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Spid Cie

Il tira e molla (tutto economico) dietro Spid e Cie

I gestori che permettono a Spid di funzionare chiedono soldi ma l'esecutivo, che non vuole raddoppi della spesa avendo anche Cie, prende tempo e tenta la via dell'unificazione. Che succederà? Fatti, numeri e approfondimenti

 

Guardata inizialmente con diffidenza dagli italiani, Spid oggi è uno strumento imprescindibile nella vita di ciascuno di noi: può evitarci lunghe file agli sportelli della PA. permette ai professionisti di fare fattura elettronica ed è strettamente interconnessa a tutti i servizi telematici offerti dallo Stato, che abbiamo (ri)scoperto soprattutto in piena pandemia, quando nessuno aveva troppa voglia di muoversi. C’è però un tema non di poco conto: Spid è un doppione di Cie, il formato digitale ed europeo della carta d’identità, che però sta avendo decisamente meno fortuna, dato che richiede di ricordare Pin e Puk e soprattutto di dotarsi di sistemi per la lettura del tesserino, mentre Spid, non avendo alcun supporto, è immateriale e può comodamente essere associata a una impronta digitale. (leggi anche: Spid, perché l’Italia deve fare piazza pulita delle tecnologie di Cina, Russia e Iran)

SPID O CIE? COSA USANO GLI ITALIANI

Attualmente, sono 33 i milioni di italiani che lo utilizzano per accedere ai servizi di 12mila amministrazioni pubbliche, centrali e locali. Si tratta di un risultato di tutto rispetto, specie se comparato alla platea demografica di riferimento. La carta d’identità nel nuovo formato ha una identica diffusione, avvantaggiata dal fatto che la sostituzione avviene in automatico, alla scadenza del vecchio documento, ma un numero di attivazione di gran lunga inferiore, fermandosi a 22 milioni di Cie realmente usate per dialogare con la Pubblica amministrazione. Tant’è che nel 90% dei casi gli italiani usano lo Spid, dimenticando nel portafogli la Cie, che viene usata semplicemente come documento da esibire durante i controlli.

Detto così, Spid vince e stravince su Cie, ma c’è un problema di non poco conto: il 23 aprile 2023 scadranno le concessioni per Spid. Sì, perché Spid non si regge in piedi da solo, ma per ottenere le credenziali occorre rivolgersi a uno dei gestori di identità digitale abilitati da AgId.  In vista della scadenza primaverile, il 20 febbraio l’Agenzia per l’Italia digitale, com’è noto posta direttamente sotto la Presidenza del consiglio, ha convocato un incontro con i gestori di Spid per affrontare il tema dei rinnovi.

Ma le aziende intendono arrivare all’appuntamento agguerrite, sostenendo di non voler più farsi carico dei costi e chiedendo in merito aiuti all’esecutivo. In caso contrario, potrebbero essere le aziende a sfilarsi dall’accordo e a mandare a carte 48 la delicata partita delle concessioni. In scadenza quelle con Aruba, Infocert, Intesa (gruppo Kyndryl), Lepida, Namirial, Poste Italiane, Register, Sielte, Tim, ecc…

COSA CHIEDONO I GESTORI

Wired, che in merito ha sentito alcuni diretti interessati, riporta che i gestori, riuniti nell’associazione di categoria Assocertificatori (esclusi Lepida, Team System ed Etna), mugugnano soprattutto sul punto della gratuità di Spid per i cittadini: “La spesa di attivazione e gestione è a carico delle società autorizzate a rilasciare le identità digitali, che però lamentano da tempo l’onere e chiedono sostegni per tenere in piedi il sistema. La cifra circolata tra gli addetti ai lavori è di 50 milioni di euro l’anno, per un servizio che affilia 12mila enti pubblici”.

“I gestori – riporta il Fatto – sembrano intenzionati a concedere una ulteriore proroga dietro un compenso che renda il servizio sostenibile anche per loro e possibilmente proveniente da una quota dei fondi del Pnrr”. Le aziende starebbero guardando a quei 600 milioni di euro arrivati dalla Ue per permettere al nostro Paese di digitalizzare il dialogo con la Pubblica amministrazione. Di fatto chi finora ha investito nella Spid lo ha fatto a fondo perduto, per questo adesso chiede allo Stato una cifra tra l’euro e cinquanta e i due euro a utente registrato. Da prendere appunto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

C’è un tema di fondo: quei soldi servono per le riforme, non possono essere destinati alle spese di gestione (per capirci, una cosa è un prestito per acquistare una macchina utile al lavoro, un’altra è un prestito per comprarle la benzina e Bruxelles ha chiarito in tutti i modi che il Next Generation Eu non può essere usato così). Ecco perché l’esecutivo bacchetta i gestori, dicendo loro di non aver saputo ideare un modello di business per Spid che si reggesse senza sovvenzioni.

Del resto il governo ha di fatto dato ai gestori un bacino immenso di potenziali clienti e se è vero che Spid non può essere a pagamento quando si usa con la Pa è altrettanto vero che potrebbe diventare onerosa per l’autenticazione nei servizi coi privati. C’è però un tema: tutti la usano esclusivamente per i rapporti con lo Stato…

COSA PUO’ FARE IL GOVERNO?

Che al governo Meloni Spid non piaccia, sia anzi ritenuta un raddoppio dei costi sostenuti per l’identità digitale è noto dalla fine dello scorso anno. Difficile dunque che l’esecutivo si presenti all’appuntamento desideroso di accogliere le istanze dei gestori. Il problema, però, è che senza gestori Spid di fatto finirebbe chiuso.

Si potrebbe immaginare di affidare temporaneamente a Poste Italiane (controllata dal Tesoro), che già oggi tiene circa l’82% dei profili digitali, la gestione dell’intera banca dati, ma l’Ue non ama molto i monopoli e difficilmente resterebbe a guardare. Il tema, appunto, è prepararsi anche a una exit strategy che sia ordinata e che non comporti un blackout per oltre 33 milioni di italiani.

UNIRE SPID E CIE?

L’unica possibilità per risparmiare sembra quella di procedere con l’unificazione di Spid e Cie. Se ne inizierà a parlare giovedì. Gli esperti (a titolo gratuito) ingaggiati dal governo dovranno escogitare soluzioni, prevedendo tappe intermedie per la migrazione dei dati e forse persino una terza app, anche se sembra la via meno battuta, visto che il tempo è poco e l’esecutivo intende evitare gli inciampi fatti da Conte con Immune, che la destra ai tempi cavalcò in modo propagandistico.

LE LUNGAGGINI DI CIE

Ma anche in questo caso restano non pochi scogli da superare, dato che il rilascio della Cie non è immediato, richiede di andare fisicamente allo sportello dell’anagrafe del proprio Comune e il fascicolo viene poi spedito a Roma, perché di competenza del Ministero dell’Interno.

Una crescita improvvisa delle domande potrebbe rallentare ulteriormente il tutto e trasformare gli uffici ministeriali capitolini nel collo di bottiglia della situazione. Per questo, a prescindere dal piano che si metterà in atto, pare scontato procedere comunque a un rinnovo, occorre capire se di 36 mesi o inferiore. E a quali condizioni.

E se alla luce del sole Agid festeggia, facendo sapere che il nostro Paese, seppur a fatica, ormai è in Rete come chiede l’Ue e che nel 2022 gli accessi tramite Spid hanno superato il miliardo, quasi raddoppiando quelli del 2021, mentre oltre 6 milioni di identità sono state rilasciate nel corso dell’ultimo anno, raggiungendo i 33,5 milioni, è chiaro che internamente c’è piena consapevolezza della portata del problema.

Tanto più che sta finalmente aumentando, con incredibile lentezza, anche il numero delle PA che hanno attivato l’autenticazione ai servizi online tramite Spid, che sale di 3.207 unità rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 12.624, e il numero degli enti privati, che passano da 83 a 151. Che succederà di lì a pochi mesi?

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