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Bcc

Cosa succede alle Bcc fra Draghi, Giorgetti e Buratti (Pd)

L'intervento di Marco Bindelli, vice presidente del Banco Marchigiano e consigliere delegato ai rapporti con il credito cooperativo e le capogruppo (Gruppo Ccb)

 

A marzo dello scorso anno, intervenendo su Start Magazine a commento dell’intervista rilasciata da Mario Draghi al Financial Times, si auspicava che la necessità, dallo stesso evidenziata, di fornire liquidità immediata alle famiglie, alle piccole imprese e agli artigiani in difficoltà per effetto dell’emergenza epidemiologica, potesse essere risolta dalle Banche di credito cooperativo (Bcc) appena superata la tragica e paradossale realtà normativa, regolamentare e di vigilanza che favorisce le grandi banche come Deutsche Bank, Société Generale, BBVA o Unicredit; si sperava cioè che venisse rimossa l’assurda classificazione delle Bcc tra gli enti significant.

Dopo aver preso atto che non era stato dato seguito all’impegno espresso dall’ex premier Giuseppe Conte nel corso dell’assemblea di Confcooperative a favore della rimozione dei vincoli europei che costringono le Bcc ad essere catalogate tra le banche significant, con la formazione del governo Draghi, alcuni ingenuamente si erano illusi, e tra questi occorre annoverare anche il sottoscritto, che il banchiere centrale proveniente dalla Goldman Sachs, insieme alle forze di governo della Lega, potesse favorire le piccole e medie imprese e, conseguentemente, le Bcc.

Ecco l’estratto di interesse dell’articolo pubblicato il 9 febbraio 2021 qui su Start Magazine:

Con la formazione del nuovo super governo (così viene interpretato da gran parte delle forze politiche che lo dovranno sorreggere) è plausibile, tuttavia, aspettarsi la svolta tanto attesa dal credito cooperativo. E non solo per le ragioni già evidenziate in questo Magazine commentando l’intervento di Draghi sul Financial Times, quanto per alcune combinazioni politiche che sembrerebbero favorire quelle modifiche normative a favore delle Bcc, le quali, è bene ricordare ancora una volta, hanno necessità di essere ricondotte nell’alveo delle banche less significant e vedere le proprie capogruppo assolvere correttamente il proprio ruolo e funzione, quanto meno attraverso l’emanazione del decreto del Mise (Ministero dello sviluppo economico) che disciplina i controlli finalizzati a verificare che l’esercizio di quelle funzioni della capogruppo risulti coerente con le finalità mutualistiche delle Bcc.

Da notare, come evidenziato da questa redazione, che la Lega di Salvini, la quale ha già dato pieno appoggio al futuro governo, appare fondamentale per la tenuta in Parlamento ed è probabilmente la forza politica che più di ogni altra si è battuta per apportare modifiche normative a favore delle Bcc, in special modo attraverso il senatore Alberto Bagnai. Vedasi, in passato, la Mozione presentata (forse un po’ frettolosamente) in Camera e Senato il 2 maggio 2018 con la quale si chiedeva al Governo di sospendere i termini per la costituzione dei Gruppi bancari cooperativi (Gbc) oppure le modifiche normative alla legge di riforma tese a rafforzare il credito cooperativo e a confermare il carattere territoriale delle Bcc contenute nel decreto “Milleproroghe” del 2018 approvate in accordo con il M5S. …

Insomma, Draghi, che ha dichiarato sin dallo scorso marzo di voler favorire piccole aziende e famiglie e, conseguentemente, le piccole banche, sembra poter contare su un’ampissima schiera di parlamentari favorevoli a quelle modifiche normative oramai improcrastinabili per la tutela delle Bcc e per la corretta attuazione della legge di riforma. Resta da capire se l’ex presidente della Bce sarà in grado di convincere, ammesso che sia richiesto, l’unica forza politica che non si è mai pronunciata espressamente a favore delle Bcc e alla quale, peraltro, va attribuita la riforma del 2016 che si intende modificare, ossia il “vecchio” PD, ora scomposto in PD, Leu e Italia Viva.

Ovviamente, se si intende dare credibilità alle parole di Draghi pronunciate per mezzo del prestigioso quotidiano economico inglese, la capacità persuasiva nei confronti dei suoi ex colleghi della Banca d’Italia e della Bce deve essere data per scontata”.

A distanza di 7 mesi le condizioni per favorire quegli interventi sembravano addirittura aumentate nel momento in cui al Mise è stato nominato Giancarlo Giorgetti della Lega, il Pd ha proposto in Commissione finanze della Camera la Risoluzione n. 7-00668 (On. Buratti) con la quale impegna il governo a promuovere in ambito Ue la rimozione della classificazione significant delle Bcc, così come la Lega con l’On. Antonio Zennaro con la Risoluzione n. 7-00714 (vedasi La Verità del 7 settembre scorso) che ha proposto modifiche della riforma del credito cooperativo per salvaguardare l’azione territoriale delle Bcc e riportarle tra le banche less significant e, infine, il M5S attraverso l’On. Mario Turco che ha proposto modifiche per introdurre i Sistemi di tutela istituzionale (detti anche Ips, Insitutional protection schemes), alternativi agli attuali gruppi bancari cooperativi, per ridare autonomia gestionale alle Bcc ed alleggerire i rigidi meccanismi di vigilanza della Bce (vedasi Il Sole 24 Ore Radiocor Plus del 7 settembre scorso).

Tuttavia, ad oggi, pur risultando unanimemente acclarata la necessità di interventi normativi a favore delle Bcc, di fatto:

– il Mise non ha ancora emanato il decreto scaduto a marzo 2019 che disciplina i controlli finalizzati a verificare che l’esercizio del ruolo e delle funzioni delle capogruppo risultino coerenti con le finalità mutualistiche delle Bcc (ci si riferisce alle disposizioni di vigilanza cooperativa sulle capogruppo introdotte con la Legge n. 136/2018 che ha convertito, con modificazioni, il DL 23 ottobre 2018 n. 119);

– la politica continua a favorire unicamente le grandi banche e le mega aggregazioni bancarie, vedasi ad esempio la possibile fusione tra Unicredit, Mps e forse Banco Bpm e

– la vigilanza e la regolamentazione bancaria, italiana ed europea, proseguono nell’agevolare le concentrazioni bancarie ed i grandi gruppi bancari, dimostrando scarso interesse per le piccole banche e, in particolare, per le Bcc, le quali restano equiparate ai grandi colossi bancari nonostante le autorità americane abbiano invece capito da tempo l’importanza di valorizzare le c.d. community banks (vedasi il prof. Rainer Masera e da ultimo il prof. Marco Onado su Il Sole 24 Ore del 2 settembre scorso).

Da quanto precede può facilmente desumersi come la politica abbia adottato solo a livello formale iniziative per tentare di riequilibrare il sistema del credito cooperativo.

Sembra altresì desumersi una preminente posizione dell’Autorità tecnica italiana nel realizzare le indicazioni provenienti dalla Bce che ravvisa, forse erroneamente, la soluzione di tutti i problemi del credito nell’adozione della grande dimensione e, conseguentemente, una sostanziale non curanza delle piccole e medie banche. Peraltro, tale linea non tiene conto del dettato dell’art. 45 della Costituzione che tutela la cooperazione e, dunque, si pone anche a fondamento della salvaguardia delle banche cooperative.

Alle Bcc non resta, dunque, che sperare nell’attività della VI Commissione finanze della Camera, la quale ha richiesto un contributo/parere anche al sottoscritto.

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