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La Fed non segue la Bce sull’ossessione green

"Non siamo né saremo un policymaker del clima", assicura il capo della banca centrale degli Stati Uniti. L'approccio di Lagarde è invece opposto: la Bce deve intervenire a favore della transizione ecologica, anche attraverso una politica monetaria ad hoc.

Jerome Powell e Christine Lagarde hanno un’idea molto diversa del ruolo delle banche centrali nella transizione ecologica.

IDEE A CONFRONTO

“Non siamo, e non saremo, un policymaker del clima”, ha specificato il primo, presidente della Federal Reserve (FED) degli Stati Uniti.

“Dobbiamo incorporare il cambiamento climatico in tutto ciò che facciamo: modelli, dati, proiezioni e analisi”, ha scritto invece la seconda, presidente della Banca centrale europea (BCE). “In definitiva, dobbiamo garantire che la nostra politica monetaria tenga conto dell’impatto del cambiamento climatico”.

COSA PENSA POWELL (FED)

Powell pensa al contrario che “le decisioni sulle politiche per affrontare direttamente il cambiamento climatico dovrebbero essere prese dai rami eletti del governo”, anche se molti gruppi ambientalisti vorrebbero dagli istituti centrali un intervento netto a favore della decarbonizzazione, ad esempio alzando il costo per le banche di concedere prestiti all’industria dei combustibili fossili.

La FED si sta limitando a supervisionare l’esposizione delle banche ai rischi finanziari legati agli effetti dei cambiamenti climatici: gli eventi metereologici estremi – come incendi, alluvioni o lunghi periodi di siccità – possono infatti danneggiare infrastrutture e “inceppare” le catene di approvvigionamento, creando perdite per gli investitori. “Ma senza un’esplicita legislazione del Congresso”, ha dichiarato il presidente Powell, “sarebbe inappropriato per noi usare la nostra politica monetaria o i nostri strumenti di vigilanza per promuovere un’economia più verde o per raggiungere altri obiettivi basati sul clima”.

In altre parole: le banche centrale fanno le banche centrali, e i politici fanno i politici; a ciascuno il suo mestiere.

COSA PENSA LAGARDE (BCE)

Se Powell vede per la FED un ruolo marginale rispetto alla transizione ecologica, Lagarde vuole una BCE interventista: “il rafforzamento degli sforzi per spostare l’approvvigionamento energetico verso fonti rinnovabili più economiche dovrebbe contribuire a rallentare l’inflazione”, scriveva nel blog della banca il 7 novembre scorso. Mentre Powell prende le distanze dall’etichetta di climate policymaker, nell’intervento di Lagarde viene espressa la necessità di “rendere la nostra politica monetaria adatta al cambiamento climatico” e di “spianare la strada verso un’economia più verde”.

LA BCE DALLA PARTE DELLE AZIENDE VERDI

In una pagina del sito web della BCE dedicata ai cambiamenti climatici, si legge che l’istituto sostiene “una transizione ordinata verso un’economia a zero emissioni di carbonio con misure che rientrano nel nostro mandato. Ciò include la promozione dello sviluppo della finanza sostenibile e la creazione di incentivi per un sistema finanziario più verde”.

A inizio febbraio la BCE ha annunciato che, dal mese successivo, avrebbe smesso di acquistare nuove obbligazioni di aziende private, ad eccezione dei bond di quelle società particolarmente attente alla sostenibilità climatica e ambientale. Continuerà anche ad acquistare i loro green bond – si chiamano così perché finanziano progetti “ecologici” – sul mercato primario.

Jo Richardson, analista del think tank Anthropocene Fixed Income Institute, disse in quell’occasione a Euractiv che la BCE era stata chiara “sul fatto che i suoi principali interessi di mercato dipenderanno dai risultati climatici degli emittenti” di obbligazioni: le aziende più green saranno favorite, e quelle maggiormente emissive penalizzate.

In sostanza, la BCE vuole “decarbonizzare gradualmente le proprie partecipazioni in obbligazioni societarie”, come segnalato da ItaliaOggi.

L’ANALISI DI LITURRI

Giuseppe Liturri, analista economico di Startmag, spiegava che “pur di promuovere la transizione verde, la BCE è disposta ad intervenire pesantemente nella composizione dei bond societari che detiene in portafoglio, privilegiando gli emittenti più sensibili al green. Peccato che da tempo sia stato sollevato il rischio del cosiddetto greenwashing, una classica mano di vernice verde pur di imbonire gli investitori. Stessa cosa sul fronte più delicato dei titoli pubblici, per i quali si paventa un pericoloso ribilanciamento a favore dei titoli governativi di paesi più spinti verso la decarbonizzazione”.

Liturri ha criticato poi le tesi di Isabel Schnabel, economista tedesca e membro del comitato esecutivo della BCE, secondo la quale “i tassi più alti renderanno meno profittevoli gli investimenti in energie rinnovabili nella transizione ecologica, ma questo non può costituire un ‘capro espiatorio’ per ritardare tali investimenti. Anzi, è solo contenendo l’inflazione che la transizione potrà avere successo. Infatti, la stabilità dei prezzi ‘è precondizione per una sostenibile trasformazione della nostra economia’.

L’aspetto “drammatico”, a detta di Liturri, “è che la Schnabel ha ben chiara la limitatezza del suo mandato, ma ha cercato di trovare un paravento legale usando l’obiettivo secondario costituito dal ‘sostegno alle politiche economiche della UE'”.

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