbank, Ing e Abn Amro, sarebbero pronti a percorrere le vie legali nello scandalo Wirecard.  L'articolo di Emanuela Rossi

È sempre offuscato il cielo sopra Berlino per Wirecard e per le altre società coinvolte nel fallimento dell’azienda tedesca. L’ultima notizia è che i 15 gruppi bancari che hanno prestato alla società fallita di recente 1,75 miliardi sarebbero pronte a percorrere le vie legali. Gli istituti di credito in questione — tra cui spiccano Commerzbank, Ing e Abn Amro, solo per citare i maggiori — avrebbero intenzione di portare sul banco degli imputati chi doveva vigilare. E non l’ha fatto.

LE ACCUSE DI COMMERZBANK E LE ALTRE

A rivelare quanto stanno architettando i 15 gruppi coinvolti nel fallimento di Wirecard sono Wdr e Sueddeutsche Zeitung. Secondo fonti non ufficiali, affermano, la controparte sarebbe il governo federale della Germania, la vigilanza bancaria Bafin, i revisori di EY, ex Ernst and Young, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di amministrazione di Wirecard. In sostanza, ciascuno di questi soggetti non sarebbe stato capace di svolgere per bene il proprio ruolo di sorveglianza.

COS’È SUCCESSO A WIRECARD

Wirecard Ag è una società di servizi finanziari e di pagamento digitali di Monaco di Baviera, che offre la tecnologia che permette i pagamenti elettronici e l’emissione di carte di credito come PayPal e Western Union, suoi diretti concorrenti. Del gruppo fa parte anche la controllata Wirecard Bank AG, che è membro dei circuiti di pagamento Visa, MasterCard e JCB. Una ampia descrizione di Wirecard AG e di cosa è accaduto qualche mese fa arriva dal Parlamento europeo. Fondata nel 1999, la società è molto cresciuta nei suoi 20 anni di vita grazie soprattutto alla sua espansione in Asia. Nel 2018 Wirecard Ag ha registrato un fatturato di oltre 2 miliardi e un utile netto di 347 milioni. Il patrimonio era pari a 1,9 miliardi e aveva 5.154 dipendenti. Ancora il 7 giugno scorso, tramite un comunicato stampa, il consiglio di amministrazione si dichiarava fiducioso per il 2020 attendendo “utili prima di interessi, tasse, ammortamenti e ammortamento (EBITDA) in un range compreso tra 1,0 miliardi di euro e 1,12 miliardi di euro”. Da ricordare che a settembre 2018 Wirecard è entrata a far parte delle 30 società che formano l’indice Dax 30, sostituendo Commerzbank, la seconda banca tedesca, spinta dall’andamento del prezzo delle azioni che favorisce i modelli di business delle fintech. Intanto, lo scandalo ha fortemente destabilizzato la Borsa tedesca: Deutsche Boerse ha cambiato le sue regole con l’obiettivo di buttar fuori velocemente Wirecard dal Dax30. Wirecard — la prima impresa fallita facente parte dell’indice in questione — è stata sostituita da Delivery Hero, società di prodotti alimentari.

In un’audizione al Bundestag, la BaFin ha rivelato che una scappatoia legislativa avrebbe permesso a Wirecard di ottenere la licenza di creare una banca, appunto la Wirecard Bank, e allo stesso tempo di sottrarsi alla sorveglianza e alle regole bancarie, tra cui l’obbligo di tenere una riserva di capitale per coprire eventuali perdite. Secondo il ministro dell’Economia tedesco, Peter Altmaier, “è uno scandalo senza precedenti nel mondo della finanza”.

Già nel 2018 e 2019 alcune agenzie regionali bavaresi pare abbiano temuto il suo coinvolgimento in operazioni di riciclaggio di denaro sporco ma non ci sarebbe stata alcuna conseguenza. Nelle ultime settimane, però, sarebbe emerso quanto accaduto: circa 2 miliardi di euro registrati tra gli attivi di bilancio — ovvero circa un quarto dell’intero bilancio societario — non esisterebbero e sarebbero stati depositati su due banche delle Filippine che però negano ogni contatto con Wirecard. Veri, invece, i 3,5 miliardi di debiti registrati in bilancio. Secondo gli investigatori tedeschi i responsabili della società avrebbero falsificato i volumi di affari con false entrate per attirare investitori e clienti. “Alcuni parlano di una ‘frode ben elaborata e raffinata’ — scrivevano Mario Lettieri e Paolo Raimondi su Startmag —. In Italia definiremmo l’intera faccenda con termini ben più precisi, molto di più di una grande truffa. È certo che tutte le agenzie di controllo e di supervisione interne ed esterne hanno fallito miseramente. L’audit è stato espletato dal ben noto revisore dei conti, l’agenzia internazionale privata Ernst & Young, che afferma di essere stata ‘ingannata’”. Al momento gli 1,9 miliardi di buco annunciati dall’ex ceo Markus Braun — arrestato a fine giugno e poi liberato su cauzione — sono saliti a 3,2 miliardi.

Intanto la cronaca giudiziaria si arricchisce di notizie inquietanti: ai primi di agosto Christian B., ex responsabile per l’Asia della società finanziaria, è morto a Manila per cause ancora da chiarire. Sarebbe stato lui ad aiutare l’ex presidente di Wirecard, Jan Marsalek, latitante da giugno, ovvero da quando lo scandalo è esploso. Ai primi di luglio, invece, la polizia tedesca ha arrestato a Monaco un altro manager di Wirecard, Oliver Bellenhaus, accusato di frode aggravata e di altri reati. Bellenhaus dirigeva la divisione di Wirecard con sede a Dubai che, secondo il Financial Times,  incideva sul 40 per cento dei profitti del gruppo.

IL COINVOLGIMENTO DELL’ITALIA

In Italia ci sono numerosi investitori che hanno creduto nelle potenzialità della società fintech. “Dopo la Germania, è l’Italia il Paese con il più alto numero di investitori travolti dal crac Wirecard dei quasi 400 che rappresento per procedere per vie legali e sanare perdite grandi e piccole, prese singolarmente dai 7 milioni ai 500 euro. Segue l’Austria”, ha detto l’avvocato Michael Leipold al Sole 24 Ore.

IL PESO DELLO SCANDALO WIRECARD SULLE PRINCIPALI BANCHE (COMMERZBANK, ING, LBBW E ABN AMRO)

Tra gli istituti di credito che più soffrono e soffriranno i passati rapporti con Wirecard c’è Commerzbank, il cui risultato operativo, nel secondo trimestre, è sceso a 205 milioni (era di 309 milioni nello stesso periodo del 2019). La seconda banca di Germania di sicuro deve fare i conti con la crisi legata alla pandemia da Covid ma pure con le svalutazioni dei crediti vantati nei confronti della fintech tedesca: gli accantonamenti per perdite su crediti nel trimestre sono saliti a 469 milioni di euro rispetto ai 178 milioni di euro dell’anno scorso. Di questi circa 175 milioni riguardano la sola Wirecard. La banca per il 2020 prevede perdite sui crediti comprese tra 1,3 e 1,5 miliardi di euro, in aumento rispetto alla precedente guidance da 1 a 1,4 miliardi di euro.

Anche Ing, la più grande banca dei Paesi Bassi, ha partecipato al consorzio di banche europee che hanno prestato soldi a Wirecard anzi è stato uno dei suoi maggiori finanziatori e anche nel suo caso le perdite hanno toccato quota 175 milioni. Nel secondo trimestre  i profitti sono scesi del 79% e l’utile netto trimestrale è sceso a 299 milioni rispetto agli 1,4 miliardi dello stesso periodo dell’anno scorso a causa delle svalutazioni  L’istituto di credito con sede ad Amsterdam ha accantonato altri 1,3 miliardi per far fronte alle inadempienze future previste dopo aver già accantonato nel primo trimestre 661 milioni.

Ancora il coronavirus e il fallimento della Wirecard costringono la Landesbank Baden-Württemberg (LBBW) a dover rifare i conti. L’utile prima delle tasse è crollato nella prima metà dell’anno di quasi il 69% a 103 milioni e gli accantonamenti per rischi sono saliti a 281 milioni (l’anno precedente erano pari a 63 milioni). A pesare, come si diceva, l’addebito Wirecard e gli accantonamenti per possibili insolvenze causate dalla pandemia

Perdita di 5 milioni nel secondo trimestre 2020 per ABN Amro a causa di un maxi onere da svalutazione di 703 miliardi, dovuto in soprattutto al caso Wirecard dove la banca olandese presentava un’esposizione significativa. Per questi motivi ABN Amro ha annunciato che la divisione corporate si ritirerà nei mercati dell’Europa nord-occidentale e uscirà dunque da Stati Uniti, Asia, Australia e Brasile. La ristrutturazione interesserà il 45% dei prestiti per un controvalore di 18 miliardi.

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