skip to Main Content

Rete Tim

Tim, Cassa depositi e prestiti ha i soldi per lanciare da sola un’Opa?

Tim in Borsa. I piani del governo Meloni. Le parole di Labriola. Le tre ipotesi di Opa. La questione delle risorse di Cdp (Cassa depositi e prestiti), E il nodo fondazioni bancarie. Fatti, numeri e approfondimenti

 

Tim ancora al centro degli intrecci tra industria, finanza, politica e voci di Opa. Ecco le ultime novità.

Tim frizzante in Borsa (ieri ha chiuso con un balzo del 10,65% fino a superare i 24 centesimi di euro) per le rinnovate indiscrezioni su ipotesi di Opa da parte di Cdp, con o senza alcuni fondi, mentre si fanno roventi i rapporti tra i maggiori azionisti di Tim (Vivendi e Cdp, in primis) non solo sulla valutazione dell’asset della rete ma anche sul ruolo del consulente dei francesi di Vivendi, Andrea Pezzi, nelle scelte e nei rapporti con Tim, visto quanto ha svelato ieri Report: l’ex conduttore tv Pezzi oltre che consulente di Vivendi ha avuto rapporti commerciali con il gruppo Tim sulla pubblicità on line per “appalti milionari con l’azienda telefonica”, secondo un’inchiesta della trasmissione Rai. Mentre nel prossimo cda di Tim arriveranno dossier che sono stati al vaglio del collegio sindacale sul contratto fra Tim e Dazn.

COME NASCONO LE VOCI DI OPA SU TIM

Ma che cosa c’è davvero in ballo per Piazza Affari su Tim? Tre le ipotesi di lavoro, secondo il Sole 24 ore di oggi: “La prima, già avviata, frutto di un MoU e che ha una deadline al 30 novembre quando Cdp sarà chiamata a un’offerta non vincolante per la Netco Tim (rete più Sparkle). Secondo il cronoprogramma previsto dal memorandum of understanding sottoscritto a fine maggio da Cdp, Tim, Open Fiber, Kkr e Macquarie, in questa fase avremmo dovuto essere già verso la definizione dell’offerta vincolante. E invece il progetto, con tutta la sua diatriba sulla differenza di valutazioni fra Cdp in veste di compratore (disposta ad arrivare a 15 miliardi) e Vivendi in quella di venditore (con la sua richiesta di 31 miliardi), sembrerebbe dover cedere il passo, a meno di sorprese”.

LE TRE IPOTESI SU TIM

La seconda ipotesi di lavoro sta nel piano “Minerva” nato all’interno di Fratelli d’Italia e che ha nel sottosegretario a Palazzo Chigi con deleghe all’innovazione digitale, Alessio Butti, il suo ideatore, come ripetono le ricostruzioni giornalistiche. Alla base del piano, secondo indiscrezioni di mercato che riemergono dallo scorso agosto, ci sarebbe un’Opa di Cdp sull’intera Tim. “C’è infine – ha aggiunto il Sole – un altro piano che rappresenta in qualche modo una variazione al tema: un’Opa lanciata da Cdp, ma insieme a Kkr, Macquarie e Vivendi. Tre differenti partiture ma che arrivano a un medesimo risultato: una rete “di Stato”. E del resto questa è l’unica indicazione arrivata dalla premier Giorgia Meloni”.

Lo scorso fine settimana Butti ha detto: “Il progetto Minerva” di rete unica tlc a controllo pubblico, elaborato da Fratelli d’Italia, “è prioritario” e “inizierò a sentire tutti gli stakeholder a partire dalla Cdp”. Secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione,  “Cassa, che è l’emanazione del Mef, ha un doppio ruolo che è strano, sia dentro Tim sia dentro Open Fiber. Partiremo a parlare con Cassa e poi con Tim e gli altri operatori. E’ fondamentale partire con il piede giusto”. “In questi mesi siamo riusciti a portare il mainstream sulle nostre posizioni” ha spiegato.

IL RUOLO DI TIM BRASIL

Secondo il Sole 24 ore, il piano Minerva punterebbe a un’Opa parziale: “Per la quale, evidentemente, resterebbe il problema del consolidamento del debito da parte di Cdp che però sarebbe aggirato dalla vendita – che dovrebbe essere addirittura preventiva – di Tim Brasil e della parte servizi. Poi seguirebbe l’ingresso di Open Fiber (controllata al 60% da Cdp e al 40% da Macquarie)”. La controllata brasiliana oggi ha presentato i conti del terzo trimestre, il primo in cui l’acquisizione delle attività mobili del gruppo OI è contabilizzata per l’intero periodo, con ricavi da servizi in crescita del 24,7% e Ebitda in crescita del 24,5%. “Nel terzo trimestre 2022 Tim Brasil presenta solidi, mostrando un alto livello di risultati di esecuzione e confermando la propria capacità di raggiungere le guidance presentando”, commenta il management dell’azienda, guidato dall’ad Alberto Griselli, che è succeduto a Pietro Labriola quando quest’ultimo è stato nominato al vertice della capogruppo.A sostenere la corsa della società anche lo sviluppo infrastrutturale: Tim Brasil ha lanciato il proprio servizio 5G in tutte le capitali degli stati brasiliani e, come evidenzia la nota che accompagna i conti, ha “più siti 5G della somma dei suoi concorrenti”.

LE PAROLE DI LABRIOLA SULLA RETE E NON SOLO

Tim è “un’azienda industrialmente sana” che però soffre per “il fardello del debito”. A dirlo è stato l’amministratoredDelegato del gruppo, Pietro Labriola, durante l’assemblea dei Confindustria Bari e BAT. “Dobbiamo risolvere strutturalmente il problema del debito”, ha aggiunto Labriola, indicando nel piano presentato lo scorso luglio la strada maestra per raggiungere questo obiettivo. Labriola si è soffermato anche sui risultati registrati da Tim Brasil, che nel terzo trimestre ha visto salire ricavi ed Ebitda di quasi il 25%: “è il fiore all’occhiello del gruppo”.

Arrivare ad avere una rete unica in fibra “è un elemento importante, strategico per il Paese”, ha aggunto Labriola. “Fare due reti in fibra ottica è un dispendio inutile in un momento in cui il Paese deve sviluppare tante altre piattaforme e questo deve essere fatto in una logica di politica industriale, con una certa visione”, ha aggiunto il manager. “Nessuno sta costruendo un’autostrada parallela alla A14”, ha esemplificato Labriola con una metafora. “Gli stakeholder su questo fronte sono numerosi, abbiamo prolungato il memorandum con Cdp per completare l’analisi”, ha continuato il capo azienda del gruppo di Tum. “C’è il timore che se si perde molto tempo la sovrapposizione nella costruzione delle reti sia tale per cui alla fine rende tutto quanto inutile: attenzione però che nei prossimi due anni è molto probabile che entrambe le società che gestiscono le reti si concentrino nella costruzione nelle aree cosidette Pnrr, per cui ritengo probabile che il rischio di perdere sinergie da sovrapposizione si abbia a partire dal 2025-2026. Cerchiamo di sgombrare il campo da equivoci sul rischio che sia troppo tardi per procedere”, ha concluso Labriola.

IL PIANO MINERVA E L’OPA SU TIM

Il profumo di Opa su Tim già ad agosto ha eccitato Piazza Affari: un’Offerta pubblica di acquisto su Tim – o comunque di un acquisto coordinato da Cassa depositi e prestiti – per poi vendere quasi tutto tranne la rete, che rimarrebbe in mano pubblica, è in sostanza il progetto (non smentito) di Fratelli d’Italia una volta che il centrodestra dovesse andare al governo, secondo la ricostruzione di Bloomberg firmata nei primi giorni di agosto da tre giornalisti dell’agenzia stampa.

Secondo i vertici di Fratelli d’Italia, non è la prima volta che Cdp si muoverebbe su asset strategici: anche sul dossier Aspi (comprata da Cdp) la politica si è rivolta alla Cassa per sbrogliare un dossier controverso e far tornare allo Stato la concessionaria autostradale, ma il quel caso – secondo alcuni tecnici che seguirono la partita – fu organizzata almeno nella prima fase una beauty contest.

QUESTIONI CONTROVERSE

Una questione comunque controversa per Aspi, come ha sottolineato nei giorni scorsi la giurista Vitalba Azzollini sul quotidiano Domani diretto da Stefano Feltri: “Una sentenza del Tar del Lazio rischia di incidere sulla prosecuzione della gestione della rete autostradale da parte di Aspi. La concessione rischia addirittura di essere revocata per l’intervento, invocato dal Tar, della Corte di Giustizia europea. Proprio adesso che non è più dei Benetton ma della Cassa Depositi e Prestiti. – ha scritto la giurista – La modifica della convenzione originaria e il riassetto societario di Aspi, con l’entrata nell’azionariato di Cassa Depositi e Prestiti, avrebbero richiesto di valutare il ricorso a una procedura di evidenza pubblica, cioè di una gara per la riassegnazione della concessione. Ma di tale valutazione non c’è traccia”.

I PALETTI DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Anche e soprattutto l’Opa di Cdp su Tim incorrerebbe nelle procedure della Commissione europea. Gli analisti più addentro alle cose bruxellesi – come scritto di recente da Startmag – sottolineano un passaggio della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo su “ruolo delle Banche Nazionali di Promozione (NPB) nel sostenere il Piano di Investimenti per l’Europa”:

Ecco il passaggio saliente: “If, to the contrary, financing decisions require government endorsement or the members of the relevant governing bodies (e.g. the Board) are government officials or otherwise act under the guidance of the government, the NPB becomes a captive financial institution and must be included in the government sector in national accounts. Detailed guidance on the accounting treatment of NPBs is provided by Eurostat’s European System of National and Regional”.

Ovvero: “Se le decisioni di finanziamento richiedono l’approvazione del governo o i membri degli organi di governo competenti (ad es. il Board) sono funzionari del governo o agiscono comunque sotto la guida del governo, l’NPB diventa un istituto finanziario captive e deve essere incluso nel settore pubblico nei conti nazionali”.

CASSA DEPOSITI E PRESTITI HA LE RISORSE PER UN’OPA SU TIM?

L’Opa della Cassa su Tim costerebbe – secondo i rumors finanziari – intorno ai 5 miliardi di euro. Cdp ha i soldi necessari?

A fine giugno 2022, data della semestrale, la società controllata dal ministero dell’Economia e partecipata dalle fondazioni aveva un capitale disponibile di 1,4 miliardi di euro. Un livello più alto di quello del recente passato ma non sufficiente per un’Opa su Tim, secondo i tecnici del ministero dell’Economia. In sostanza, in caso di un’Opa su Tim, la Cassa avrebbe necessità di essere ricapitalizzata dai soci. In sostanza, ministero dell’Economia e fondazioni bancarie dovrebbero sborsare soldi per aumentare il capitale della Cdp. Per il Mef, azionista con l’82,77%, un esborso di 4 o 5 miliardi non rappresenterebbe un problema insormontabile, se la contropartita fosse, appunto, la soluzione definitiva sulla rete unica.

E per le fondazioni ex bancarie? I 65 enti azionisti di Cassa controllano il 15,93% del gruppo Cdp. Una quota di minoranza ma significativa: infatti secondo lo statuto l’assemblea di Cdp è regolarmente costituita e può deliberare sia in ordinaria sia in straordinaria solo se è presente almeno l’85% del capitale sociale. Quel 15,93% dà quindi alle fondazioni un potere enorme: senza di loro l’assemblea di Cdp è nulla (il resto del capitale, pari all’1,3% è di azioni proprie).

Ma l’ipotesi di un’Opa lanciata non solo da Cdp ma anche dai fondi che gravitano già attorno a Tim e Open Fiber – per non parlare di altri che stanno scaldando i motori come Cvc – potrebbe attenuare l’impatto finanziario per la società controllata dal Mef e partecipata dalle fondazioni bancarie.

LE PERPLESSITA’ DELLE FONDAZIONI

In caso di ricapitalizzazione che cosa farebbero le fondazioni? “E’ improbabile che tutti gli enti di estrazione creditizia partecipino alla ricapitalizzazione, i loro conti attuali non lo permettono”, confidava lo scorso agosto a Startmag un addetto ai lavori vicino al mondo delle fondazioni. Ma se cosi fosse, scenderebbero al di sotto di quel 15% che, come detto, è soglia cruciale perché svolgano un ruolo attivo. Se poi, addirittura, in massa non accorressero all’appello del governo, potrebbero scendere anche al di sotto del 10% e perderebbero quindi (secondo l’articolo 15 del statuto) il diritto a presentare una propria lista e ad avere rappresentanti nel cda di Cassa, compreso il presidente.

LE ANALISI DEL SOLE 24 ORE E DI MF SUL CAPITALE DI CDP

La questione delle risorse è dunque cruciale. Ha scritto oggi Mf/Milano Finanza: “Il free capital di Cdp nell’estate del 2018 era di 4,5 miliardi, diventati 300 milioni nel giugno 2021. L’attuale board ha gestito (probabilmente non a caso) operazioni di exit da precedenti investimenti, per circa 750 milioni e riportato il pay out dividend nell’alveo di quanto previsto dallo statuto, intorno al 50% rispetto all’80-100% della gestione precedente. Insomma, il free capital è stato in parte ricostituito, ma resta intorno a 1 miliardo con alcune controllate (il primo pensiero va ad Ansaldo) che potrebbero presto richiedere iniezioni di capitale, come è stato per Saipem. Non solo, ma rilevare Tim non è tanto o comunque non è solo un problema di equity, ma di enterprise value. L’acquisizione di Telecom comporta l’accollo di 26 miliardi di debiti e Cdp resta una società soggetta alla vigilanza di Bankitalia”.

Per questo, ha aggiunto oggi il quotidiano finanziario del gruppo Class (in cui le maggiori banche attive in Italia hanno un ruolo non secondario), “se davvero il governo vorrà fare della Cassa il perno di una rete tlc pubblica dovrà per forza trovare alleati, che in Open Fiber ci sono (il fondo Macquarie). La stessa Vivendi (principale azionista con il 24% di Tim) si è già candidata a dialogare col governo. Insomma, la volontà è chiara, il fine condivisibile, ma la strada per arrivare al sacro Graal della rete unica sarà probabilmente in salita”.

Numeri e considerazioni che erano rintracciabili ad agosto già sul Sole 24 Ore: negli ultimi anni  il capitale della Cassa “si è andato assottigliando a causa di un utilizzo importante dello stesso in operazioni di finanza (tanto che a fine 2021, quando si è insediato il nuovo management, l’asticella segnava 300 milioni a fronte degli oltre 4 miliardi del 2018). Un percorso, quello della ricostituzione del capitale disponibile, che fa leva sulla gestione delle partecipazioni secondo un principio di razionalizzazione e rotazione di quelle esistenti, una volta centrati gli obiettivi, e su una più prudente gestione del pay out che è stato riportato al 55% statutario”. Mentre dal 2018 al 2020 – come si rileva da un’elaborazione dei dati societari di Cdp – il pay out è stato dell’80% e nel 2018 del 100%.

Alla prossima puntata su Tim e dintorni.

Back To Top