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Vi spiego meriti e demeriti del governo con la manovra

Il commento dell'economista Giorgio La Malfa, ex ministro delle Politiche comunitarie, sulla manovra del governo Conte

Dopo anni di crescita economica insoddisfacente che ha lasciato dietro di sé un’elevata disoccupazione, specialmente fra i giovani e che ha visto un progressivo deterioramente del rapporto fra il debito pubblico e il reddito nazionale nonostante i ripetuti impegni a ridurlo, era non solo comprensibile, ma anche doveroso, esplorare una nuova strada.

In questo senso era giusto che un governo, nato all’indomani di elezioni che avevano manifestato con forza l’insoddisfazione popolare, considerasse che il suo mandato fosse quello di cambiare profondamente l’impostazione della politica economica rispetto ai governi precedenti. Ed è questa diffusa consapevolezza che fa sì che  nei sondaggi risulti non ancora intaccato  significativamente il consenso dell’opinione pubblica verso i partiti di governo.

Il  problema non è l’obiettivo che il governo si è dato, politicamente legittimo e economicamente giustificato. È invece il modo in cui il governo si è mosso e si sta muovendo che rischia di trasformare, anzi che in larga misura sta trasformando, un’aspirazione giusta in una politica sbagliata. È’ come un giocatore di scacchi che, avendo una buona disposizione dei prezzi sulla scacchiera, in poche mosse riesca a finire in un angolo e a rischiare la sconfitta.

Il primo errore è di non avere capito che in questa riorientamento della politica economica l’Italia poteva trovare degli alleati nelle istituzioni europee e perfino nella Banca Centrale Europea e che non si trattava di forzare loro la mano ma di convincerli con buone ragioni che la strada che l’Italia voleva imboccare aveva come esito finale proprio quel consolidamento dei conti pubblici italiani che finora non è mai riuscito attraverso le politiche tentate in questi anni.

Che ragione c’era di aggredire gli interlocutori prima ancora di spiegare che cosa si aveva in animo di fare? E che ragione c’è di alimentare ogni giorno questa polemica? Nella maggioranza non sembrano rendersi conto che stanno ripetendo la strategia che aveva seguito il governo Renzi con le perorazioni sul cambiare verso all’Europa. Con la differenza che Renzi usava quest’arma per strappare concessioni marginali sui limiti del deficit, mentre in questo caso il governo Conte non mirava ad avere margini di rientro più ampi, ma voleva una svolta vera dell’impostazione. Mancanza di fiducia nella bontà e nella sostenibilità delle proprie idee.

In secondo luogo, i numeri dovevano venire molto presto e dovevano essere accompagnati da una spiegazione convincente del perché un maggiore deficit per il 2019 e per il biennio successivo si sarebbe trasformato in una crescita del reddito nazionale superiore a quella che gli organismi internazionali oggi prevedono per l’Italia. Se le proposte di poltica economica erano buone, la crescita più elevata sarebbe apparsa una conclusione convincente. Ma se la sola giustificazione diventa, come ripetono ogni giorno i due leader della maggioranza, gli impegni peresi con gli elettori, viene meno il solo argomento che le istituzioni eurpee potevano e possono accettare, e cioè  la dimostrazione che attraverso le politiche indicate nella legge di bilancio la crescita sarebbe stata più forte. Ad oggi non c’è un solo argomento che vada in questa direzione.

Il terzo errore è non avere capito che vi è una differenza sostanziale fra un debito pubblico nel quale un paese incorra per finanziare degli investimenti (che avranno un effetto espansivo della capacità di produrre domani nuovo reddito ) e una politica di sussidi pubblici. L’errore delle regole di bilancio del fiscal compact non è nella prescrizione che la spesa corrente non possa essere finanziata in deficit – questa sarebbe un’idea sacrosanta – ma il non avere fatto mai una distinzione fra le spese correnti alle quali vanno applicate regole severe di finanziamento non in deficit e le spese di investimento che hanno la loro giustificazione nel miglioramento delle prospettive future. Ma dove sono gli investimenti nella politica economica del governo se in fondo uno dei due contraenti ritiene che sia suo mandato ridurre o annullare i programmi di investimento? Forse fra i due contraenti è necessario un vero chiarimento politico su questo punto, anche perché esso si riflette nella presentabilità della manovra.

Un ulteriore problema – tutto interno al governo – è non avere risolto questi problemi nella fase di preparazione della manovra ed avere consentito che essi si manifestassero  come dissensi nella compagine di governo. Oggi il ministro dell’economia difende la manovra e quel 2,4% in cui si riassume il contrasto con l’Europa, ma il dubbio principale sulla sostenibilità di questo numero nasce dalla sua posizione nelle settimane della preparazione dei documenti. Oggi quelle posizioni del ministro sono la giustificazione migliore per i dubbi dell’Europa.

E infine completa questo panorama l’atteggiamento per cui le cattive notizie vengono liquidate dicendo “poteva andare peggio” È ua reazione  assolutamente inutile. Oltretutto, il governo è in piena contraddizione con sé stesso: non si può dire che il declassamento del debito pubblico italiano da parte di Moody è reso meno grave dal fatto che Moody ci assegna prospettive stabili e poi reagire al rating di Standard e Poor dicendo che il loro giudizio negativo sulle prospettive è “compensato” dal fatto che l’Agenzia  non ha abbassato il rating del debito italiano.

Perché o si trae sollievo da una di queste ragioni o lo si trae dall’altra. Trarlo da ambedue è ovviamente contraddittorio.

Infine lo spread. Non si tratta di dire che 300 è sopportabile e spostare progressivamente la soglia della preoccupazione. Oggi la prima esigenza è divenuta quella di indicare con chiarezza come il Governo intende far sì che lo spread torni a dov’era quando è nato il governo.  Altrimenti di cattiva notizia in cattiva notizia, sottovalutata in un modo o nell’altro, una partita che poteva essere  giocata e vinta, diventerà una partita persa. Non dal Governo, ma dall’Italia.

Giorgio La Malfa

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