Neanche il tempo di festeggiare la semestrale, con utili a 200 milioni (figli però della gestione finanziaria, più che di quella ordinaria ancora ferma e in virtù anche di minori rettifiche sui crediti malati) e per Mps si apre un nuovo fronte d’inchiesta della Procura di Milano, come rivelato da Repubblica. Questa volta riguarda la politica di accantonamenti dei rischi legali, ritenuti sottostimati, da una serie di esposti inoltrati da Giuseppe Bivona, che da anni promuove cause contro la banca. Gli esposti riguardano i bilanci semestrali del 2020 e dei nove mesi sempre dello stesso anno.
Ma quanto è giustificata, e soprattutto cosa potrebbe appurare, la nuova grana giudiziaria che si abbatte sulla disastrata banca senese? A sfogliare i documenti contabili di Mps si scopre che, ancora a fine del 2019, la banca in effetti pare aver del tutto sottostimato i rischi dei contenziosi che tra cause dei singoli azionisti e rischi stragiudiziali assommavano a 5,1 miliardi, cui si è aggiunta, a metà del 2020, la maxi-causa da 3,8 miliardi della Fondazione Mps. Ora il maxi-danno della Fondazione è del tutto rientrato, dopo l’accordo di transazione per soli 150 milioni, sottoscritto nei giorni scorsi dalla banca con l’ex socio di maggioranza degli anni bui di Mps.
Ebbene sui 5,1 miliardi di petitum che residuano tuttora, la banca a fine del 2019 aveva accantonato solo 156 milioni. Davvero poca cosa. E da qui che evidentemente sono partiti gli esposti di Bivona. Mps deve essere corsa quindi ai ripari, alzando gli accantonamenti nella seconda parte del 2020, portandoli così a fine dicembre dello scorso anno a 984 milioni. Una rincorsa potente, segno che la sottovalutazione dei rischi era probabilmente reale.
La domanda oggi è: ma quel quasi miliardo di denari messi da parte nel bilancio sono congrui? Non pare. Se è vero che il campo si è sgombrato dai 3,8 miliardi della Fondazione, restano tuttora 5,1 miliardi di cause pendenti. Di cui la stessa banca, nel bilancio del 2020, segnala che 2,5 miliardi hanno un rischio definito “probabile” di soccombenza, mentre 600 milioni sono classificati come rischio “possibile”. Si tratta quindi di 2,5 miliardi più 600 milioni di cui Mps in futuro potrebbe doversi far carico.
Tra questi c’è anche la richiesta di danni per 500 milioni di euro da parte dell’ex socio Francesco Gaetano Caltagirone, come riporta La Stampa. La richiesta, risalente al 2014, sarebbe stata rinnovata nel 2018, ed è tornata d’attualità nell’ambito delle ricerche che il gruppo sta portando avanti per ridurre l’impatto dei rischi legali sul bilancio e presentarsi “pulito” al negoziato con Unicredit.