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Fed Bce

Che cosa meditano Fed, Bundesbank e Bce

Fatti e scenari sulle banche centrali nell’approfondimento di Tino Oldani per Italia Oggi

La politica monetaria accomodante, vitale per l’economia mondiale durante la pandemia, volge al termine. Ciò significa che le banche centrali aumenteranno il tasso d’interesse sul denaro prestato alle banche, con l’obiettivo di ridurre i prezzi e spegnere i focolai di inflazione che hanno preso vigore negli ultimi mesi sia negli Usa che in Europa. La manovra di aggiustamento dei tassi, già decisa negli Stati Uniti, avrà però tempi e modi diversi nell’area euro, dove la Bce e la Bundesbank continuano ad avere visioni opposte sul da farsi, come ha confermato Joachim Nagel, 55 anni, nuovo capo della Bundesbank, nel discorso di insediamento.

A Washington, di fronte all’improvviso surriscaldamento dell’economia Usa, con l’inflazione al 5,3% e un aumento del 5,5% del pil, il capo della Federal Reserve, Jerome Powell, ha annunciato che quest’anno vi saranno ben tre rialzi del tasso d’interesse (ora fermo tra lo zero e 0,25%) e altrettanti nel 2023. In parallelo, il piano di aiuti Fed all’economia per contrastare la pandemia avrà fine in marzo, dopo avere pompato 120 miliardi di dollari al mese all’inizio del Covid-19, poi ridotti a 105 e da questo gennaio a 90 miliardi. «Se saranno necessari aumenti più aggressivi dei tassi per raffreddare l’inflazione, la Fed li farà», ha detto Powell davanti alla Commissione bancaria del Senato. «Così normalizzeremo la politica monetaria».

Una politica altrettanto chiara, indispensabile per orientare i mercati e le Borse, al momento non è ravvisabile in Europa. La Bce e la Bundesbank, tanto per cambiare, hanno orientamenti opposti. Subito dopo il discorso di Powell al Senato Usa, il capo economista della Bce, Philip Lane, ha dichiarato che è «altamente improbabile» che i tassi Bce saliranno quest’anno, poiché l’inflazione nell’area euro, secondo le previsioni della Bce, scenderà al di sotto del 2%, obiettivo statutario per la politica monetaria Ue. E Christine Lagarde, presidente della Bce, quando a metà dicembre ha annunciato per marzo di quest’anno la fine del Pepp, il piano pandemico di 1.850 miliardi per l’acquisto di titoli di Stato dei paesi dell’euro, ha tuttavia confermato una politica monetaria accomodante: «Se necessario, gli acquisti netti nell’ambito del Pepp potrebbero essere ripresi per contrastare gli shock negativi legati alla pandemia».

Tutto chiaro? Nemmeno per sogno. Basta leggere il discorso che Joachim Nagel ha fatto martedì in occasione del suo insediamento a capo della Bundesbank, prendendo il posto di Jens Weidmann. Un discorso breve, sei cartelle articolate in cinque punti, disponibile sul sito della Bundesbank, con il quale Nagel ha fatto sapere di condividere la linea del predecessore Weidmann, un falco contrario alla politica accomodante da sempre, prima al Quantitative easing di Mario Draghi, poi al Qe pandemico della Lagarde. Una linea che si è impegnato a continuare.

Due i punti di contrasto fondamentali con il vertice Bce: inflazione e politica monetaria espansiva. «Il nostro obiettivo è chiaro: garantire la stabilità dei prezzi per i cittadini dell’area euro», ha detto Nagel. «Negli ultimi mesi, i tassi d’inflazione sono aumentati bruscamente, il livello più alto dall’inizio dell’unione monetaria. Nell’area euro sono stati registrati tassi fino al 5%, in Germania sono stati ancora più alti. Di conseguenza, i cittadini hanno molto meno denaro nel loro portafogli. Molte persone sono preoccupate per queste perdite di potere d’acquisto». Perdite causate anche da previsioni errate sull’inflazione, sostiene Nagel, comprese quelle della Bce, che ha dovuto correggere le previsioni trimestrali al rialzo per ben sei volte. E non è detto che ce ne sia una settima: mentre il capo economista della Bce, Lane, prevede un’inflazione di breve durata, in discesa sotto il 2% entro l’anno, Nagel è di parere opposto: «Vedo il pericolo che il tasso d’inflazione possa rimanere elevato più a lungo di quanto attualmente previsto». Ragion per cui «la politica monetaria deve stare in guardia».

Quali siano i pericoli sui quali stare in guardia, Nagel li ha elencato sotto forma di «domande che ci preoccupano molto», indicando i punti sui quali darà battaglia nel vertice della Bce: «In primo luogo, quanto sono persistenti gli alti tassi d’interesse? In secondo luogo, l’orientamento molto accomodante della politica monetaria è ancora appropriato? In caso affermativo, per quanto tempo ancora? E in terzo luogo, come dovremmo affrontare l’attuale alto livello di incertezza quando prendiamo decisioni di politica monetaria?». Per essere ancora più chiaro, ha ricordato che «la Bundesbank ha attirato l’attenzione sui rischi di inflazione fin dalla fase iniziale del programma di acquisti di emergenza». Traduzione: se l’inflazione è salita così tanto in Europa, ne è responsabile in buona parte l’enorme liquidità immessa dalla Bce con il Pepp pandemico. Ma c’è di peggio in vista.

Il guasto dell’inflazione, per Nagel, nei prossimi mesi potrebbe non già diminuire, ma addirittura aggravarsi a seguito degli ingenti investimenti richiesti dalla politica climatica del Green Deal Ue, che richiederanno crediti bancari altrettanto ingenti. «Il cambiamento climatico e la politica climatica avranno un impatto anche sull’inflazione e sulla crescita», ha sottolineato. «Come banca centrale, dobbiamo proteggere il nostro bilancio. Per questo dovremmo prestare ancora più attenzione ai rischi finanziari quando attuiamo la politica monetaria dl futuro». Un invito esplicito a tirare il freno monetario. E trovare un punto di mediazione tra il nuovo capo falco della Bundesbank e la Bce accomodante della Lagarde non sarà facile. Ma è da questo sfida che dipende il futuro dell’economia europea.
Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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