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Cosa farà il Pnrr contro il dissesto idrogeologico?

Sono sufficienti i 2,5 miliardi del Pnrr contro il rischio idrogeologico? O le priorità di un Paese come il nostro – soggetto ad elevato rischio sismico ed idrogeologico ben più di qualsiasi altro Stato membro – sono ben diverse da quelle dell’”abito unico” che la Commissione ha voluto far vestire a tutti? L'analisi di Giuseppe Liturri

Sono sufficienti i 2,5 miliardi del Pnrr contro il rischio idrogeologico? O le priorità di un Paese come il nostro – soggetto ad elevato rischio sismico ed idrogeologico ben più di qualsiasi altro Stato membro – sono ben diverse da quelle dell’”abito unico” che la Commissione ha voluto far vestire a tutti? L’analisi di Giuseppe Liturri

 

Ad Ischia registriamo l’ennesimo episodio in cui contiamo vite distrutte e territorio devastato a causa del dissesto idrogeologico che interessa vaste aree del nostro Paese. Qui non vogliamo avventurarci in speculazioni su ciò che poteva essere fatto per evitare l’accaduto, e non è stato fatto. Oppure, ancora peggio, fare i turisti della climatologia e della geologia, negando o affermando perentoriamente relazioni causali a monte dei fenomeni meteorologici.

Quali che siano le cause, il problema di questo Paese è chiaro e richiede l’esecuzione di opere adeguate per la protezione delle comunità a rischio e per la messa in opera di infrastrutture idonee alla particolare orografia del nostro Paese.

Se gli obiettivi sono questi, l’attenzione non può non andare al PNRR. Il piano nazionale finalizzato ad eseguire investimenti pubblici lungo tutte le principali direttrici di sviluppo del Paese. E qui emerge la preoccupante divaricazione tra dimensioni dei problemi e risorse destinate e tempi previsti dal piano.

Ci permettiamo di sollevare questi dubbi ora, solo perché li abbiamo sollevati in tempi non sospetti.

Il 4 settembre 2020 – a PNRR non ancora scritto – scrivevamo che “fino a che punto i paletti indicati dal Consiglio coincidono con le priorità del Paese? Potremo utilizzare quei fondi per rifare le reti pubbliche (strade ed autostrade in primis) che cadono a pezzi dopo oltre 20 anni di avanzo primario di bilancio o mettere finalmente in sicurezza il precario assetto idrogeologico di numerose aree della penisola?”

Il 7 settembre 2020, tornavamo sul punto chiedendoci “E se le priorità del Paese fossero altre? Se volessimo ridurre il cuneo fiscale? Se volessimo ricostruire le aree del Centro Italia, tuttora sotto le macerie a diversi anni dal terremoto? Se volessimo prenderci cura del dissesto idrogeologico?

L’ 8 marzo 2021 tornavamo a chiederci “Chi ha deciso che dobbiamo dedicare il 37% degli investimenti alla transizione ambientale (qualsiasi cosa voglia dire, fumo incluso) ed il 20% alla transizione digitale? E se l’Italia avesse bisogno di qualcosa in meno o qualcosa in più su altre linee, come il dissesto idrogeologico e la manutenzione del territorio? Non si può toccare palla. Abbiamo supinamente subito importanti scelte politiche relative alle destinazioni di spesa ed alle condizioni per l’ottenimento dei fondi, e da luglio al MEF stanno impazzendo per “inventarsi” progetti che incrocino le linee guida della Commissione”

Infine, il 28 novembre 2021 – a piano ormai definito ed approvato dalla Commissione – commentavamo che “l’apertura verso “green” e digitale fonda sull’assunto che siano spese “di qualità” a elevato moltiplicatore sul PIL. Ammesso e non concesso che sia così, dove sta scritto che ci si debba limitare a quelle spese? Se qualcuno in Italia ritenesse che la prevenzione del dissesto idrogeologico valesse di più dei 4 miliardi stanziati col PNRR, e fosse necessario investire 65 miliardi (quanto emerge da una recente stima dei Comuni), a Bruxelles ce lo impedirebbero, perché non sono investimenti “utili”, secondo loro?”

Il piano destina 2,5 miliardi nell’ambito della Misura 2 Componente 4, investimento 2.1 (Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico) affermando che “Il territorio italiano è caratterizzato da un notevole livello di instabilità idrogeologica, aggravata dagli effetti dei cambiamenti climatici. Questo rischio ha un impatto negativo non solo sulla qualità della vita, ma anche sull’attività economica delle zone più esposte al fenomeno. Occorre intraprendere un insieme ampio e completo di interventi che combini misure strutturali quali la messa in sicurezza da frane o la riduzione del rischio di alluvione nelle aree metropolitane con altre misure incentrate sulla riqualificazione, il monitoraggio e la prevenzione dei rischi emergenti. L’obiettivo è portare in sicurezza 1 500 000 di persone oggi a rischio”.

Poi c’è una quota dei 6 miliardi dell’investimento 2.2 (Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni, sempre Misura 2 Componente 4): “La misura deve puntare principalmente ad affrontare i rischi idrogeologici nelle aree urbane e metropolitane, cioè quelli riguardanti inondazioni, erosione o instabilità degli edifici, che causano un grave deterioramento, tra l’altro, del parco immobiliare, delle reti di servizi sotterranei e della rete stradale.”

L’aspetto preoccupante è che tutti gli obiettivi ed i traguardi relativi a queste misure sono da raggiungere entro fine 2023 (per quanto riguarda l’aggiudicazione degli appalti) e per il 2026 per quanto riguarda l’esecuzione delle opere.

La riflessione seria che andava avviata già da due anni e che diventa ora di estrema attualità – purtroppo sull’onda dell’emozione della tragedia di Ischia- è come possa considerarsi adeguata alle esigenze del nostro Paese una simile modesta dotazione di risorse e dei tempi così lunghi per l’esecuzione delle opere.

Quando si parla di “revisione del PNRR” è questa la riflessione da fare. Ci siamo fatti imporre la camicia di forza di investimenti prioritariamente destinati verso obiettivi (transizione ecologica e digitale) imposti dal furore ideologico di cui è impregnata la Commissione. Senza considerare che le priorità di un Paese come il nostro – soggetto ad elevato rischio sismico ed idrogeologico ben più di qualsiasi altro Stato membro – sono ben diverse da quelle dell’”abito unico” che la Commissione ha voluto far vestire a tutti.

Quale altra tragica lezione dovremo subire per prendere atto che i nostri interessi sono prioritariamente rivolti verso la cura del territorio e che 2,5 miliardi su 191 non sono sufficienti? Quando capiremo che indebitarci seguendo linee guida imposta da altri, non in linea con i nostri interessi, è un errore di portata epocale?

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