Il colpo di coda della Commissione uscente di Ursula von der Leyen rischia di essere nulla rispetto al colpo di coda che potrebbe assestare il Dragone, furioso per i dazi che la Ue ha timidamente imposto alle auto cinesi a seguito dell’indagine anti-dumping avviata lo scorso ottobre con la quale si accusa Pechino di fare concorrenza sleale alle Case costruttrici occidentali, in quanto inonderebbe di fondi pubblici i propri marchi affinché riescano a calmierare i prezzi, rendendoli oltremodo competitivi.
IN BORSA I DAZI ANTI CINA FANNO MALE AI MARCHI UE
Se si crede che i mercati possano fare da sismometro, avvertendo prima delle contromosse ufficiali segnali ancora impercettibili all’orecchio umano, la fotografia restituita all’indomani delle prime misure è indicativa.
SOFFRE ANCHE RENAULT
Il tonfo del 3,27% per l’italo-francese Stellantis (che il contratto con Leapmotor trasformerà in concessionario di auto cinesi) e il capitombolo del 4,5% per la tedesca Volkswagen sono i primi segnali di scosse telluriche che potrebbero iniziare a scuotere nel profondo il mercato comunitario dell’automobile. L’onda d’urto ha iniziato a far ballare un po’ tutte le Case automobilistiche. A stare peggio non sono solo le tedesche (meno 2,3% per Mercedes-Benz, meno 3,05% per Bmw) dato che pure la francese Renault lascia sul campo un robusto – 2,66%.
COLPITA PERSINO FERRARI
E soffre pure il lusso: meno 2,78% per Ferrari, che in Cina è presente da 31 anni ma soprattutto nell’ultima decade l’ha vista diventare uno dei mercati di riferimento. La Cina, del resto, è il secondo Paese al mondo per numero di miliardari, dietro solo agli Stati Uniti, e la società di consulenza Bain & Co. stima che nel sottile segmento dei beni extra-lusso i consumatori cinesi rappresenteranno il 38% del totale entro il 2030.
BYD NON SMETTE DI CORRERE
E i marchi cinesi come l’hanno presa? Su tutti, Byd, che stava già inondando il Vecchio continente con le sue auto elettriche, ha guadagnato il 2,6%. I mercati sembrano insomma percepire ciò che la Commissione Ue non è riuscita a pronosticare, ovvero che la soluzione di compromesso decisa per non scontentare troppo la Germania (che in Cina fa affari da anni e temeva ripercussioni per i suoi marchi automobilistici) è una misura a metà.
Una misura che ci lascia a metà del guado, in balia della corrente e, soprattutto, della risposta di Pechino. Per questo soffrono i marchi di casa nostra, mentre non vengono minimamente intaccate le aspettative nella corsa di quelli cinesi, che anzi temevano dazi maggiori, paragonabili a quelli appena varati dalla Turchia, o addirittura a quelli americani, che di fatto costituiscono un muro (sono persino maggiori di quelli dietro ai quali l’India ha storicamente trincerato il proprio mercato) invalicabile per i marchi in arrivo dal Dragone.
COME RISPONDE LA CINA AI DAZI UE?
L’Europa la sua mossa l’ha fatta. Ora tocca alla Cina. La partita dei dazi è fatta anche di sottili strategie, non solo di brutali imposizioni doganali. E Pechino con ogni probabilità risponderà colpendo i prodotti europei che finiscono sulle tavole dei cinesi.
In particolare vini, formaggi e altri latticini per iniziare ad aprire crepe nel muro europeo. La Cina sa che gli Stati del Vecchio continente gareggiano per attrarre capitali e gigafactory cinesi. E sa altrettanto bene che competono pure per ritagliarsi un proprio spazio sul suo mercato.
La forza della Cina è quella di essere un blocco unitario, peraltro in regime autocratico che consente mosse a lungo termine. La debolezza dell’Europa è di rappresentare un coro di 27 voci solitamente dissonanti, tanto più in politica estera. E la democrazia, coi suoi riti e le sue liturgie, i cambi di marea e di prospettiva, spariglia le carte continuamente: non è detto che il nuovo Parlamento e la nuova Commissione perseguano le politiche adottate fin qui.
Secondo quanto scrive il Global Times, di fatto l’organo ufficiale in lingua inglese del governo, Pechino avrebbe chiesto alle principali industrie cinesi di raccogliere prove, ciascuna nel proprio campo di competenza, per richiedere l’apertura di indagini antidumping su alcuni prodotti caseari e carni suine provenienti dall’Ue.
Un portavoce del ministero del Commercio ha affermato che le industrie cinesi “hanno il diritto di chiedere l’apertura di indagini su sovvenzioni e antidumping che le autorità competenti esamineranno in conformità alla legge”.
LE MINACCE GIA’ VENTILATE
Sempre il Global Times lascia intendere che, sul fronte automobilistico, potrebbero essere prese di mira le importazioni di auto con motori di grossa cilindrata. Per alcuni osservatori la contromossa cinese sarà rapida e spiazzante, mirata a spingere i Paesi che esportano di più a chiedere alla nuova Commissione di cancellare quanto appena fatto dalla uscente.
L’insoddisfazione cinese, benché i dazi della Ue sulle auto elettriche che provengono dalla Cina siano quasi acqua fresca, è evidente e ben traspare da questa dichiarazione rilasciata da un portavoce del ministero del Commercio: “L’Ue ha ignorato i fatti e le regole della Wto, ha ignorato le ripetute forti obiezioni della Cina, ha ignorato gli appelli e la dissuasione dei governi e delle industrie di diversi Stati membri dell’Ue e ha insistito ostinatamente per la sua strada. La Cina èmolto preoccupata e fortemente insoddisfatta di questo. L’industria cinese è profondamente delusa e fermamente contraria”.
L’UE HA COLTO DI SORPRESA LA CINA?
Una irritazione che lascia intendere che, benché la presa di posizione comunitaria fosse “telefonata” e quasi scontata, abbia comunque sorpreso Pechino, che evidentemente non si aspettava che l’Ue sarebbe andata davvero fino in fondo coi dazi anti Cina.
Eppure ancora il mese scorso, al termine del trilaterale con Emmanuel Macron e Xi Jinping, la numero 1 della Commissione era stata chiara: “Con il presidente Xi abbiamo discusso delle questioni economiche e di commercio; ci sono degli squilibri, che suscitano gravi preoccupazioni, e siamo pronti a difendere la nostra economia, se serve”.
Spiegando che “i prodotti sussidiati cinesi, come le auto elettriche o l’acciaio, stanno inondando il mercato europeo, questo mentre la Cina non aumenta la domanda interna”, ha notato. “L’Ue non può tollerare pratiche che portino alla sua de-industrializzazione”.
Per molti analisti però la Cina confidava che Bruxelles si sarebbe limitata agli slogan da campagna elettorale. Sperando forse che Berlino si dimostrasse un miglior alleato di Pechino. Ma la Germania, in piena crisi economica, politica e a quanto pare identitaria, non sembra più in grado di guidare le politiche europee. Almeno non con la fermezza di un tempo.
Se questa lettura fosse veritiera vorrebbe altresì dire che mentre il Dragone aveva già messo in conto di non poter vendere le proprie auto elettriche negli Usa, aveva individuato nel Vecchio continente il suo principale mercato per le esportazioni. Anche per questo, insomma, la Cina non potrà restare a guardare e proverà tutte le strategie a propria disposizione per smantellare il muro doganale.
RITORSIONI E NON SOLO
Non è detto che le risposte saranno tutte muscolari. Le dichiarazioni di diversi marchi automobilistici cinesi, per esempio, lasciano intendere che il Dragone proverà ad avvolgere tra le proprie spire i 27 del club europeo anche con la promessa di nuovi investimenti e nuove gigafactory sul suolo comunitario. L’importante è che il consumatore europeo compri cinese.