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Ilva

Il disastro ex Ilva? Colpa di Conte, non di Meloni. Parola di Calenda

La vera responsabilità della crisi dell'ex Ilva è del governo Conte secondo l'ex ministro dello Sviluppo economico, Calenda: il M5s - con l'appoggio del Pd e di Iv - eliminò lo scudo penale, creando le premesse per il disimpegno di Mittal. Tutti i dettagli

“Il Governo Meloni non ha alcuna responsabilità sulla crisi di Ilva. La crisi di Ilva nasce quando è stato fatto saltare un accordo blindato, siglato a seguito di una gara europea, prima confermato e poi disfatto da Conte e compagni per compiacere la Lezzi dopo il pessimo risultato delle europee”. È il pensiero, condensato su X, di Carlo Calenda, segretario di Azione ed ex ministro dello Sviluppo economico, sulla crisi di Acciaierie d’Italia, l’azienda siderurgica precedentemente nota come Ilva.

I soci di Acciaierie d’Italia – il gruppo indiano-lussemburghese ArcelorMittal, che ne possiede il 62 per cento, e il ministero dell’Economia attraverso Invitalia, con il 38 per cento –  non hanno trovato un accordo per l’aumento del capitale e il risanamento dei debiti: la società ha bisogno di liquidità per riattivare la produzione e le sue passività ammontano a circa 1,5 miliardi di euro.

COSA È SUCCESSO ALL’EX ILVA E COSA POTREBBE SUCCEDERE, IN BREVE

In breve, lunedì i rappresentanti di ArcelorMittal hanno rifiutato la proposta del governo italiano per un aumento di capitale di Acciaierie d’Italia da 320 miliardi di euro, che avrebbe portato la partecipazione di Invitalia al 66 per cento facendo passare la società sotto il controllo dello stato. ArcelorMittal, però, non si è mostrata intenzionata “ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza”, ha fatto sapere il governo in un comunicato.

Lo scenario più probabile a questo punto – secondo Il Sole 24 Ore – è l’avvio di un contenzioso legale tra il governo e ArcelorMittal; Acciaierie d’Italia potrebbe finire sotto amministrazione straordinaria. “Nelle intenzioni del governo”, prosegue il quotidiano confindustriale, “c’è l’individuazione di un partner industriale che possa subentrare. Da mesi ormai si fa il nome di Arvedi o di altri acciaieri del Nord”.

– Per approfondire, leggi: Ex Ilva: Arcelor Mittal tratta solo la buonuscita?

Che ArcelorMittal non fosse più intenzionata a investire nel rilancio della ex Ilva era cosa nota da tempo. Come ha scritto il giornalista ed editorialista del Sole 24 Ore Paolo Bricco, esperto di storia industriale italiana, “Arcelor Mittal ha ritirato nel 2019 il suo management straniero e ha deconsolidato Acciaierie d’Italia dal suo bilancio, facendone una triste monade senza collegamenti vitali con il suo poderoso organismo di secondo gruppo al mondo. Lo avevano capito in tanti. Ora lo ha capito anche il Governo”.

LO “SCUDO PENALE” E L’ATTACCO DI CALENDA AL GOVERNO CONTE

Secondo Carlo Calenda – già ministro dello Sviluppo economico dal 2016 al 2018, nei governi Renzi e Gentiloni -, l’ultimo capitolo della lunga crisi dell’ex Ilva è stato scritto dal governo di Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle, a suo dire colpevole di aver “disfatto” un “accordo blindato” per “compiacere la Lezzi”, cioè Barbara Lezzi, ministra per il Sud dal 2018 al 2019. Come scriveva Il Foglio nel 2019, Lezzi è stata la “prima firmataria dell’emendamento al decreto imprese che il 22 ottobre scorso ha eliminato l’immunità per i gestori dell’acciaieria”.

In breve, nel 2019 il governo Conte eliminò il cosiddetto “scudo penale” per ArcelorMittal, che garantiva al gruppo indiano-lussemburghese la certezza che non avrebbe dovuto “pagare penalmente per errori compiuti, prima, da altri”, sintetizzava Bricco in un articolo di inizio dicembre.

“Come dichiarai allora”, prosegue Calenda su X, “‘Ia storia di Ilva finisce oggi. Nessun investitore verrà a mettere soldi in un paese che cambia ex post regole e norme. La scelta successiva di fare una società con Mittal senza vincoli e paletti blindati è stata una follia, così come la promessa mai mantenuta di fare acciaio green senza spiegare cosa fosse. A questo punto l’unica ‘soluzione’ è retrocedere l’impianto all’amministrazione straordinaria, usando una norma varata dal governo Gentiloni, e ricominciare tutto daccapo. Non sappiamo tuttavia se ciò implichi penalizzazioni perché non conosciamo gli accordi tra Mittal e Invitalia, rimasti segreti”.

“Questa è la situazione”, conclude il segretario di Azione. “I responsabili sono i partiti che votarono, dopo averlo confermato, per l’abolizione dello scudo penale. La fine era dunque nota da quattro anni. Ora cerchiamo almeno di imparare da quanto accaduto. La politica italiana ha scarsa o nulla conoscenza delle imprese. Il risultato è che pensano di poter giocare con gli asset industriali come fossero conferenze stampa o slogan da saltimbanchi. Non funziona”.

Qualche minuto dopo la pubblicazione del post, Calenda ha aggiunto un altro messaggio: “vorrei”, ha scritto, “che provassimo a fare mente locale e ricordare le centinaia di ore di talk show che raccontavano le mirabolanti idee dei 5S, di come avevano costretto Mittal ad abbassare la testa minacciando la ‘madre di tutte le cause’ etc”.

COME SIAMO ARRIVATI A QUESTO PUNTO, SECONDO CALENDA

Sempre su X, Calenda ha ricostruito in sei punti la storia dell’ex ILVA dopo l’eliminazione dello scudo penale ad ArcelorMittal, l’azionista di maggioranza.

1) La procedura di aggiudicazione di ILVA a Mittal si è conclusa con il Conte uno a seguito della firma dell’accordo sul lavoro e dopo lungo periodo di “studio” della gara (costo 80 mil). A questo proposto vi prego di rivedere brillante video di Di Maio con dichiarazioni trionfalistiche. E miei complimenti successivi per aver cambiato idea.

2) Poi avete cambiato idea di nuovo e fatto saltare l’accordo perché erano andate male le europee.

3) Poi avete minacciato di fare la madre di tutte le cause a Mittal

4) Poi avete cambiato idea e fatto una società con Mittal in maggioranza senza alcuna garanzia.

5) Poi avete promesso l’acciaio green.

6) Poi avete lasciato da pagare agli italiani il conto di tutte queste cazzate.

IL SENSO DELLO SCUDO PENALE AD ARCELORMITTAL

Nel 2019, intervistato da La Stampa, Calenda aveva spiegato che lo scudo penale sull’ex ILVA era “indispensabile” perché “serve a fare in modo che chi rispetta tutti gli obblighi previsti per legge dal piano ambientale non venga perseguito. Cosa che invece è avvenuta in passato. Dopodiché senza lo scudo nessuno viene a investire a Taranto e nessuno fa i lavori di ambientalizzazione”.

Il politico aveva aggiunto che tale garanzia era stata richiesta non solo da ArcelorMittal, ma anche dalla cordata concorrente guidata da Cassa depositi e prestiti (dunque dal ministero dell’Economia).

“L’ILVA È FINITA”, SECONDO CALENDA

Ospite a Omnibus, su LA7, Calenda oggi ha dichiarato che – visto il mancato accordo tra ArcelorMittal e il governo per la ricapitalizzazione di Acciaierie d’Italia – “l’unica alternativa praticabile è usare una norma […] che consente di rimettere Ilva in amministrazione straordinaria […]. Quando c’è stata la gara e ha vinto Mittal, Mittal non ha avuto la fabbrica. Mittal ha avuto la fabbrica a condizione di firmare un accordo blindato che prevedeva tutta una serie di cose […]. Quando i Cinque Stelle lo confermarono e poi lo fecero saltare rimuovendo lo scudo penale – che, ricordo, non era stato dato a Mittal, era già dei commissari del governo -, quindi cambiando il perimetro legale, quello che succede è che prima conte dice ‘Faccio la madre di tutte le cause’ e poi ci fa una società insieme” attraverso Invitalia come socio di minoranza.

“Ma fare una società insieme a Mittal, con lo stato dentro, non avendo Mittal alcun obbligo, è la cosa peggiore di tutte”, sostiene Calenda. “Per me Ilva, diciamo, è finita. Il punto è quanti soldi ci metterà lo stato dentro. Perché un’acciaieria di quelle dimensioni è difficilmente gestibile dallo stato, soprattutto con le norme europee, che sull’acciaio sono particolarmente stringenti. E perché nessuno verrà mai più a investire sull’Ilva. In parte perché ci sono rischi legali giganteschi. Lo scudo legale poi, per paradosso, è stato ripristinato”.

COME ANDRÀ A FINIRE?

Secondo Calenda, “forse da tutta questa vicenda – che porterà a mio avviso alla chiusura dell’Ilva, a dover fare una bonifica gigantesca, complicatissima – una cosa possiamo imparare: che tu non puoi usare le fabbriche come spot elettorale. Perché quello scudo penale fu levato perché il Movimento 5 Stelle [con il voto favorevole anche del Partito democratico e di Italia Viva, precisa lo stesso Calenda, ndr] andò male alle europee. Questo modo di fare politica industriale vuol dire chiudere le fabbriche”.

Nel 2019 Calenda attaccò infatti non solo il Movimento 5 Stelle, ma anche “Renzi e il Pd presieduto da Paolo Gentiloni” per essersi rimangiati i passi fatti sull’ex ILVA “perché non riescono a dire ai 5 Stelle che andava confermato un articolo di legge che avevano scritto loro stessi”.

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