Per arginare quello che per la Commissione europea è “lavoro autonomo fittizio”, i governi nazionali dovranno stabilire una presunzione legale di lavoro subordinato. Nei fatti è questa la principale conseguenza della direttiva Rider nata in seno alla Ue dopo un processo legislativo di ben tre anni.
UNA DIRETTIVA TRAVAGLIATA
La Direttiva Rider nella lunga pedalata che l’ha portata alla formulazione attuale non ha certo ottenuto il consenso unanime da parte dei Ventisette. Anzi, ha più volte spaccato il club comunitario con Francia, Germania, Estonia e Grecia che, ancora a inizio anno, erano riusciti a far saltare l’accordo all’ultimo miglio.
E dato che tre dei quattro oppositori sono Paesi fondatori, si intuisce il livello di divisione portato dal testo che nelle intenzioni della Commissione avrà un impatto su circa 5,5 milioni di lavoratori che dovrebbero passare dallo status di liberi professionisti a dipendenti in un comparto che impiega 28 milioni di persone – cifra che dovrebbe raggiungere i 43 milioni entro il 2025 – e si dipana lungo oltre mezzo milione di piattaforme digitali che operano nel Vecchio continente.
L’INSOSTENIBILITA’ DEL MODELLO SCOOBER SPAVENTA GLI STATI CONTRARI
Il problema è che, mentre l’Unione europea legiferava seguendo le direttive della Commissione, al di fuori dei Palazzi chi, tra i player del settore, aveva provato la fuga anticipando le regole sull’assunzione dei rider (come Just Eat che, con Scoober, negli anni della pandemia aveva annunciato il contratto di lavoro dipendente per i rider), ha scoperto a proprie spese l’insostenibilità del sistema.
LA RETROMARCIA DI JUST EAT
Scriveva l’agenzia Dire nel marzo dello scorso anno: “Just Eat Uk licenzia 1700 rider dipendenti e si rimangia il modello ‘Scoober’“. Catenaccio: “Alla fine del 2020 era stato Just Eat a lanciare il modello Scoober, ovvero ad assumere i rider come dipendenti, dando loro malattia, ferie e contributi. Ora fa un passo indietro”. Al loro posto hanno ripreso a lavorare fattorini freelance.
LICENZIAMENTI AL DI LA’ E AL DI QUA DELLA MANICA
L’azienda, riportava la testata britannica BBC, aveva dichiarato che l’utilizzo di dipendenti anziché di lavoratori autonomi nel Regno Unito la aveva posta in una posizione di svantaggio competitivo.
Aprendo una voragine nei conti le cui crepe hanno iniziato a correre per tutta Europa, attraversando carsicamente la Manica: a inizio 2024, nemmeno un anno dopo le tribolazioni britanniche del 2023, Just Eat Takeaway ha detto addio anche a Parigi. Oltre 100 i posti di lavoro interessati, superstiti dei grandi tagli di due anni prima che avevano riguardato ben 300 unità.
SCOOBER A MACCHIA DI LEOPARDO
È successo tutto questo nonostante il modello Scoober – al netto dei proclami (anche in Italia non s’è mai capito a quanto ammontassero realmente le assunzioni) – fosse applicato a macchia di leopardo. In Irlanda e Slovacchia l’azienda si è sempre avvalsa del modello gig.
In Francia, Just Eat utilizzava corrieri dipendenti “Scoober” a Parigi, ma non in altre città. Secondo il sindacato Force Ouvrière (FO), Just Eat contava infatti solo un centinaio di dipendenti fissi, tutti nella capitale. E in Gran Bretagna, epicentro del terremoto, oltre il 90% delle consegne era comunque effettuata da lavoratori autonomi.
Per completezza si segnalano difficoltà anche nella filiale italiana di Just Eat che ha chiuso il 2023 con un valore della produzione che sfiora i 95 milioni di euro (94.830.250), in deciso calo rispetto agli oltre 106,2 (106.268.119) fatturati nel ’22.
I TIMORI DI CHI SI OPPONEVA ALLA DIRETTIVA RIDER
Di fronte a certi rapidi collassi si spiega la riluttanza dei Paesi che a più riprese si sono detti contrari alla direttiva Rider così come era stata disegnata. Una opposizione che è comunque servita ad apportare diversi cambiamenti – tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 – al testo in esame all’Europarlamento.
I CONTINUI CAMBIAMENTI AL TESTO
Nel primo accordo, Consiglio dell’Ue ed Eurocamera avevano stabilito che affinché scattasse la presunzione di rapporto subordinato, sarebbe stata necessaria la copresenza di due su cinque indicatori, che riguardavano i limiti massimi alla somma di denaro che i lavoratori possono ricevere, il controllo sull’assegnazione, distribuzione e svolgimento delle mansioni, le restrizioni sulla scelta degli orari e sulla libertà di organizzare il lavoro, le norme sull’aspetto fisico o di comportamento.
Vincolo poi eliminato quando di mezzo si erano messi ben 12 Paesi su 27. Da qui allora l’obbligo per i governi nazionali di “stabilire una presunzione legale relativa dell’occupazione a livello nazionale”, affinché la presunzione di rapporto subordinato potesse essere innescata da “fatti indicanti controllo e direzione, secondo la normativa nazionale e i contratti collettivi vigenti“.
In entrambi i casi, era rimasto l’inversione dell’onere della prova, ovvero lo spostamento dal lavoratore alla piattaforma dell’obbligo di raccogliere le prove per dimostrare che un lavoratore è veramente autonomo. Parigi aveva votato contro l’accordo, mentre Berlino, Atene e Tallin si erano astenute, che equivale a esprimere posizione contraria.
L’ULTIMO PASSAGGIO
Veniamo infine all’oggi. Il Consiglio Ue Ambiente di Lussemburgo ha confermato l’accordo raggiunto con gli Stati membri l’11 marzo 2024 sulle nuove norme per migliorare le condizioni delle persone che lavorano per le piattaforme online, regolando per la prima volta l’uso dei sistemi di algoritmi sul posto di lavoro.
IL CASO GORILLAS SPAVENTA LA GERMANIA
In quest’ultima tornata solo la Germania si è astenuta. Berlino del resto ben conosce le insidie del settore per via dei tanti inciampi della startup tedesca Gorillas che, dopo una rapidissima ascesa è stata costretta a dimezzare la sua forza lavoro e decidere la chiusura in Belgio.
Due anni fa ha annunciato l’addio anche dall’Italia col licenziamento dei dipendenti assunti nel nostro Paese. La realtà che offre consegne di generi alimentari era arrivata nel nostro mercato soltanto un anno prima.
Nel dicembre 2022 un’altra realtà del comparto, Getir, aveva acquisito Gorillas (secondo il Financial Times l’accordo avrebbe avuto un valore da 1,2 miliardi di dollari) ma, a dispetto delle dimensioni del nuovo soggetto, il primo agosto del 2023 la startup turca ha poi annunciato il ritiro da Spagna, Portogallo e Italia. Solo nel nostro Paese quest’arrembante realtà impiegava 370 dipendenti. Una fonte della testata americana TechCrunch all’epoca aveva spiegato che Getir nel 2023 stesse bruciando 100 milioni al mese.
COSA DICE LA DIRETTIVA RIDER
La nuova legge passata senza l’adesione di Berlino obbliga i Paesi del club europeo a introdurre una presunzione di rapporto di lavoro subordinato (rispetto al lavoro autonomo) quando sono presenti fatti che indicano il controllo e la direzione, conformemente al diritto nazionale e ai contratti collettivi, tenendo conto della giurisprudenza comunitaria. L’onere della prova spetterà alla piattaforma, che dovrà dimostrare che non esiste un rapporto di lavoro.
Con l’adozione formale, la direttiva sarà ora pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Ue, lasciando agli Stati membri due anni di tempo per incorporare le disposizioni della direttiva nella loro legislazione nazionale.
QUALI SONO I COSTI DELLA RIFORMA?
La stessa Commissione europea, presentando lo studio a Stati ed europarlamentari, aveva scritto: “L’azione volta ad affrontare il rischio di classificazione errata (settore di intervento A) potrebbe comportare maggiori costi annuali per le piattaforme compresi tra 1,9 e 4,5 miliardi di euro”.
CHI LI DOVRA’ SOSTENERE?
Insomma, ridisegnare la geografia contrattuale della gig economy comporta maggiori spese tra i 2 e i 4 miliardi e mezzo di euro. E chi pagherà? “Le imprese che ne usufruiscono e i consumatori potrebbero dover far fronte a una parte di questi costi, nel caso che le piattaforme di lavoro digitali decidano di trasferirli a terzi e in funzione delle modalità del trasferimento.”
Il rischio contagio esteso anche ad altre piattaforme caratterizzate da modelli sostenibili e da bilanci solidi sulla falsariga di quanto già avvenuto con Scoober sembra più che mai concreto. Resta dunque da rivolgere a Bruxelles un paio di domande: il modello legale varato dalla Ue è sostenibile nella realtà? E cosa farà la Ue in caso di emorragie di licenziamenti?