Il governo degli Stati Uniti acquisirà una quota del 9,9 per cento di Intel, società di semiconduttori un tempo importantissima ma oggi in serie difficoltà, attraverso un investimento di 8,9 miliardi di dollari. La cifra equivale ai finanziamenti federali previsti per l’azienda tramite il Chips Act del 2022 – la legge di aiuti pubblici alla manifattura di microchip sul suolo americano elaborata dall’ex-presidente Joe Biden e odiata da Donald Trump (ma non dall’interezza del Partito repubblicano) – e non ancora assegnati.
COSA HA DETTO TRUMP
Trump, dal suo social network Truth, ha definito l’operazione “un grande accordo per l’America e anche un grande accordo per Intel. La produzione di semiconduttori e chip all’avanguardia, che è ciò che fa Intel, è fondamentale per il futuro della nostra nazione”.
PERCHÉ INTEL È COSÌ IMPORTANTE?
Intel è considerata rilevante per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti – al punto da giustificare l’ingresso del governo nell’azionariato, una mossa insolita – perché è una delle poche aziende americane attive sia nella progettazione che nella fabbricazione di semiconduttori. Se dovesse riuscire a rafforzare le sue capacità manifatturiere, quindi, potrebbe aiutare a ridurre la dipendenza americana dai produttori esteri, in particolare dalla compagnia taiwanese Tsmc.
Non si tratta di un obiettivo facile da raggiungere, però: sebbene in passato Intel fosse il peso massimo assoluto nel settore dei microchip, non si è dimostrata in grado né di evolvere le proprie capacità produttive (il divario tecnologico con la già citata Tsmc è notevole) né di cavalcare l’onda dell’intelligenza artificiale, che invece ha fatto la fortuna di altre società (a partire da Nvidia e Amd, entrambe statunitensi).
BIG NEWS: The United States of America now owns 10% of Intel, one of our great American technology companies.
This historic agreement strengthens U.S. leadership in semiconductors, which will both grow our economy and help secure America’s technological edge.
Thanks to Intel… pic.twitter.com/AYMuX14Rgi
— Howard Lutnick (@howardlutnick) August 22, 2025
L’EUROPEIZZAZIONE DEGLI STATI UNITI?
È insolito che il governo degli Stati Uniti diventi azionista di un’azienda privata e quotata. La mossa su Intel, peraltro, è stata preceduta dall’investimento del dipartimento della Difesa in Mp Materials, la società che gestisce l’unica miniera di terre rare della nazione, e dalla garanzie di esercitare poteri speciali (golden share) sulla compagnia siderurgica Us Steel, acquisita dalla giapponese Nippon Steel. Tutto questo sembrerebbe suggerire un allontanamento di Washington dal “classico” modello basato sul libero mercato e un avvicinamento al cosiddetto “capitalismo di stato” europeo.
Nel Vecchio continente, infatti, non è raro che lo stato sia presente direttamente nel capitale delle imprese: basti pensare che, in Italia, lo stato è il maggiore azionista della Borsa di Milano, controllando circa l’8 per cento dell’intera capitalizzazione. Tradizionalmente, negli Stati Uniti il monitoraggio politico sul capitalismo si esprime con modalità “esterne”, come i controlli sulle esportazioni o i vincoli agli investimenti.
COSA CAMBIA PER INTEL
Intel ha fatto sapere che il governo acquisterà le sue azioni a un prezzo di 20,47 dollari ciascuna e che l’operazione è stata approvata dal consiglio di amministrazione. Washington, inoltre, riceverà anche una garanzia quinquennale che le permetterà di acquistare una quota ulteriore del 5 per cento a 20 dollari per azione se Intel dovesse decidere di cedere la sua divisione manifatturiera (in gergo foundry, o fonderia) che si occupa della produzione di microchip per conto di terzi. In sostanza, gli Stati Uniti vogliono evitare la perdita di questa capacità: in effetti, alcuni investitori vorrebbero che la società si distacchi completamente dalla sua divisione manifatturiera – il piano espansivo elaborato dall’ex-amministratore delegato non ha funzionato – per recuperare le perdite, che nel 2024 sono ammontate a 13 miliardi di dollari.
L’attuale amministratore delegato, Lip-Bu Tan, ha spiegato che Intel adotterà un “approccio fondamentalmente diverso” alle sue attività manifatturiere, ma non sembra essere intenzionato a venderle. Nelle scorse settimane Trump ha attaccato Tan, chiedendone le dimissioni, per via dei suoi presunti conflitti di interesse in Cina.
La presenza governativa in Intel, comunque, sarà passiva, nel senso che Washington non avrà né dei seggi nel consiglio di amministrazione né godrà di diritti di governance. Il governo, inoltre, ha accettato di votare a sostegno delle decisioni presentate dal board quando sarà richiesta l’approvazione degli azionisti.
COSA FARÀ SOFTBANK, FORSE
Ritornando alla (sofferente) divisione manifatturiera di Intel, nei giorni scorsi Lip-Bu Tan ha avuto dei colloqui per una possibile cessione con Masayoshi Son, fondatore e consigliere di amministrazione della holding giapponese SoftBank. Non sappiamo se siano state aperte delle trattative vere e proprie, ma SoftBank ha fatto sapere che acquisterà azioni di Intel per 2 miliardi di dollari.
A inizio agosto SoftBank ha accresciuto le sue partecipazioni in Nvidia e Tsmc per migliorare il suo posizionamento nel settore della componentistica per l’intelligenza artificiale. SoftBank partecipa, assieme a OpenAi e a Oracle al progetto “Stargate” per l’investimento di 500 miliardi di dollari in infrastrutture per l’intelligenza artificiale negli Stati Uniti.
Masayoshi Son, inoltre, è molto vicino al presidente Donald Trump. Nei mesi scorsi ha proposto la creazione di un fondo sovrano congiunto tra Stati Uniti e Giappone dedicato ai grandi investimenti infrastrutturali e tecnologici sul territorio americano: sarebbe controllato e gestito dal dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e dal ministero delle Finanze del Giappone, con una dotazione economica iniziale di circa 300 miliardi di dollari.