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Sanzioni

Perché vedo nero sul governo giallo-verde

Il post di Giuliano Cazzola sul governo Conte Il presidente Giuseppe Conte – ormai nel ruolo di commesso viaggiatore – ha provato a ridimensionare, a Mosca davanti alla stampa internazionale, il contrasto sul deficit della manovra per il 2019 tra la Commissione Ue e il governo giallo-verde. A suo avviso, in fondo, si tratta di…

Il presidente Giuseppe Conte – ormai nel ruolo di commesso viaggiatore – ha provato a ridimensionare, a Mosca davanti alla stampa internazionale, il contrasto sul deficit della manovra per il 2019 tra la Commissione Ue e il governo giallo-verde. A suo avviso, in fondo, si tratta di qualche decimale di punto che un Paese dai ‘’fondamentali’’ in ordine può permettersi, senza eccessive preoccupazioni. In sostanza, si torna sempre alla storia dei ‘’numeretti’’ che non possono distogliere la ‘’Grande Proletaria’’ dal destino a cui il ‘’popolo’’ va coraggiosamente incontro.

Eppure, i numeri hanno la loro importanza quando un Paese è parte di una comunità alla quale ha aderito liberamente, assumendo degli impegni nei confronti dei partner fino a condividere persino la moneta. Impegni che non riguardano i governi che li hanno sottoscritto, tanto da consentire a esecutivi di differente orientamento di violarli quasi per partito preso. Sono impegni che vincolano gli Stati, in rappresentanza dei quali i governi pro tempore hanno agito, lungo un percorso di continuità amministrativa.

I trattati sono le fonti del diritto internazionale. In base ad essi e alle loro disposizioni la sovranità è necessariamente limitata, tanto più quando, attraverso un reticolo di relazioni, consolidate nel tempo, gli Stati hanno scelto di cedere sovranità a organismi sovranazionali su di un ambito sempre più ampio di materie, riservandosi comunque – come nel caso dell’Ue – il diritto dell’ultima parola (è il Consiglio dei capi di Stato e di governo che detiene il potere legislativo della comunità).

Sarebbe risibile, se non fosse tragicamente irresponsabile, considerare l’appartenenza a un’organizzazione sovranazionale e i relativi vincoli, come se si fosse sottoposti ad un’occupazione manu militari ad opera dei partner più autorevoli. L’Italia ha presentato uno schema di bilancio che non tiene conto – per quanto riguarda il deficit – di quanto era stato promesso dai governi precedenti, i quali, sulla base di quelle promesse aveva ottenuto un buon margine (circa 30 miliardi) di flessibilità. Inoltre, è giudizio comune di tutti gli osservatori nazionali (l’Upb, la Banca d’Italia, la Corte dei Conti, gli enti di ricerca) ed internazionali (le agenzie di rating e quant’altro) che quel ‘’numeretto’’ (il 2,4% sul Pil) sia assolutamente improbabile in un contesto in cui sono sopravvalutate le stime di crescita economica e le entrate mentre è sottovalutato l’ammontare delle spese a sostegno di provvedimenti (l’annunciata manomissione della riforma Fornero, innanzi tutto) considerati destabilizzanti di un ordinato equilibrio dei conti pubblici. Ma, al di là degli aspetti economici e di finanza pubblica (le riserve sono assolutamente giustificate), il confronto/scontro tra il governo e la Commissione (che ha il sostegno di tutti gli altri Paesi, compresi gli ‘’amici’’ del governo giallo-verde) ha un profilo prevalente di natura politica.

Che i nostri governanti non solo non si curino delle leggi e dei trattati, ma siano degli irresponsabili a me pare del tutto evidente. Hanno combinato più danni con dichiarazioni arroganti, sprezzanti, minacciose che con atti concreti di governo (che ancora non ci sono se non in maniera generica e confusa). Le accuse deliranti di Luigi Di Maio su Mario Draghi sono l’ennesima dimostrazione di un’arroganza nefasta che purtroppo è ormai diventata una linea di condotta politica. Che cosa dovrebbero fare le istituzioni europee (fondate ed operanti in nome di una prospettiva di integrazione del Vecchio Continente) per reagire all’azione di forze ostili a quella visione? Il mondo che una volta era definito l’Occidente è uscito dalla terza guerra mondiale (quella che è cominciata nel 2008 con la Sarajevo del fallimento di Lehman brothers) privo di un ordinamento internazionale condiviso, ma logorato ed inquinato da forti tensioni sovraniste ed isolazioniste, che hanno portato, prima, alla Brexit, poi, negli Usa, all’elezione di Trump.

L’Europa soffra di una febbre analoga, di una sorta d’influenza ‘’spagnola’’ che si è diffusa in tutti i Paesi. I partiti nazionalisti, sovranisti, populisti e, perché no?, razzisti sono in crescita un po’ ovunque, ma hanno vinto solo in Italia, grazie ad una coalizione che – come dice Steve Bannon – raggruppa gli ‘’ismi’’ malefici di destra e di sinistra. L’Italia potrebbe diventare – come lo fu del fascismo un secolo fa – il Paese guida del (som)movimento sovranpopulista europeo. Non è peregrina l’idea di Matteo Salvini di mettere in campo un’Internazionale dei nazionalismi che peraltro avrebbe l’appoggio sia di Trump che di Putin (le visite di Salvini prima, di Conte poi, in Russia, sono molto significative di questo cambiamento anche sul piano della politica internazionale dei nuovi protagonisti di quella interna). Ecco perché, in queste settimane, non si gioca soltanto una partita di carattere economico, ma una vera e propria battaglia di civiltà tra le forze unioniste e quelle nazionaliste. I valori in campo, in altre circostanze, hanno dato luogo a vere e proprie guerre civili, riguardanti il destino e la prospettiva delle nazioni.

Ma se è in corso uno scontro di tale portata è normale che il fronte unionista giochi le sue carte ora, quando è ancora al potere nelle istituzioni europee, mentre gli avversari (anzi, i nemici) non hanno consolidato le loro posizioni. L’Italia diviene, così, un inevitabile campo di battaglia. Paradossalmente, ha ragione Luigi Di Maio: dopo le elezioni del Parlamento di Strasburgo, per i partiti tradizionali filo-europei il quadro politico potrebbe essere peggiore dell’attuale. E’, allora, necessario arrivare al redde rationem con l’Italia in questa fase, prima che il virus del populismo (con tutti i nauseabondi ‘’ismi’’ che si porta appresso) dilaghi nel Continente.

Nel secolo scorso – come abbiamo ricordato – l’Italia fu l’incubatrice del fascismo e venne lasciata fare sempre con troppa tolleranza, spesso con malcelata simpatia. L’Europa non può più correre un rischio analogo, sia pure in una situazione storica diversa. La maggioranza giallo-verde deve essere combattuta per quello che è, prima ancora che per quello che i suoi leader dicono (a sproposito) o il governo dispone (sbagliando). Certo, è una competizione difficile, parecchio compromessa nel suo esito. Ma il tempo lavora per i nemici dell’Unione e dell’euro. Bisogna agire al più presto. Come diceva Winston Churchill ‘’una nave da guerra deve andare in battaglia’’. Il fatto è che l’esito dello scontro lo decideranno le reazioni dei mercati, perché sono loro e non più (almeno per ora) gli eserciti a stabilire chi vince e chi per perde. Per quanto possibile, dunque, l’offensiva dei mercati deve essere incoraggiata in ogni modo. Anche con la bocciatura, a scatola chiusa, della manovra di bilancio 2019. Ogni punto in più di spread è un giorno in meno di governo giallo-verde.

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