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Industriali

Perché gli industriali in Germania sbuffano contro il governo Scholz

In Germania gli industriali sono sempre più critici con il governo, che perde consensi. Il ministro Habeck prova a ricucire lo strappo con un programma di aiuti da 50 miliardi per la decarbonizzazione delle imprese energivore.

 

Probabilmente non c’è la mano degli industriali nel sorprendente ritorno dei consensi per la destra radicale di Alternative für Deutschland (Afd), che prosegue la sua corsa nei sondaggi e, dopo aver scavalcato qualche settimana fa i Verdi ora – con il 18% – avrebbe affiancato i socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz al secondo posto nella graduatoria nazionale delle preferenze, alle spalle della Cdu. Gli imprenditori, d’altronde, non amano gli estremismi, neppure quelli di destra: non il loro nazionalismo sciovinista, che limiterebbe i commerci globali su cui la Germania ha basato la sua economia ai tempi della globalizzazione, non la loro autarchia sociale, in una fase storica dettata dalla mancanza di manodopera e dalla necessità di attirare immigrazione, specie qualificata.

GLI INDUSTRIALI TEDESCHI SONO STUFI DEL GOVERNO

Ma gli industriali ne hanno piene le scatole anche del governo, e nella caduta dei consensi per la cosiddetta coalizione semaforo il peso della loro delusione è certamente avvertibile. Eppure gli uomini d’affari avevano accolto come una promettente boccata d’ossigeno la nascita di un governo diverso dopo 16 anni di regno di Angela Merkel. Un governo del cambiamento, aveva promesso Olaf Scholz, che avrebbe rimesso in corsa un paese un po’ imballato, puntato con decisione sulla rivoluzione digitale per recuperare il tempo perduto e accelerato sull’impegnativo programma della transizione energetica per realizzare un’industria moderna e a neutralità climatica.

Di questo “vaste programme”, finora poco o nulla si è visto. Certo, la guerra della Russia in Ucraina ha prodotto tali e tanti cambiamenti (a cominciare dallo scardinamento del sistema di sicurezza energetico della Germania) da costringere l’esecutivo a occupare tempo e denaro per contrastarne le conseguenze, ma le critiche che arrivano da associazioni industriali e singoli imprenditori vanno diritte ai metodi utilizzati da questo governo: dirigismo, microgestione e mancanza di velocità.

Alcuni di loro danno fiato alle frustrazioni di un’intera categoria attraverso le pagine dell’Handelsblatt, il quotidiano economico sensibile alle posizioni della confindustria tedesca.

LA NUOVA LEGGE SUL RISCALDAMENTO

“La Germania è persino più costosa della Svizzera” e si trova in coda in termini di crescita, afferma Nikolas Stihl, 63enne presidente del comitato consultivo dell’omonima azienda produttrice di motoseghe. La costruzione del nuovo centro di ricerca sul cancro di Biontech in Gran Bretagna e la vendita delle attività di Viessmann nel settore delle pompe di calore a un’azienda statunitense sono a suo avviso segnali di allarme per i politici. “Nemmeno Elon Musk con il suo stabilimento Tesla a Grünheide o gli impianti di semiconduttori sovvenzionati con somme folli possono compensare questa perdita per la Germania come sede imprenditoriale”, dice Stihl. “Invece di elaborare una strategia, il governo sta facendo una microgestione con un’eccessiva regolamentazione”, aggiunge. E offre un esempio, a suo avviso eloquente, di costosa microgestione, preso proprio dall’attualità di queste settimane: la nuova legge sul riscaldamento.

Elaborata dal ministro dell’Economia Robert Habeck, una delle stelle più in caduta libera del governo Scholz, la legge prevede che dall’inizio del 2024 ogni nuovo impianto di riscaldamento installato dovrà essere alimentato per almeno il 65% da energia verde. Il passaggio sarà ammortizzato da un sussidio statale e sono contemplate eccezioni e periodi di transizione attraverso meccanismi talmente complessi da aver sollevato risentimento di specialisti interessati. Un esempio anche qui: una delle eccezioni riguarda i proprietari di case ultraottantenni, che potranno evitare di mettere mano al portafogli per cambiare gli impianti da caldaie a gas a pompe di calore e attendere che ci pensino gli eredi o eventuali successivi acquirenti. I controlli sull’età sarebbero affidati agli installatori di caldaie, la cui associazione si è ribellata rinfacciando al ministro che il loro compito è di controllare l’anagrafe delle caldaie, non dei loro proprietari.

I liberali, che in teoria combattono l’eccessiva regolamentazione, si sono nel frattempo rimangiati l’accordo firmato in consiglio dei ministri e hanno rimesso i bastoni fra le ruote della legge, impedendo la sua trasmissione al Bundestag. Su questo sono quindi riprese le trattative fra i tre partiti: insomma un pastrocchio che sta costando credibilità al governo. Non solo nei confronti degli elettori, ma anche del mondo imprenditoriale.

Anche Natalie Mekelburger, managing partner dello specialista di cavi Coroplast, afferma che i problemi di una “svolta energetica dirigista e su piccola scala” stanno diventando sempre più evidenti. “Ma poiché solo il partner di coalizione più piccolo sembra esserne consapevole e l’approccio di libero mercato dell’Fdp non corrisponde a quello di economia pianificata dei Verdi, non c’è da stupirsi che i conflitti stiano ora ribollendo”, aggiunge.

Musi lunghi anche da parte di Arndt Kirchhoff, presidente del consiglio di amministrazione del gruppo omonimo, attivo tra l’altro come fornitore di automobili, che sempre attraverso l’Handelsblatt, chiede al governo un’accelerazione significativa sui temi cari al mondo delle imprese. “L’annunciata velocità tedesca deve diventare visibile nelle procedure di pianificazione e approvazione, nella riduzione della burocrazia o nell’espansione delle energie rinnovabili”, dice Kirchhoff, che è anche presidente dell’associazione imprenditoriale del Nord Reno-Vestfalia, il Land industriale per eccellenza della Germania.

IL PIANO DI AIUTI ALLE IMPRESE ENERGIVORE

Il governo, tuttavia, prova a ricucire il rapporto soprattutto sull’aspetto degli incentivi che stanno a cuore agli industriali, timorosi che la legislazione Ira degli Stati Uniti possa spingere più di quanto stia già avvenendo le aziende tedesche a investire oltreoceano. E così Robert Habeck ha anticipato alcuni contenuti di un programma che metterà a disposizione decine di miliardi di euro per le aziende che devono sostenere costi energetici elevati per finanziare il passaggio a tecniche di produzione a zero emissioni. Si tratta delle aziende cosiddette energivore che producono notevoli quantitativi di CO2: acciaierie, cementifici, produttori di carta e industrie chimiche. Il programma avrà un volume di circa 50 miliardi di euro, si estenderà per i prossimi 15 anni e attingerà  dal fondo per il clima e le trasformazioni, alimentato in prevalenza dai proventi dello scambio di emissioni. Servirà alle aziende che faranno richiesta a finanziare le ingenti spese per gli strumenti necessari a decarbonizzare la produzione.

“Siamo in un periodo di recessione prolungata, in un periodo estremamente difficile dal punto di vista economico”, ha dichiarato il ministro dell’Economia illustrando alcuni aspetti del programma. Habeck ha poi sottolineato come mentre altre parti del mondo, dagli Stati Uniti all’Asia, offrano incentivi agli investimenti, la Germania sia soggetta a requisiti più severi per quanto riguarda il bilancio e il mantenimento del debito sotto controllo. “Ciononostante, sarebbe ingiusto non fornire incentivi e impulsi agli investimenti in questa fase”, ha concluso, “stiamo infatti osservando una debolezza negli investimenti e nell’innovazione in Europa e in Germania”.

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