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Come i governi Renzi e Gentiloni hanno ridotto gli investimenti pubblici. Report Bnl-Bnp Paribas

Estratto dal report settimanale del servizio studi Bnl a cura di Paolo Ciocca, senior economist

Durante l’estate, la ripresa dell’economia italiana si è fermata. Nel III 2018, il Pil è sceso dello 0,1%, portando la crescita annuale allo 0,7%, meno della metà dell’1,7% raggiunto nel 2017. La caduta dell’attività produttiva riflette la flessione della domanda interna, risultato dell’inattesa contrazione degli investimenti, scesi dell’1,1%, con la dinamica annuale passata dal 7% al 2,5%. Il ritardo italiano in termini di Pil superiore ai 5 punti percentuali rispetto all’inizio del 2008 trova spiegazione nel mancato recupero degli investimenti, che, dopo aver perso il 30% durante le due recessioni, risultano ancora il 20% più bassi dei livelli precedenti la crisi.

La propensione ad investire dell’economia italiana, nonostante il recupero degli ultimi anni, risulta più bassa di quella delle altre principali economie europee. Sono molte le determinanti che aiutano a spiegare il contenuto livello degli investimenti in Italia. Pesano le scelte delle amministrazioni pubbliche, le incertezze delle imprese e la persistente criticità nell’attrarre capitali dall’estero.

Tra il 2009 e il 2017, gli investimenti pubblici sono scesi da 54 a 34 miliardi di euro, assorbendo solo il 4% del totale della spesa pubblica. Il taglio ha interessato tutte le tipologie di beni. Al netto della variazione dei prezzi, gli investimenti nelle opere stradali sono stati ridotti di quasi il 30% e quelli nelle altre opere del genio civile di oltre il 60%. Gli investimenti delle imprese continuano ad essere frenati dall’incertezza. La propensione ad investire delle società non finanziarie rimane lontana dai valori precedenti la crisi.

Le preoccupazioni per il futuro e la difficoltà nel comprendere lo scenario portano le imprese ad accrescere le riserve di liquidità, con i depositi che a giugno 2018 hanno raggiunto i 360 miliardi di euro. Dallo scoppio della crisi, l’Italia è riuscita ad attrarre in media ogni anno solo l’1% degli investimenti esteri effettuati a livello mondo, la metà di quanto realizzato in Spagna, Francia e Germania. Il valore dello stock degli investimenti esteri in Italia si è avvicinato ai 460 miliardi di euro, mentre quelli italiani all’estero hanno superato i 570 miliardi.

La deludente dinamica degli investimenti ha profondi risvolti per l’economia. Il valore dello stock di capitale investito in Italia è pari a circa 10.200 miliardi di euro, 6,6 volte il valore aggiunto prodotto. Nel 2017, è stato, dunque, necessario investire 6,6 euro di capitale per ottenere un euro di valore aggiunto, mentre alla metà degli anni Novanta ne bastavano 5. Il Fondo Monetario Internazionale prevede nel lungo periodo una crescita dell’economia italiana stabile poco sopra il mezzo punto percentuale. Negli ultimi quarant’anni, livelli più bassi di sviluppo sono stati realizzati solo nei periodi caratterizzati da particolari criticità. Il sistema produttivo italiano sembra, dunque, essere divenuto meno capace di creare ricchezza.

In Italia, l’esigenza di riequilibrare i conti pubblici ha portato ad un drastico taglio degli investimenti. Nei quindici anni precedenti la crisi, l’importo complessivo della spesa per investimenti delle amministrazioni pubbliche era quasi raddoppiato, passando dai 23 miliardi del 1995 ai 54 del 2009. Alla metà degli anni Novanta agli investimenti veniva assegnato il 5% del totale delle uscite pubbliche; nel 2009, eravamo saliti al 6,7%. Dallo scoppio della crisi, in otto anni, il valore della spesa è stato tagliato di quasi il 40%, arrivando sotto i 34 miliardi. La quota sul totale delle uscite è crollata al 4%. I dati relativi ai primi sei mesi del 2018 segnalano una sostanziale invarianza rispetto al valore deludente registrato nello stesso periodo del 2017.

Il taglio degli investimenti non rappresenta una peculiarità dei conti pubblici italiani. Prima della crisi, la Spagna destinava a questa voce di spesa più del 10% delle uscite pubbliche totali; nel 2017, si sono fermati poco sotto il 5%. In Francia, il taglio è apparso meno ampio, scendendo dal 7,5% al 6%, mentre la Germania è rimasta stabile intorno al 5%. In Italia vengono spesi per investimenti pubblici circa 560 euro per ogni residente, 63 più della Spagna, ma 330 meno della Germania e 600 meno della Francia.

In Italia, il taglio degli investimenti pubblici ha interessato tutte le principali tipologie di bene, sebbene con intensità differente. Le costruzioni hanno sofferto più delle altre componenti, con un taglio del valore della spesa prossimo al 50%, scendendo da 31 a 16 miliardi di euro. Le uscite per le opere stradali sono state ridotte del 20%, mentre quelle relative alle altre opere del genio civile, come porti, ferrovie o interventi per la difesa del suolo, sono state ridotte di circa il 60%, passando da quasi 7 miliardi nel 2009 a poco più di 2,5 nel 2016.

Il taglio della spesa per gli impianti e macchinari ha superato il 40%, nonostante il recupero degli ultimi due anni, mentre quello per i prodotti della proprietà intellettuale si è fermato sotto il 15%. La riduzione degli investimenti pubblici appare ancora più evidente se dal valore della spesa si passa alla quantità. Al netto della variazione dei prezzi, gli investimenti pubblici sono scesi in otto anni di oltre il 40%, crollando sul livello più basso degli ultimi diciotto anni. Gli investimenti nelle opere stradali sono stati tagliati di quasi il 30%, mentre quelli nelle altre opere del genio civile di oltre il 60%.

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