La Cina è il paese dominante nel settore della mobilità elettrica: è la prima produttrice al mondo non soltanto di veicoli elettrici, ma anche di batterie, dei loro componenti (anodi e catodi, i due elettrodi) e delle loro materie prime (litio, cobalto, nichel, grafite). Facendo leva sia su questo primato industriale, sia sul fatto che quello cinese è il primo mercato al mondo per numero di automobili elettriche in circolazione, Pechino potrebbe arrivare a controllare l’ennesimo settore critico legato all’elettrificazione dei trasporti: il riciclo delle batterie.
IL VALORE DELLE BATTERIE
La batteria è il componente di maggiore valore di un’auto elettrica, rappresentandone da sola quasi la metà del prezzo finale. Per questo, quando la vita della batteria giunge alla fine, le persone tendono a preferire l’acquisto di un’auto elettrica nuova, anziché sostituire la batteria esausta. Una batteria esausta, però, conserva comunque un grande valore perché contiene al suo interno metalli costosi, come il litio, il cobalto e il nichel. Attraverso il riciclo è possibile recuperare questi materiali, riducendo la necessità di estrarli dalle miniere: si tratta, dunque, di un’attività potenzialmente molto redditizia, oltre che utile a ridurre l’impatto ambientale della transizione ecologica.
Secondo una stima fornita da BMW a Reuters, in media il valore dei minerali critici presenti in una batteria – o meglio: nella “massa nera”, ovvero ciò che resta di una batteria dopo la rimozione di acciaio e plastiche – si aggira sui 1700 dollari.
LA LEGGE CINESE INCORAGGIA IL RICICLO DELLE BATTERIE
Il problema è che, ad eccezione della Cina, negli altri paesi del mondo i veicoli elettrici non sono altrettanto diffusi e dunque non c’è una quantità di batterie esauste sufficiente a far partire un’industria del riciclo su larga scala. In Cina, appunto, la situazione è diversa: nel 2023 c’erano 20,4 milioni di “veicoli a nuove energie” (termine ombrello che racchiude i modelli elettrici, ibridi e a celle a combustibile) nelle strade; nel 2020 erano 4,9 milioni, riporta Semafor.
L’industria cinese del riciclo delle batterie è ulteriormente stimolata dalle regole sul ricambio dei taxi e dei bus elettrici. La legge prevede infatti, per ragioni di sicurezza e di stimolo all’innovazione tecnologica, che i taxi debbano essere sostituiti dopo otto anni dall’entrata in servizio o dopo aver percorso circa 600.000 chilometri; per i bus, invece, si parla di tredici anni e 400.000 chilometri. Considerato che nel 2020 sono entrati in servizio 132.000 taxi elettrici in Cina, nel giro di quattro anni dovranno tutti essere sostituiti e le loro batterie potranno essere destinate agli impianti di riciclo.
Una delle maggiori aziende cinesi attive in questo settore è Green Eco Manufacture, o GEM, che dichiara di processare il 10 per cento di tutte le batterie esauste in Cina. Anche le principali case automobilistiche cinesi, come BYD e Geely, hanno creato delle società sussidiarie specializzate nel riciclo.
LA SITUAZIONE NEGLI STATI UNITI E NELL’UNIONE EUROPEA
L’Unione europea e gli Stati Uniti sono indietro in quanto a produzione di batterie, rispetto alla Cina. Sia Bruxelles che Washington si sono però mosse per stimolare la manifattura di questi dispositivi – e delle altre tecnologie essenziali alla transizione ecologica – attraverso delle leggi apposite: il Net-Zero Industry Act e l’Inflation Reduction Act, rispettivamente.
Le due leggi vogliono anche incoraggiare il riciclo delle batterie. L’Inflation Reduction Act stabilisce che, entro il 2027, l’80 per cento del valore dei minerali critici presenti in questi dispositivi sia stato precedentemente estratto o lavorato negli Stati Uniti oppure in un paese con il quale esiste un trattato di libero scambio (il Messico, il Canada e la Corea del sud, per esempio). La più grande azienda riciclatrice di batterie in tutto il Nordamerica è Redwood Materials: ha sede nel Nevada ed è stata creata da un co-fondatore di Tesla, JB Straubel.
Nel Critical Raw Materials Act, il complemento al Net-Zero Industry Act dedicato ai minerali critici, la Commissione europea ha fissato un obiettivo minimo interno di riciclo: entro il 2030, almeno il 15 per cento del consumo annuale di metalli critici a livello comunitario dovrà provenire da attività di recupero effettuate da impianti dentro il territorio dell’Unione.