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Che diavolo sta succedendo in Fibercop?

Perché Luigi Ferraris si è dimesso da amministratore delegato di Fibercop. La lettera di Francis Walsingham

 

Caro direttore,

stamattina, prima che fossi travolto pure tu dall’Ops di Mps su Mediobanca (adesso ci divertiremo ad auscultare le capriole dei liberisti caltagironiani sull’Ops di una banca controllata dallo Stato su una banca d’affari ovviamente privatissima…), mi ero messo di buzzo buono per capire le ragioni del cambio al vertice di Fibercop, società costituita dopo la scissione della rete di Tim e dopo la recente nomina dell’amministratore delegato Luigi Ferraris, che ieri ha rassegnato le dimissioni, accolte all’unanimità dal consiglio di amministrazione, ho letto con un certo stupore: che significa?, nessuno lo ha voluto trattenere?, erano dimissioni irrevocabili?, erano tutti contenti della sua uscita? Boh.

Ma anche un’altra e ben più rilevante domanda è rimasta senza risposta: perché Ferraris se n’è andato? Ricordando, se non erro, che quando partì la società si scrisse in sostanza che il capo azienda di Fibercop era espressione del maggiore azionista singolo, ossia il fondo americano Kkr che ha il 37,8%, e il presidente era indicato dal ministero dell’Economia, che ha il 16% della società.

Orbene, facendo uno più uno si direbbe: poiché Ferraris è stato nominato amministratore delegato lo scorso luglio e poiché doveva ancora presentare il piano industriale, solo gravi e sopraggiunti impegni familiari o di altro tipo lo avrebbero potuto indurre a lasciare la massima carica di una società operativa di fatto da poco.

Ma siccome non ci sono questi gravi e sopraggiunti impegni, ripeto, facendo uno più uno il risultato è due, cioè questo: Kkr lo ha cortesemente accompagnato alla porta, insomma lo ha indotto a mollare, ovviamente con lauta buonuscita come si usa non solo negli Usa.

Insomma: Kkr e Ferraris hanno litigato.

No, direttore, non ho indiscrezioni, non ho parlato con alcun amico della finanza americana né con manager del settore. Pura e semplice deduzione.

D’altronde la società deve muoversi in un contesto che pare, perdonami l’espressione, un vero casino.

Questo passo del Sole 24 ore di oggi è emblematico:

Il piano industriale è un esercizio delicato tanto più che l’Antitrust ha messo sotto esame il master service agreement che regola i rapporti di utilizzo dell’infrastruttura da parte di Telecom, che c’è l’esigenza di investire per completare la trasformazione dal rame alla fibra, che è in corso un’analisi di mercato da parte dell’Agcom per valutare se gli obblighi che gravavano sul gruppo Telecom verticalmente integrato siano da alleggerire o da mantenere e in che misura sulla nuova entità wholesale only, che incombe il momento in cui si dovranno avviare le discussioni per verificare la possibilità di un’integrazione con Open Fiber (il progetto “rete unica” caro a Cdp, che della società sfidante detiene il 60%).

Proseguiamo quindi con le deduzioni. Siccome giorni fa avevo letto che il piano industriale di Fibercop sarebbe slittato un po’, giungo indirettamente a quest’altra deduzione: Ferraris aveva preparato il piano industriale, al fondo Kkr (e forse pure agli altri fondi azionisti, come quello canadese e quello di Abu Dhabi) non è piaciuto perché, magari, prevedeva pochi utili per gli azionisti mentre ai fondi interessa ovviamente guadagnare subito e pure tanto, tanti saluti a investimenti, concertazioni ecc.

È quello che – mutatis mutandis – sta succedendo in Autostrade per l’Italia con i fondi Blackstone e Macquarie che hanno visioni e fini diversi rispetto a Cdp, come si evince indirettamente anche dallo studio di Nomisma di cui ho letto ieri su Startmag.

Ma questo è un caso su cui il “nostro” Giuseppe Liturri è stato tra i primi e tra i pochi a individuare, sviscerare e commentare.

Alla prossima e tanti saluti.

Francis Walsingham

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