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Microchip e non solo: cosa rischia il mondo da una guerra a Taiwan

Le elezioni presidenziali a Taiwan di sabato 13 gennaio sono seguite con grande attenzione dalla comunità internazionale per via delle tensioni con la Cina. La guerra è improbabile, ma avrebbe conseguenze devastanti sull'economia globale. Ecco perché.

 

Sabato 13 gennaio si terranno le elezioni presidenziali a Taiwan, l’isola di fatto indipendente ma rivendicata dalla Cina come parte del proprio territorio, pur non avendola mai governata. La campagna elettorale – il candidato favorito è Lai Ching-te, l’attuale vicepresidente – sta venendo seguita con grande attenzione dalla stampa internazionale, e anche con una certa preoccupazione, perché Pechino ripete da tempo di voler procedere alla riunificazione, anche per via armata, con Taipei.

LO STATUS QUO È DAVVERO A RISCHIO?

Taiwan, peraltro, è sostenuta politicamente e difensivamente dagli Stati Uniti: per questo, un’eventuale invasione cinese dell’isola potrebbe degenerare in una guerra molto vasta. Uno scenario del genere, comunque, è piuttosto remoto e l’eventuale vittoria di Lai alle elezioni – che pure i cinesi considerano un separatista ostile ai loro interessi, vista la sua enfasi sul potenziamento militare – non dovrebbe sconvolgere lo status quo regionale e globale.

“Se Lai Ching-te vincesse le elezioni della prossima settimana, Washington renderà molto chiaro a Taipei che ha bisogno di mantenere buone comunicazioni con Pechino”, ha spiegato a RSI Kuo Yu-jen dell’Institute for National Policy Research di Taipei.

“I due principali partiti taiwanesi, il Partito nazionalista e il Partito progressista democratico, dicono entrambi di sostenere il mantenimento dello status quo: quindi no all’unificazione con Pechino ma niente dichiarazione di indipendenza formale. Le loro visioni su come tutelare questo status quo, però, sono molto diverse. Il Partito progressista di Lai vuole che la Cina accetti l’esistenza di due entità non interdipendenti tra loro”, ha detto a Startmag Lorenzo Lamperti, collaboratore de La Stampa e unico giornalista italiano di base a Taipei.

COME VA IL MERCATO AZIONARIO DI TAIWAN

Nonostante le tensioni con la Cina, particolarmente forti nel 2023 tra sconfinamenti di navi da guerra, jet militari e palloni aerostatici, l’anno scorso il mercato azionario taiwanese è cresciuto del 27 per cento, registrando la sua performance migliore dal 2009 e attirando investimenti esteri per 3,4 miliardi di dollari.

Il successo economico di Taiwan è legato principalmente ai microchip, componenti elettronici di piccole dimensioni presenti in tantissimi oggetti diversi, dagli smartphone agli aerei da caccia. A Taiwan ha sede la più grande e sofisticata azienda produttrice di semiconduttori al mondo – nonché la società quotata asiatica di maggior valore -, TSMC, le cui azioni sono cresciute del 32 per cento nel 2023.

IL PESO DEI MICROCHIP

I semiconduttori più avanzati al mondo, dalle dimensioni ridottissime (TSMC sta lavorando a quelli da due nanometri), si fabbricano a Taiwan. Il paese produce più del 60 per cento dei chip mondiali e oltre il 90 di quelli avanzati, ha scritto l’Economist; i chip valgono il 15 per cento del suo prodotto interno lordo.

Nonostante la recente ondata di investimenti all’estero – in particolare negli Stati Uniti, in Giappone e in Germania -, la base produttiva e innovativa di TSMC rimane Taiwan. L’Economist spiega che le fabbriche dell’azienda, “basandosi sull’efficienza e sulla manodopera altamente qualificata e a lungo termine, possono produrre chip più rapidamente e con più accuratezza di qualsiasi altra concorrente”.

UNA GUERRA A TAIWAN DEVASTEREBBE L’ECONOMIA MONDIALE

Pur nell’improbabilità di una guerra a Taiwan dopo le elezioni, Bloomberg ha comunque provato a calcolare l’impatto del conflitto sull’economia mondiale, stimando un costo di 10.000 miliardi di dollari, pari al 10 per cento del PIL globale e parecchio più alto di quelli della guerra in Ucraina, della pandemia di coronavirus e della crisi finanziaria del 2007-2008.

Un impatto economico così elevato è dovuto principalmente alla centralità di Taiwan nell’industria dei microchip. La capitalizzazione di mercato dei venti clienti principali di TSMC si aggira sui 7400 miliardi di dollari; 6000 miliardi è invece il valore aggiunto creato dall’utilizzo diretto dei chip taiwanesi.

In aggiunta alla componentistica elettronica, bisogna anche considerare che lo stretto di Taiwan – che si farebbe inaccessibile, in caso di conflitto – è uno dei più importanti punti di passaggio del commercio marittimo internazionale: nel 2022 le sue acque sono state attraversate dall’88 per cento delle principali navi portacontainer.

Se la guerra dovesse scoppiare sul serio, scrive Bloomberg, “l’economia di Taiwan verrebbe decimata”: l’impatto sul PIL sarebbe del 40 per cento. Ma ne soffrirebbe anche la Cina, prima partner commerciale dell’isola e dipendente dall’estero per i semiconduttori avanzati: -16,7 per cento al PIL. Per gli Stati Uniti, invece, secondi soci commerciali, l’impatto sul PIL sarebbe del 6,7 per cento.

Tra le altre economie più danneggiate ci sono quelle della Corea del sud e del Giappone. Il PIL globale, secondo Bloomberg, si contrarrebbe del 10,2 per cento.

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