Skip to content

spid cie

Perché c’è casino sullo Spid

I 40 milioni che l'esecutivo aveva promesso ai gestori per il mantenimento dello Spid, servizio che per le parti private si è rivelato ben poco profittevole, sono rimasti incagliati. Aruba e Infocert hanno iniziato a rivalersi sui propri utenti. Il governo non vuole mantenere un doppione della Cie ma non può nemmeno cestinare il progetto. Finora ha scelto di non scegliere, ma che succederà adesso?

Il prossimo 9 ottobre l’esecutivo incontrerà nuovamente i gestori cui è stato affidato il mantenimento dello Spid, l’identità digitale nata nel 2014 in pieno governo Renzi anche se divenuta effettiva solo nel 2016, per provare a risolvere quel tira e molla tutto economico, che Start Magazine ha più volte raccontato, ormai fulcro della sussistenza del servizio stesso.

Riassumendo, i gestori chiedono soldi lamentando che fossero stati loro promessi lauti guadagni ab origine, mentre Spid si è rivelato un servizio essenzialmente gratuito essendo utilizzato soprattutto nei rapporti tra cittadini e Pa e solo in via residuale tra privati – i soli su cui sarebbe possibile imbastire attività lucrose.

TUTTI I PROBLEMI DI SPID

Il governo Meloni non ha troppa voglia di metterci soldi pubblici, sia perché ormai esiste Cie, la carta d’identità elettronica che ha i medesimi obiettivi e le stesse funzioni, venendo per di più emessa direttamente dall’Interno senza l’intermediazione di soggetti privati accreditati presso l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), sia perché proprio di recente sono emerse alcune magagne legate allo Spid che ne minano l’infallibilità. Per questo, nei fatti, dal 2022 a oggi ogni volta che i gestori di identità digitali hanno bussato alle porte di Palazzo Chigi chiedendo i soldi promessi l’esecutivo ha puntualmente calciato la palla lontano. L’ultima volta il pallone è finito nella casellina del calendario del 9 ottobre, appunto.

TUTTI I PROBLEMI DI CIE

La sensazione è che nessuna delle parti sia soddisfatta di Spid: i gestori privati la intendono solo come un costo, mentre l’esecutivo vorrebbe puntare tutto su Cie, ma sa benissimo che non può nemmeno ribaltare il tavolo cancellando lo Spid e ordinando ai cittadini di correre ad abilitare le propaggini virtuali del documento d’identità: il primo, infatti, ha ormai oltre 40 milioni di account, fioriti per di più in pandemia quando era impossibile recarsi fisicamente agli sportelli, mentre i travagli tecnici della Cie (che per l’autenticazione inizialmente chiedeva di dotarsi di un lettore di tessere nfc) ne hanno frenato la diffusione, ferma a poco più di 7 milioni di utenti.

Esiste un software da scaricare su smartphone per non doversi più munire di un dispositivo che legga la carta d’identità (che resta però il modo di accesso più sicuro), tale App CieID, ma l’esecutivo per qualche strana ragione non la sta affatto pubblicizzando. Ci si chiede poi perché non sia una funzione integrata alla ben più diffusa e famosa AppIo che dovrebbe essere già installata su almeno 40 milioni di device.

TUTTI I PROBLEMI DEL GOVERNO MELONI

L’impressione è che si proceda ancora in modo disorganico con una moltiplicazione di software non comunicanti che portano al solito florilegio di servizi affini su programmi diversi. L’ennesimo ostacolo sulla via della digitalizzazione percorsa già faticosamente da una popolazione, quella italiana, molto anziana e perciò difficile da educare all’uso dei nuovi strumenti.

Come se tutto ciò non bastasse, per essere in regola con il Pnrr e ottenere l’accesso ai fondi bisogna dimostrare alla Ue di aver digitalizzato la Pa italiana e la valutazione si avrà anche sulla percentuale di identità digitali in circolazione rispetto al totale della cittadinanza.

Un ginepraio digitale dai risvolti tutti reali dal quale, apparentemente, sembra difficile uscirne e che l’esecutivo proprio per questo pare essersi messo nell’ordine delle idee di non voler risolvere. Stanchi di attendere due dei provider, Aruba e Infocert, hanno iniziato a farsi pagare il servizio. Il primo chiederà dal secondo anno di attivazione 4,9 euro più Iva l’anno. Infocert richiederà 5,98 euro, Iva inclusa, dal 28 luglio. Poste italiane, che detiene la stragrande maggioranza degli utenti Spid (circa il 70 per cento), ha iniziato dal 2021 a chiedere 12 euro per l’attivazione (inizialmente gratuita anche quella) mentre non addebita, per il momento, alcun costo di gestione per gli anni successivi.

PUO’ LO SPID DIVENTARE A PAGAMENTO?

Lecito domandarsi se uno strumento essenziale come lo Spid, pensato non solo per gli affari tra privati ma anche e soprattutto per dialogare con la Pa, possa prevedere simili balzelli. “La situazione che si sta delineando appare gravemente lesiva dei diritti dei consumatori – ha infatti attaccato il Codacons – che negli ultimi anni sono stati incentivati a creare una identità digitale per accedere ad una moltitudine di servizi offerti dalla pubblica amministrazione e ora, per usufruire di questi stessi servizi, rischiano di ritrovarsi a pagare nuovi costi non preventivati”. L’associazione si dice “pronta ad avviare una valanga di cause risarcitorie contro lo Stato e Agid da parte degli utenti interessati, finalizzate al riconoscimento del rimborso delle spese sostenute a causa dei ritardi della Pa”.

Torna su