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Bcc, tutti i dubbi dell’operazione Carige per Cassa centrale banca (Ccb)

L'intervento di Marco Bindelli, vice presidente e consigliere delegato ai rapporti con il Credito Cooperativo e le Capogruppo del Banco Marchigiano-Credito Cooperativo (gruppo Ccb)

Tutta la stampa è oramai concorde nel ritenere che l’unico dubbio da sciogliere relativamente all’operazione Carige sia legato alla decisione dei Malacalza che, ad oggi, detengono il 27% del capitale.

In pochi però si sono posti il problema della convenienza, della rischiosità e della liceità dell’operazione da parte del Gruppo bancario cooperativo (Gbc) facente capo alla trentina Cassa centrale banca (Ccb) che a regime, per effetto della call, potrebbe arrivare a sborsare complessivamente circa 500 milioni di euro per il salvataggio di Carige.

Partiamo dalla fine, ossia dalla legittimità dell’operazione per una capogruppo di un Gbc.

LEGITTIMITÀ DELL’OPERAZIONE CARIGE E POSIZIONE DI BANKITALIA

Recentemente si è fatto cenno ai dubbi sollevati per mezzo di un’interrogazione parlamentare dal presidente della 6° Commissione Finanze e tesoro del Senato, Alberto Bagnai, di “verificare che le agevolazioni fiscali di cui le banche aderenti (ndr. le Bcc) godono (direttamente connesse al favor del legislatore per la funzione sociale della cooperazione) non si traducano, direttamente o indirettamente, in un vantaggio competitivo per società capogruppo che invece operano secondo una logica tradizionale di massimizzazione del profitto”.  Si è poi segnalato il problema della eventuale compatibilità dell’operazione con l’oggetto sociale della capogruppo Ccb e della corretta allocazione del reddito (e della redditività mutualistica) nell’ambito del Gbc.

Quello che qui preme evidenziare è che, per qualunque società, e a maggior ragione per una Banca che “vive” di fiducia e reputazione (ancor più per una Banca a mutualità prevalente), un’operazione che fosse anche particolarmente redditizia e sicura potrebbe non essere comunque consentita perché in contrasto con la normativa vigente.

Come evidenziato su Affari & Finanza di Repubblica del 22 luglio scorso dal prof. Francesco Capriglione, le Banche di credito cooperativo (Bcc) “saranno chiamate a sostenere una linea gestionale posta in essere da una holding che, avvalendosi delle prescrizioni della riforma del 2016, interpreta in maniera ambigua l’estensione dei suoi poteri per accreditarsi un ruolo (e realizzare un programma di crescita) non ipotizzabile sino a qualche anno fa. Ciò attingendo con tutta probabilità alle risorse finanziarie destinate dalla riforma alla realizzazione di un meccanismo solidaristico (cross-guarantee scheme) costituito da un pool di risorse patrimoniali e liquide, da smobilizzare prontamente in circostanze di difficoltà degli aderenti (Sabbatelli). Tale convincimento è avvalorato dal fatto che, ad oggi, non si rinviene nel gruppo la presenza di soggetti estranei al ‘mondo cooperativo’ in grado di supportare finanziariamente l’operazione in parola; da qui la inevitabile conseguenza che il peso di quest’ultima dovrà gravare interamente sulle Bcc aderenti, peraltro ancora non pienamente consapevoli degli esiti potenzialmente dirompenti dell’attività di AQR di prossima realizzazione da parte della BCE”.

Il prof. Capriglione conclude poi affermando che “la problematicità di tale operazione induce ad auspicare una provvida azione delle autorità di supervisione (nazionali ed europee) che faccia chiarezza, tuteli le ragioni delle banche di credito cooperativo scacciando i timori sopra rappresentati, ivi compreso quello relativo ad una non condivisibile acquiscienza da parte dell’autorità domestica”.

In altre parole, è giunto il momento che l’Autorità di vigilanza, la quale ha partecipato attivamente alla redazione della formulazione definitiva della Legge n. 46/2016 che ha profondamente modificato il Decreto legge 14 febbraio 2016 n. 18, chiarisca la vera ratio della legge di riforma delle Bcc e la differenza (ammesso che ci sia) tra un Gbc ed un normale gruppo bancario. Peraltro, in attesa del decreto del Mise (Ministero dello sviluppo economico) tale intervento è dovuto anche in virtù delle considerazioni sempre espresse dalla Banca d’Italia circa la necessità di mettere in sicurezza il credito cooperativo tramite la costituzione dei Gbc, sicurezza che ora rischia di essere messa in discussione affidando ingenti risorse provenienti dalle Bcc al salvataggio di una Banca società per azioni (Spa) prima ancora di aver “sistemato” le Bcc in difficoltà appartenenti al gruppo Ccb.

L’unica osservazione alle argomentazioni del prof. Capriglione è rilevabile nella parte in cui asserisce che al momento non si rinviene nel gruppo Ccb la presenza di soggetti estranei al mondo cooperativo in grado di supportare finanziariamente l’operazione Carige, dal momento che, attualmente, il potente gruppo tedesco DZ Bank partecipa sia al capitale della capogruppo Ccb che al Consiglio di amministrazione della stessa e, in caso di necessità, potrebbe agevolmente intervenire ed acquisire una quota rilevante della capogruppo (per la verità, in base a quanto disposto dall’art. 37-bis, comma 7, del Testo unico bancario, la banca tedesca potrebbe, per esigenze di stabilità del gruppo, essere autorizzata ad acquisire la maggioranza assoluta della capogruppo).

Inoltre, un’interpretazione della riforma del credito cooperativo non coerente con gli arti. 41 e 45 della Carta Costituzionale riaprirebbe il delicato tema della legittimità costituzionale di una legge che ha imposto alle Bcc l’obbligatorietà dell’aderenza ad un gruppo bancario avente finalità cooperative e mutualistiche guidato da una Banca Spa con una risibile via d’uscita (way out) che, di fatto, è stata utilizzata esclusivamente dalla Bcc allora più vicina al governo che aveva progettato la riforma (la Bcc di Cambiano in cui lavorava il padre dell’allora ministro Luca Lotti). Aspetti, quelli del ricorso per incostituzionalità della riforma delle Bcc, che non vanno assolutamente sottovalutati, sia perché recentemente enunciati dall’ex presidente della Corte Costituzionale, il prof. Valerio Onida, sia perché già proposto da una Raiffeisenkassen della provincia di Bolzano (ricorso accettato dal TAR e presumibilmente successivamente rinunciato non appena l’attuale governo ha concesso alle stesse la possibilità di stipulare l’Ips, Institution protection scheme) e tutt’ora pendenti presso la Corte di Giustizia Ue con riferimento alla riforma delle Banche popolari.

EFFICIENZA DELLE BCC, AQR, TECNOLOGIA E BCE

Anche bypassando il tema della legittimità costituzionale ed ipotizzando che l’operazione possa essere considerata perfettamente lecita e coerente con (a) le finalità mutualistiche del Gbc, (b) la legge di riforma, (c) l’oggetto sociale della capogruppo, (d) il contratto di coesione e (e) l’accordo di garanzia (cross-guarantee scheme) sottoscritti dalle Bcc e la capogruppo, ed immaginando che l’operazione possa essere ritenuta iperconveniente e strutturata in modo tale da ridurre al minimo i rischi (che, per definizione, sono ineliminabili), appare logico chiedersi, anche per rispetto del principio di sana e prudente gestione che deve caratterizzare ogni Banca, se sia questo il momento opportuno per imbarcarsi in una tale importante operazione prima di aver:

  • risolto il problema delle Bcc in difficoltà;
  • proceduto ad efficientare le Bcc e, soprattutto,
  • prima ancora di aver affrontato lo scoglio dell’Asset quality review (Aqr) e degli investimenti tecnologici.

Si è già rilevato come in appena due mesi Bankitalia – dando dimostrazione di conoscere molto bene la ratio della riforma – sia intervenuta per ben tre volte a ricordare alle capogruppo il loro compito e la loro funzione, specie con riferimento alla necessità di rendere efficienti e competitive le Bcc, e per sollecitare il loro tempestivo intervento sulle Bcc in difficoltà.

A seguito dell’operazione Carige, senza conoscere il piano strategico, industriale e territoriale del gruppo e, soprattutto, senza aver sperimentato alcuna azione di efficientamento conseguente alla partenza del Gbc, le Bcc del gruppo Ccb potrebbero trovarsi con una maggiore responsabilità e rischiosità per effetto dei citati contratti di coesione e garanzia (cross-guarantee scheme) sottoscritti con la capogruppo.

I timori maggiori dell’operazione Carige giungono, tuttavia, dall’Aqr, il processo di revisione degli attivi patrimoniali imposto dalla Banca centrale europea (Bce) alle grandi banche per la valutazione del merito creditizio delle aziende multinazionali che penalizzerà maggiormente le Bcc dei Gbc, dal momento che riduce la possibilità di erogare credito alle micro imprese meritevoli.

Uno studio pubblicato nel 2017 dai professori Roberto Ruozi e Rinaldo Sassi, seppur datato e riferito ai dati del 2015, mostrava l’effetto dell’Aqr sui due neocostituiti Gbc (Iccrea Banca e Cassa Centrale Banca). Per effetto dei Npl (Non performing loans) detenuti dalle banche dei due gruppi si stimava per il gruppo Ccb un fabbisogno di maggiori capitali per circa 693 milioni di euro al fine di ripristinare un CET1 ratio pari al 13,5%, a fronte di un patrimonio libero eccedente (free capital) pari a circa 977 milioni di euro, e circa 1,8 miliardi di euro di fabbisogno di capitale, sempre per riportare il CET1 ratio al 13,5%, relativamente al gruppo Iccrea.

Ora, è pur vero che nel frattempo il trattamento contabile dei Npl incentiva la veloce cessione degli stessi e che il credito cooperativo è riuscito a guadagnare tempo riducendo l’ammontare dei Npl detenuto dai due Gbc, ma il loro livello è comunque ancora più elevato sia rispetto a quello registrato dalle altre banche europee sia in confronto a quello attualmente iscritto nei bilanci delle altre banche italiane e, soprattutto, il processo dell’Aqr è rimasto invariato. Inoltre, lo studio citato non tiene conto degli investimenti tecnologici necessari per adeguare il gruppo Ccb alle attuali e prospettiche esigenze di mercato e di digitalizzazione che potrebbero risultare di ammontare addirittura superiore a quelli richiesti per adeguare il livello dei Npl.

Ne consegue che, in ogni caso, Aqr e tecnologia comporteranno un importante assorbimento di capitale per il gruppo Ccb che, sommato ai circa 500 milioni di capitale complessivamente necessari per l’operazione Carige, dovrebbe far riflettere attentamente sulla opportunità di intervenire a sostegno di una Banca Spa in grande difficoltà e di rilevante dimensione per il gruppo stesso. Anche perché, impiegando meno risorse, Ccb potrebbe intervenire celermente sulle piccole Banche Spa o piccole Banche Popolari che stanno facendo concorrenza, a volte anche spietata, alle Bcc del gruppo ovvero intervenire in quelle Banche che versano in situazione di difficoltà ma che presentano una dimensione molto più consona a quella del gruppo Ccb.

Ovviamente, sempre ipotizzando la perfetta liceità e convenienza dell’operazione, i timori si ridurrebbero qualora Ccb avesse concordato con le Autorità di vigilanza europee un impatto minimo dell’Aqr o, meglio ancora, l’allungamento dei tempi di applicazione ovvero la sua non applicazione alle Bcc dei Gbc; tesi, quest’ultima, che avrebbe un senso logico e giuridico, oltre che di equità, per la quale ci si è battuti vigorosamente anche qui su StartMag trattando della non proporzionalità della supervisione e della regolamentazione bancaria europea e dei paradossi prodotti dall’adesione obbligatoria delle Bcc ai Gbc.

Questa fantasiosa ricostruzione legata ad una possibile “concessione” della Bce trae origine, oltre che da vari rumors di settore, dall’articolo di Luca Gualtieri pubblicato sabato 27 luglio su Milano Finanza quando, specificando l’incremento della partecipazione Carige che acquisirà Ccb per arrivare a detenere la maggioranza del capitale della Banca ligure, scrive: “La partecipazione iniziale sarebbe stata definita d’intesa con Bce in via prudenziale, ma salirà progressivamente dopo il superamento della prossima asset quality review. Un piano in più tappe insomma costruito su misura per un gruppo appena nato di cui Francoforte vuole testare la solidità”.

CONCLUSIONI

In definitiva, anche se l’operazione Carige rientrasse nella ratio della riforma e servisse a far comprendere alle Autorità di supervisione europea i paradossi derivanti dall’applicazione non proporzionale della regolamentazione bancaria europea e, in particolare dell’Aqr conseguente all’avvio dei Gbc, la stessa operazione, pur assumendo un minimo di logica (e pur compensando lo sconto concesso dalla Bce a Deutsche Bank per evitare l’aumento di capitale), andrebbe attentamente ponderata per le incognite ed i rischi che comporta per un gruppo appena nato ancora in fase di rilevante assestamento e che necessita di azioni di efficientamento e di importanti investimenti tecnologici.

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