Una mossa disperata. Può definirsi così la trattativa aperta dal Mef con Unicredit sulla parte «buona» del Monte dei Paschi, lasciando indietro crediti deteriorati e cause legali. Lo dimostrano i risultati degli stress test della Bce arrivati ieri: Mps ha registrato il peggior risultato tra le 50 banche europee sottoposte all’esame dall’Eba, l’autorità bancaria europea.
L’istituto senese, nello scenario avverso, registrerebbe nel triennio 2021-2023 perdite cumulate per 2,73 miliardi e vedrebbe il suo Cet1 ratio, l’indice di solidità patrimoniale, passare dal 9,86% di fine 2020 a -0,1% del 2023.
Intanto il tempo per far scendere lo Stato dal Monte rispettando gli accordi con Bruxelles e Francoforte è quasi scaduto. E davanti alla porta di Rocca Salimbeni per ora si è presentato solo il fondo americano Apollo, non considerato. Quindi il ministro Daniele Franco aveva una sola carta da giocare: convincere l’ad di Unicredit, Andrea Orcel, ad aprire il negoziato.
Orcel, che deve però rispondere prima ai suoi azionisti, ha dettato le condizioni per garantire la «neutralità patrimoniale» dell’acquisto di un «perimetro selezionato» della banca (rete commerciale, clienti, depositi e masse gestite) grazie anche al bonus fiscale legato alle Dta. «Compreremo solo le parti che si adattano e sono complementari a noi» ed «evitando esuberi non necessari», ha spiegato ieri Orcel.
Quali saranno gli asset da rilevare verrà deciso entro metà settembre. Così come non è ancora chiaro l’impatto sul personale, si parla di 5-6.000 esuberi su base volontaria, tanto che il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni, ha definito «indispensabile avere chiarezza sui presupposti, concordati».
L’alternativa, ripetono a Roma, sarebbe stata peggiore per tutti: con la possibile risoluzione della banca, una valanga di licenziamenti e conseguenze imprevedibili a livello di sistema. Ma il punto è: quanto costerà la pulizia dei conti a carico dello Stato, e quindi di noi contribuenti?
Solo per la gestione dell’organico, il costo per lo Stato dovrebbe aggirarsi intorno a 1-1,2 miliardi. Poi vanno aggiunti i 6,1 miliardi di rischi legali e i 4 miliardi lordi (2,1 al netto delle coperture messe a bilancio) per la pulizia dei crediti deteriorati che potrebbero essere rilevati dalla bad bank pubblica Amco. Senza dimenticare il bonus fiscale di 2,9 miliardi previsto dal governo per le fusioni bancarie finalizzate entro giugno 2022.
La struttura tecnica è ancora tutta da costruire. Ma con questa operazione potrebbe chiudersi un cerchio aperto quasi quattordici anni fa. Il nome di Orcel, per i senesi, resta infatti ancora legato al peccato originale di Antonveneta: fu lui, quando era presidente della divisione «global markets & investment banking» di Merrill Lynch, il regista dello spezzatino di Abn Amro che consegnò la banca padovana al Santander e poi nel 2007 al Monte.
Nel comunicato diffuso l’8 novembre di 14 anni fa per annunciare l’acquisto di Antonveneta, Mps precisò di essere assistita da Merrill Lynch international in qualità di lead advisor finanziario aggiungendo che la stessa Merrill avrebbe curato anche gli aspetti relativi al finanziamento dell’operazione.
L’ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari, trattò anche attraverso Orcel con Emilio Botin, gran capo del Santander che aveva bisogno di denaro per acquisire con Royal bank Scotland e Fortis l’olandese Abn Amro. Così Botin a novembre 2007 vendette a Mussari per 9 miliardi (più 7 miliardi di debiti) quell’Antonveneta che solo quattro settimane prima aveva comprato proprio da Abn Amro per 6,6 miliardi.
Merrill si rifiutò di dare a Mps una «fairness opinion», un parere di equità sul prezzo, e Orcel avrebbe detto chiaramente a Mussari che era troppo caro. Ma la domanda resta: perché Mps offrì così tanto? Così come resta il fatto che il legame tra Orcel e la famiglia Botin in quel periodo viene cementato.
Tanto che nel settembre 2018 Ana Botin, la figlia di Emilio poi diventata presidente del Santander, gli promette pubblicamente la nomina al timone del Banco spagnolo con un bonus di ingresso che le cronache dell’epoca dicono sfiorasse i 50 milioni.
Nomina mai avvenuta perché i fondi azionisti di Santander arrivano a chiedere la testa del presidente che fa marcia indietro. Quanto a Orcel, scatena un contenzioso legale milionario ancora aperto. Di certo, quella che poteva essere la disfatta del Santander si trasformò nella Caporetto di Mps. E qui arriviamo al secondo intreccio. Perché il presidente di Unicredit oggi è Pier Carlo Padoan, ex ministro del Tesoro nonché ex deputato del Pd, che nel cda di giovedì si è astenuto dal voto.
Sotto di lui il Mef ha preso il controllo di Rocca Salimbeni con la ricapitalizzazione precauzionale e l’istituto è diventato il «Monte di Stato». E ora il Padoan banchiere tratta con lo Stato per prendersi solo la parte buona del Monte. Tra l’altro, il salvataggio di Mps coincide con la battaglia elettorale a Siena in vista delle suppletive di ottobre per la conquista di quel seggio lasciato libero proprio da Padoan.
(Estratto di un articolo pubblicato su laverita.info)