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Ex Ilva: Arcelor Mittal tratta solo la buonuscita?

L'esito dell'incontro fra governo e Arcelor Mittal sull'ex Ilva. La nota di Palazzo Chigi. La posizione dei sindacati. E gli scenari

Il gruppo franco-indiano Arcelor Mittal ha beffato il governo Meloni?

E’ la domanda che a mezza bocca circa tra alcuni addetti ai lavori che seguono la vicenda dell’ex Ilva dopo le ultime novità.

Ecco che cosa è successo ieri, la nota di Palazzo Chigi, la posizione dei sindacati e quali sono ora gli scenari secondo i principali quotidiani.

Illuminante l’analisi di Paolo Bricco del Sole 24 ore: “Quando lo Stato entrerà nel pieno possesso dell’acciaieria, chi andrà sul campo e negli uffici? Né Invitalia né il vecchio ministero dell’Industria né il Mef hanno le strutture interne da distaccare in cinque minuti netti a Taranto, Novi Ligure e Cornigliano”. E comunque le scelte del gruppo franco indiano erano piuttosto note: “Arcelor Mittal ha ritirato nel 2019 il suo management straniero e ha deconsolidato Acciaierie d’Italia dal suo bilancio, facendone una triste monade senza collegamenti vitali con il suo poderoso organismo di secondo gruppo al mondo. Lo avevano capito in tanti. Ora lo ha capito anche il Governo. Si entra in una nuova fase. Sarà tutto difficile. Ma la sfida va affrontata. Il futuro del Paese passa da Taranto”, ha scritto oggi.

COSA E’ SUCCESSO IERI SULL’EX ILVA

Salta il tavolo tra governo e Arcelor Mittal sull’ex Ilva di Taranto: la multinazionale ha rifiutato la richiesta dell’esecutivo di un aumento di capitale da 320 milioni di euro, con cui si proponeva di portare al 66% la partecipazione statale nell’azienda siderurgica di Taranto, tramite Invitalia, e che serviva a garantire la continuità produttiva per far fronte a una situazione di grave dissesto finanziario e crisi di liquidità dell’azienda. ArcelorMittal si è detta indisponibile ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza. Attualmente il gruppo franco-indiano detiene il 62% di Acciaierie d’Italia, il 38% invece è in mano pubblica tramite Invitalia. Ora si potrebbe riaprire lo scenario dell’amministrazione straordinaria, ma anche di una difficile battaglia legale. Il governo ha convocato i sindacati per giovedì 11 gennaio: in bilico il futuro di 20 mila lavoratori.

CHI C’ERA ALL’INCONTRO

All’incontro di ieri per il governo erano presenti il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro degli Affari Ue e Pnrr, Raffaele Fitto, quello delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, il ministro del Lavoro Elvira Calderone e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, mentre sul fronte aziendale il ceo di Arcelor Aditya Mittal e per Invitalia l’ad Bernardo Mattarella.

LA NOTA DI PALAZZO CHIGI

«Nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi con ArcelorMittal sull’ex Ilva di Taranto — si legge in una nota della presidenza del Consiglio al termine del vertice — la delegazione del governo ha proposto ai vertici dell’azienda la sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale, pari a 320 milioni di euro, così da concorrere ad aumentare al 66% la partecipazione del socio pubblico Invitalia, unitamente a quanto necessario per garantire la continuità produttiva. Il governo ha preso atto della indisponibilità di ArcelorMittal ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza, e ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale. Le organizzazioni sindacali — si legge ancora nella nota di palazzo Chigi — saranno convocate dall’esecutivo per il pomeriggio di giovedì 11 gennaio».

LA POSIZIONE DEI SINDACATI

«L’esito dell’incontro a Palazzo Chigi — si legge in una nota comune diffusa dai segretari generali di Fim-Cisl Roberto Benaglia, Fiom-Cgil Michele De Palma e Uilm-Uil Rocco Palombella — tra la delegazione del governo e i vertici di Invitalia e ArcelorMittal, conferma quello che Fim Fiom Uilm hanno denunciato e per cui hanno mobilitato le lavoratrici e i lavoratori: la necessità di un controllo pubblico e la mancanza di volontà del socio privato di voler investire risorse sul futuro dell’ex Ilva. L’indisponibilità di Mittal, manifestata nell’incontro con il governo, è gravissima, soprattutto di fronte alla urgente situazione in cui versano oramai i lavoratori e gli stabilimenti, e conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese. Nell’incontro di giovedì ci aspettiamo dal governo una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e garantisca il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale».

L’ANALISI DEL SOLE 24 ORE

Ha commentato il Sole 24 ore: “Indisponibilità di Arcelor Mittal sugli ulteriori aumenti di capitale ha chiuso l’incontro e ora l’amministrazione straordinaria appare la strada più probabile, con correlato contenzioso legale sulle pendenze in essere. In teoria il governo può far leva su una norma del decreto Ilva di inizio 2023 che consente di attivare la procedura anche su istanza del socio pubblico, mentre un’alternativa tecnica è il ricorso alla composizione negoziata di crisi, strumento stragiudiziale che consente di attivare misure protettive del patrimonio per un determinato periodo di tempo. Il matrimonio, secondo alcune fonti di governo, si potrebbe sciogliere anche con la più radicale liquidazione volontaria dell’azienda e conseguente restituzione degli asset che tornerebbero nella piena disponibilità dello Stato. Un’ultima opzione, al momento puramente di scuola però, è un aumento di capitale chiamato al buio dal consiglio di amministrazione”.

GLI SCENARI SECONDO IL CORRIERE DELLA SERA

Come si viene fuori da questo muro contro muro? “Le possibili vie d’uscita sono tre – ha scritto il Corriere della sera – La prima è che il governo proceda comunque con l’aumento di capitale «al buio», senza cambio di governance (tenendo presente che per il quorum deliberativo nell’assemblea straordinaria servono i 2/3 del capitale e non basta il 66%) per il quale aspetterebbe il fine mandato dell’attuale cda a maggio 2024 (quando scade anche il contratto di affitto degli impianti con Ilva in amministrazione straordinaria). La seconda ipotesi è indennizzare ArcelorMittal per l’uscita dal capitale e ricercare un nuovo socio privato. La terza ipotesi è quella estrema, che prevede che un socio pubblico con almeno il 30% di una società strategica possa richiedere l’amministrazione straordinaria nel caso di stallo nelle decisioni aziendali. Una minaccia o una exit strategy quella del commissario? Il tempo lo dirà e non bisognerà aspettare molto: già oggi i legali di Invitalia e Mittal cominceranno a confrontarsi. E domani il Tar della Lombardia si pronuncerà sul taglio del gas dopo le bollette non pagate. La svolta potrebbe arrivare anche dall’esterno”.

IL PUNTO DEL QUOTIDIANO REPUBBLICA

La situazione pare assai ingarbugliata anche per effetti di accordi e contratti siglati in passato e che devono essere interpretati dagli avvocati delle parti, ha sottolineato il quotidiano Repubblica: “Uno dei nodi riguarda un allegato al contratto del 2020 firmato da Arcuri in cui si dice che Invitalia si darà da fare per far arrivare all’ex Ilva circa due miliardi di risorse aggiuntive per far fronte agli investimenti. Una promessa che è stata ripresa dal ministro Fitto nel preliminare firmato con Mittal l’11 settembre scorso ma che ora sembra essere stato accantonato. Fatto sta che il tempo stringe perché il 31 maggio scade il contratto di affitto degli impianti con l’amministrazione straordinaria ed entro quella data gli impianti devono essere acquistati se si vuole che Acciaierie d’Italia vada avanti. Per farlo occorre un ulteriore aumento di capitale che Invitalia stima in circa un miliardo mentre Mittal ritiene possa essere inferiore in quanto il prezzo si può negoziare. A questo scopo Morselli (nella foto, ndr) nei mesi scorsi ha presentato una serie di reclami del valore di 1,1 miliardi che devono essere discussi in altrettanti arbitrati ma che potrebbero essere oggetto di compensazioni a fronte del prezzo degli impianti. Non a caso è previsto dagli accordi societari che i rapporti con i commissari vengano gestiti in esclusiva dal socio ArcelorMittal e questo è un altro elemento di cui il governo dovrà tener conto”.

L’ANALISI DI PAOLO BRICCO DEL SOLE 24 ORE

“Il primo problema, adesso, è negoziale. L’unica cosa certa è che l’acciaio torna pubblico. Il tema è se la siderurgia di Stato delineerà i suoi contorni in maniera violenta, con amministrazione straordinaria e con causa miliardaria. Oppure se emergerà da una liquidazione volontaria non giudiziariamente bellicosa della società, con la restituzione degli impianti a Ilva in amministrazione straordinaria e qualche centinaio di milioni (sempre pubblici) ad Arcelor Mittal che, così, realizzerebbe il suo obiettivo strategico – evidente a tutti, tranne che al governo Meloni, a fari spenti nel buio della notte – di recuperare una parte del miliardo che finora ha perso. Il secondo problema riguarda la gestione di una società come Acciaierie d’Italia che si trova con due soci alla rottura irreversibile. Il tema del rischio dell’abbandono a se stessa di una impresa esiste. Gli ordini andranno evasi, i clienti andranno seguiti, le linee produttive dovranno rimanere attive. Ma non sarà facile. E, poi, quando lo Stato entrerà nel pieno possesso dell’acciaieria, chi andrà sul campo e negli uffici? Né Invitalia né il vecchio ministero dell’Industria né il Mef hanno le strutture interne da distaccare in cinque minuti netti a Taranto, Novi Ligure e Cornigliano. Il terzo problema è ancora più spiccatamente industriale: perché produrre tre milioni di acciaio anziché sei ha fatto funzionare a singhiozzo e fuori da ogni standard di efficienza e di fluidità gli impianti. Quindi, la composizione di una prima squadra manageriale “di fabbrica” dovrà ristabilire la continuità produttiva e conferire nuovo orgoglio industriale a operai e a impiegati. Bisogna essere onesti. Non c’è una mente strategica sull’acciaio italiano paragonabile a Oscar Sinigaglia. E nemmeno ci sono dei nuovi Sergio Noce e Giovanni Gambardella, per citare due carismatici dirigenti industriali pubblici di altoforno. Ci sono però molti italiani che operano a buoni livelli nella siderurgia e dell’elettrosiderurgia internazionale. E vanno coinvolti. I soldi statali a disposizione sono pochi. Da spendere con cura. Il rischio di impresa è enorme. Una sfida da fare tremare i polsi. Nessuno nel governo Meloni desiderava una nuova stagione dello Stato Imprenditore. E, a lungo, ha prevalso la tentazione politica di tenere lontano il dossier, perché le responsabilità giuridiche e contrattuali dell’attuale situazione erano – sono – tecnicamente imputabili ai governi precedenti. Alla fine non è stato più possibile non gestire il dossier ex Ilva. Arcelor Mittal ha ritirato nel 2019 il suo management straniero e ha deconsolidato Acciaierie d’Italia dal suo bilancio, facendone una triste monade senza collegamenti vitali con il suo poderoso organismo di secondo gruppo al mondo. Lo avevano capito in tanti. Ora lo ha capito anche il Governo. Si entra in una nuova fase. Sarà tutto difficile. Ma la sfida va affrontata. Il futuro del Paese passa da Taranto”.

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