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Vi racconto pensieri e opere dell’amico Giovanni Tria, neo ministro dell’Economia

Conosco Giovanni Tria, il nuovo ministro dell’Economia, da molti anni. Siamo stati vicini in molte battaglie nel tentativo, a volte quasi disperato, di interloquire con la politica. Far prevalere cioè il ragionamento e i dati del necessario realismo, fondato sull’analisi oggettiva dei problemi, in un mondo, a volte, convulso. Dove spesso conta più l’etica della…

Conosco Giovanni Tria, il nuovo ministro dell’Economia, da molti anni. Siamo stati vicini in molte battaglie nel tentativo, a volte quasi disperato, di interloquire con la politica. Far prevalere cioè il ragionamento e i dati del necessario realismo, fondato sull’analisi oggettiva dei problemi, in un mondo, a volte, convulso. Dove spesso conta più l’etica della convinzione, che non quella della riflessione.

Se, alla fine, una persona con quelle caratteristiche è stato chiamato a sedere sulla sedia che fu di Quintino Sella, significa ch’eravamo quasi giunti ad un punto di non ritorno. E che bastava poco per sprofondare. Del resto i segnali c’erano tutti. La Borsa che cadeva, gli spread che salivano ed i credit default swap – questa grandezza un po’ misteriosa – che raggiungevano picchi allarmanti. Era come se gli assicuratori considerassero l’’automobilista Italia talmente indisciplinato da attribuirsi una classe di rischio quasi impossibile.

Tutto questo – uno dei tanti miracoli italiani – alla fine si è risolto in un modo quasi imprevedibile. Carlo Cottarelli, cui si deve gratitudine per il ruolo svolto con disinteresse e senso dello Stato, ha rimesso in spalla il suo piccolo zaino. Giuseppe Conte – questo “signor nessuno” come qualcuno l’ha definito – che in punta di piedi aveva lasciato Roma per ritornare tra i suoi studenti è tornato sui suoi passi per rimettere in piedi un governo che presenta novità rilevanti.

Le due new entries – Enzo Moavero e Giovanni Tria – ne designano un profilo diverso. Entrambi contribuiscono a sciogliere un dubbio che aveva alimentato non poche polemiche circa la permanenza italiana nella moneta unica. Oggi sappiamo che quel tema non è più in discussione. Rimarremo nell’euro, ma al tempo stesso l’Italia darà il suo contributo per costruire un’Europa diversa ed evitare che la stessa possa implodere, se dovessero prevalere gli egoismi nazionali e le chiusure di alcuni a danno di altri.

Se questo è il contesto, Giovanni Tria è la persona capace di interpretare questo ruolo. La sua competenza tecnica è indiscutibile. Scandita da lunghi anni di insegnamento presso l’Università di Tor Vergata, di cui è divenuto preside della facoltà di Economia. In precedenza era stato chiamato a dirigere la Scuola superiore della pubblica amministrazione. Un’esperienza nuova: con un campo d’osservazione più ampio. Non solo economia, ma amministrazione: appunto. Da qui il suo cruccio. Non basta stanziare risorse per gli investimenti pubblici, era solito dire. Occorre ricostruire una struttura tecnica in grado di progettare e di controllare l’esecuzione delle opere. Qualcosa che negli anni passati ha consentito all’Italia di conquistare posizioni di eccellenza, anche in campo internazionale, è che, successivamente, è andata dispersa.

Questo quindi il pedigree professionale del nuovo ministro. Grande capacità di misurarsi con le insidie del quadro macro-economico del Paese, alla luce del quale valutare i necessari intrecci con la politica finanziaria. Una novità. Non avremo un ministro che guarda solo ai conti pubblici, ma che considera questa variabile nel quadro più ampio nelle reciproche relazioni. Se fosse stato questo il metodo seguito in passato, avremmo evitato un accanimento terapeutico che non ha impedito al rapporto debito-Pil di crescere, dopo aver gettato il Paese nell’inedia.

Rispetto agli altri inquilini di Via XX Settembre, escluso Pier Carlo Padoan, torna quindi un economista. Non un grande fiscalista come Giulio Tremonti od un esperto di mercati finanziari, come Vittorio Grilli. Lo stesso Fabrizio Saccomanni presentava, per la sua esperienza, caratteristiche diverse. La sua lunga carriera in Banca d’Italia era stata scandita, prevalentemente, dai rapporti con il mondo bancario. Resta, quindi, come analogia l’esperienza dell’ultimo ministro del governo Renzi prima e Gentiloni dopo. Ma il contesto politico era troppo diverso ed il rappresentante di quel Ministero non poteva che seguire gli indirizzi voluti dal Presidente del consiglio. I risultati elettorali hanno poi dimostrato, forse con un pizzico di ingenerosità – ma è anche questa la politica – che quella linea non aveva trovato il successivo consenso.

Come agirà Giovanni Tria? Previsioni in merito, stante le grandi difficoltà dei problemi italiani, non sono facili. L’unica cosa relativamente certa è che ci troviamo di fronte ad una persona che non ha asprezze di carattere. E’ portato a ragionare e ricercare, nel confronto sulle cose reali, le soluzioni più idonee. Nessun protagonismo pregiudiziale, quindi, ma grande apertura. Il che non significa mancanza di fermezza. Può anche cambiare idea, ma solo se gli si dimostra che esiste una soluzione migliore.

I commenti a caldo della stampa sono stati in parte fuorvianti. Si è cercato di capire che personaggio fosse spulciando i suoi scritti più o meno recenti. Ed ecco allora i dubbi circa il suo giudizio sull’euro o l’ipotesi di lasciar correre, nel consentire un aumento dell’Iva e delle accise. Si tratta di osservazioni che non sembrano corrispondere, per chi lo conosce, al suo effettivo modo di ragionare. Di euro e di moneta unica abbiamo a lungo discusso, anche in pubblici convegni. Il suo cruccio è diverso da chi propone il beau geste della fuga solitaria. L’interrogativo è relativo alla tenuta stessa di quell’impalcatura. L’euro nacque nella presunzione che fosse lo strumento indispensabile per garantire un “processo di convergenza” tra tutti i Paesi membri. Doveva garantire una progressiva riduzione delle diseguaglianze in termini di reddito e di opportunità. Non sembrano essere questi i risultati raggiunti.

Al contrario le asimmetrie tra Paesi forti ed economie più deboli sono cresciute. Il tema della condivisione del rischio sostanzialmente archiviato. Fino a che punto può reggere una moneta che cerca di tenere insieme realtà così diverse? E’ come se volessimo costruire un ponte i cui pilastri si spostano continuamente, allargando la lunghezza dell’arcata. La fisica insegna che, alla fine, quel ponte è destinato a crollare. Per evitare questa piccola catastrofe è allora necessario rafforzare le relative strutture. Far sì che quei pilastri diventano sempre più resistenti. Insomma occorrono regole nuove non nell’interesse di questo o di quel Paese – anche questo conta ovviamente – ma dell’intera Europa. In una fase – questo il suo monito costante – in cui il Mondo sta cambiando a velocità impressionante. Con le due grandi Potenze – gli Stati Uniti da un lato e la Cina dall’altro – che rischiano di trasformare il vecchio Continente in un piccolo vaso di coccio.

Da accademico, Giovanni Tria ha sostenuto che era meglio puntare su una politica fiscale che colpisse più i consumi che non i fattori della produzione. A parità di gettito, quindi, abbassare le imposte personali su famiglie ed imprese ed accrescere Iva e accise. Ma queste sono idee ampiamente condivise a livello internazionale. Basti prendere i suggerimenti del Fondo monetario, dell’Ocse o delle altre Istituzioni internazionali. Con motivazioni più che convincenti. Ma un conto è l’attività di ricerca, un altro è misurarsi, da Via XX Settembre, con la complessità della situazione italiana. Quindi nessuna linearità nel ragionamento. Il retroterra culturale è indispensabile per il governo dei fenomeni complessi. Ma poi la realtà ne dimostra, ogni giorno, la sua relativa incompiutezza.

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