skip to Main Content

Raytheon

Perché la Cina sta vendendo i titoli di Stato Usa

Per il settimo mese consecutivo, cala la somma di titoli di stato americani in possesso della Cina. La mossa risente del rafforzamento del dollaro, ma anche delle tensioni geopolitiche. E le aziende cinesi si ritirano da Wall Street. Tutti i dettagli.

 

A giugno, per il settimo mese consecutivo, la Cina ha ridotto la quantità di titoli di stato americani (Treasury) in suo possesso.

I DATI DEL DIPARTIMENTO DEL TESORO

I dati del dipartimento del Tesoro mostrano infatti che a giugno la somma del debito governativo statunitense detenuto dalla Cina ammontava a 967,8 miliardi di dollari: è il minimo dal maggio 2010, quando si toccarono gli 843,7 miliardi. A maggio scorso, invece, la Cina possedeva Treasury americani per 980,8 miliardi.

“MANTENERE STABILE IL RAPPORTO DOLLARO-YUAN”

Chris Turner, analista per ING, ha detto a Reuters che si tratta “probabilmente” di “funzione dell’intervento cinese sul mercato dei cambi per mantenere stabile il rapporto USD/CNY in un contesto di dollaro forte”. USD è l’abbreviazione di dollaro statunitense, mentre CNY quella di yuan (o renminbi) cinese.

Dopo aver raggiunto il valore più alto in circa venti mesi a metà dello scorso maggio, il dollaro è stato sostanzialmente stabile e forte nei confronti dello yuan: 1 dollaro vale circa 6,7 yuan.

IL DEPREZZAMENTO DEI TREASURY

Il Sole 24 Ore spiega inoltre che la vendita dei titoli americani da parte della Cina è dovuta anche al deprezzamento dei Treasury a dieci anni. “In febbraio”, scrive il quotidiano, “il rendimento viaggiava intorno al 2% […] mentre in giugno lo yield è arrivato a toccare quota 3,48%. Chiaro che, in un simile contesto, il detentore del governativo, al fine di limitare l’impatto della svalutazione degli asset, può essere stato indotto a vendere”.

IL RUOLO DELLA GEOPOLITICA, TRA RUSSIA E TAIWAN

Gli analisti si aspettano un calo ulteriore dei titoli di stato americani in possesso della Cina anche per via del contesto geopolitico.

Dopo l’invasione dell’Ucraina gli Stati Uniti hanno congelato le riserve di valuta straniera della Russia, alla quale la Cina è legata da un rapporto di partnership che potrebbe esporla a simili ritorsioni finanziarie.

Tra Washington e Pechino, poi, c’è parecchia tensione su Taiwan, paese di fatto indipendente ma considerato dalla Cina una provincia del suo territorio: dopo la recente visita della speaker della Camera Nancy Pelosi – una funzionaria di grado altissimo, seconda nella linea di successione presidenziale dopo Kamala Harris -, la Cina ha sospeso o cancellato otto importanti meccanismi di dialogo con gli Stati Uniti.

COSA FA IL GIAPPONE

I dati del dipartimento del Tesoro mostrano che il Giappone – importante alleato americano – a giugno ha invece aumentato la somma di Treasury statunitensi in suo possesso: 1236 miliardi di dollari, contro i 1224 di maggio.

DELISTING DA WALL STREET

La distanza politica tra Washington e Pechino sembra insomma tradursi in un maggiore distacco economico e finanziario. La settimana scorsa, peraltro, cinque importanti società statali cinesi hanno annunciato l’intenzione di ritirare entro fine agosto le loro quotazioni dalla borsa New York Stock Exchange.

Ad aver anticipato i piani di delisting sono state, nello specifico, la compagnia assicurativa China Life Insurance, il produttore di alluminio Aluminium Corporation of China, le società petrolifere Sinopec e PetroChina e l’azienda petrolchimica Sinopec Shanghai Petrochemical. Hanno tutte specificato che rimarranno quotate alla borsa di Hong Kong e a quelle della Cina continentale.

Non solo le uniche ad aver proceduto in questo senso: l’anno scorso già China Telecom, China Mobile e China Unicom, tutte e tre attive nel settore delle telecomunicazioni, avevano ritirato le loro quotazioni negli Stati Uniti.

LE NORMATIVE USA SULLE SOCIETÀ STATALI CINESI

China Life Insurance, Sinopec e le altre tre erano state inserite a maggio in una sorta di “lista nera” per non aver rispettato le normative di revisione americane: una legge del 2020, chiamata Holding Foreign Companies Accountable Act, obbliga infatti le società quotate negli Stati Uniti a dichiarare di non essere di proprietà o sotto il controllo del governo cinese.

Nella lista sono presenti anche le compagnie tecnologiche Alibaba Group, JD.com e Baidu.

I PIANI DI ALIBABA PER HONG KONG

Alibaba ha dichiarato recentemente che convertirà la sua quotazione secondaria a Hong Kong in una doppia quotazione primaria: una mossa tecnica che, secondo gli analisti, potrebbe facilitare eventuali manovre future di modifica della quotazione primaria del gruppo.

Back To Top