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First Republic

First Republic e non solo, perché le banche regionali mettono ansia all’America

Crollano azioni e rating di First Republic Bank, ma JpMorgan - una delle banche più grandi degli Stati Uniti - vorrebbe intervenire per soccorrerla. Gli investitori sono nervosi, ma le autorità assicurano che la crisi delle banche regionali si è stabilizzata.

 

Stando al Wall Street Journal, Jamie Dimon, l’amministratore delegato di JPMorgan Chase, una delle quattro banche più importanti degli Stati Uniti, sta guidando le trattative con i dirigenti di altri grandi istituti di credito per stabilizzare la situazione di First Republic Bank. È una banca più piccola, con sede in California, in carenza di liquidità dopo i numerosi prelievi delle scorse settimane, per un totale di 70 miliardi di dollari. I correntisti sono spaventati dalla possibilità di nuovo fallimento dopo quello di Silicon Valley Bank, che ha spinto il governo a intervenire in tutela dei depositanti.

LE GRANDI BANCHE VALUTANO UN INVESTIMENTO IN FIRST REPUBLIC

Diverse grandi banche, tra cui proprio JPMorgan, hanno già depositato 30 miliardi di dollari in First Republic per aiutarla a superare il momento di crisi. Il Wall Street Journal scrive che questi istituti stanno valutando un investimento in First Republic, forse convertendo in infusione di capitale una parte o l’interezza dei 30 miliardi di depositi.

COME VA FIRST REPUBLIC, TRA AZIONI IN PICCHIATA E RATING “SPAZZATURA”

Intanto, ieri le azioni di First Republic hanno perso fino al 46 per cento: gli investitori temono che l’aiuto finora offerto dalle big banks non sia sufficiente. Domenica, inoltre, l’agenzia di rating S&P Global ha abbassato ulteriormente il giudizio su First Republic a junk, “spazzatura”, parlando di rischi persistenti per la liquidità dell’istituto.

COME PROCEDE LA CRISI DELLE BANCHE REGIONALI AMERICANE

Un funzionario degli Stati Uniti rimasto anonimo ha detto domenica all’agenzia Reuters che i deflussi dei depositi dalle banche regionali americane (come First Republic, PacWest o Western Alliance) stanno rallentando, e in alcuni casi si stanno anche invertendo, ma gli investitori non sono ancora convinti che la crisi sia passata. Il funzionario ha poi aggiunto che l’esposizione delle banche statunitensi al gruppo svizzero Credit Suisse, che verrà comprata da UBS per evitarne il fallimento, è limitata.

Anche alcune banche regionali americane hanno fatto sapere che le loro basi di depositi si sono stabilizzate.

Reuters riporta che quattro legislatori statunitensi hanno detto di voler prendere in considerazione un aumento del limite di assicurazione federale sui depositi rispetto agli attuali 250.000 dollari per ispirare maggiore fiducia nel sistema.

COSA STA FACENDO LA FDIC

La FDIC, l’ente governativo che fornisce assicurazione sui depositi delle banche e che ha preso il controllo di Silicon Valley Bank e Signature Bank, sta lavorando per riportarle nelle mani del settore privato. Ha annunciato che la New York Community acquisterà depositi, prestiti (con uno sconto di 2,7 miliardi) e quaranta filiali di Signature Bank. La FDIC stima che l’operazione avrà un impatto di 2,5 miliardi sul proprio fondo.

L’autorità non sta invece riuscendo a trovare un acquirente per l’interezza di Silicon Valley Bank, ma – stando alle fonti di Reuters – dovrebbe cercare nuove offerte per delle porzioni della banca mercoledì e venerdì.

LO STUDIO DI SOCIAL SCIENCE RESEARCH

Secondo uno studio di Social Science Research, la crisi bancaria statunitense, nel peggiore scenario possibile, potrebbe mettere in difficoltà centonovanta istituti.

Particolarmente problematiche sono le perdite potenziali legate al portafoglio di titoli indicati come held to maturity, quelli che le banche vogliono conservare fino alla loro scadenza: tali perdite ammonterebbero a 2000 miliardi, molto più dei 620 miliardi stimati dalla FDIC a fine 2022. A questo si aggiungono i deflussi dei depositi, che secondo JPMorgan sarebbero ammontati a 550 miliardi solo nella terza settimana di marzo. In ultimo, c’è la possibile carenza di titoli “da consegnare come garanzia per ottenere finanziamenti dalla Fed”, la banca centrale degli Stati Uniti, scrive Il Sole 24 Ore.

Questi problemi sono legati tra loro. Come spiega il quotidiano, i titoli held to maturity vengono contabilizzati al costo ammortizzato e non al loro valore di mercato: la banca, dunque, non segnala perdite qualora i prezzi dovessero scendere. Il rialzo dei tassi portato avanti dalla Fed e da altre banche centrali durante il 2022 ha causato una notevole diminuzione dei prezzi delle obbligazioni: per le banche, la perdita media potrebbe essere stata del 10 per cento, ma una parte di questa – quella che rientra negli held to maturity – non compare nei bilanci.

Di conseguenza – è il caso di Silicon Valley Bank -, qualora una banca dovesse attingere a questi titoli e venderli prima della scadenza per rispondere a un aumento dei prelievi, finirebbe per riportare “tutto d’un colpo le intere perdite che non aveva mostrato nel 2022”, scrive Il Sole 24 Ore.

Una parte significativa dei depositi bancari americani non è coperta dalla garanzia federale, che si ferma a 250.000 dollari. Secondo uno studio degli economisti Erica Jiang, Gregor Matvos, Tomasz Piskorski e Amit Seru, il 23 per cento delle attività delle banche statunitensi è finanziato da depositi non assicurati. In momenti di incertezza, questi depositi sono i primi a venire trasferiti altrove: in questo preciso momento nei fondi monetari, per approfittare degli interessi al 4,58 per cento garantiti dai titoli di stato americani a tre mesi (i conti correnti, invece, offrono interessi circa allo zero).

Secondo lo studio, se il 10 per cento dei depositi non assicurati dovesse venire ritirato dalle banche, gli istituti a rischio fallimento sarebbero sessantasei, con 201 miliardi di attivi.

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