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Perché la Crimea è strategica per Russia, Ucraina e Europa

L'analisi di Luca Longo

Una storia travagliata quella della Crimea: la penisola collegata via terraferma all’Ucraina, ma separata dalla Russia continentale solo dallo stretto di Kerch: 4 km di acqua che dividono – ma solo formalmente – il Mar d’Azov dal Mar Nero.

La Crimea è per la sua collocazione geografica un ponte fra due culture ma la storia dimostra che è destinata a sopravvivere alle stesse culture che collega. Romani e Musulmani, Europa coloniale e Impero Ottomano, Europa dei nazionalismi e Russia zarista, Nazifascisti e Unione Sovietica, ed ora una Ucraina sempre più vicina alla Nato e la Russia si sono fronteggiate lungo quel ponte naturale.

Sia in tempo di pace che in tempo di guerra, la costruzione di un collegamento stabile in quell’area è sempre stata vista come strategica per esigenze alternativamente commerciali o militari.

Già nel 1783 il principe Grigorij Aleksandrovic Potëmkin (esatto: proprio quello cui è stata intitolata la corazzata simbolo della Rivoluzione d’Ottobre), su mandato di Caterina la Grande conquistò la Crimea, fece costruire Sebastopoli e pianificò il primo collegamento stradale da San Pietroburgo all’Impero Ottomano.

Un secolo dopo, nel 1870, il primo cambio di direzione di marcia: il governo coloniale britannico progettò un ponte ferroviario fra la Crimea e l’Asia. Un ponte che permettesse di collegare Londra alle colonie indiane con una linea ferroviaria continua oltre che con la linea telegrafica inaugurata pochi anni prima.

All’inizio del ventesimo secolo, lo Zar Nicola II ebbe la stessa idea, ma con l’esigenza diametralmente opposta di collegare la Santa Madre Russia ai territori dell’Europa orientale.

Nel 1942 altro ribaltamento: Hitler incaricò Albert Speer “l’Architetto del Reich” di costruire uno spettacolare ponte per favorire l’inarrestabile invasione nazista dei territori petroliferi del Caucaso settentrionale. L’ordine era di ultimare un ponte combinato ferroviario e stradale entro sei mesi.

Ma la storia punisce chi è troppo ambizioso: fra gennaio e ottobre 1943 un ponte di corde con una capacità di 1000 tonnellate al giorno realizzato frettolosamente dai nazisti servì non per l’inarrestabile avanzata, ma per la fuga disordinata della Armata Caucaso e del Gruppo di Armate “A” della Wermacht.

Le prime parti del superbo ponte in muratura, ancora in costruzione, furono fatte saltare dall’Armata Rossa, che aveva definitivamente arrestato le orde nere sulla linea Leningrado, Mosca, Stalingrado e non si sarebbe fermata prima di Berlino.

Altro ribaltamento e, a metà del ’44, le truppe sovietiche sfruttarono il materiale da costruzione abbandonato dagli ex inarrestabili nazisti per realizzare un ponte ferroviario temporaneo di 4,5 km – un po’ più a nord, nel punto dove ora si trova l’attraversamento dei traghetti – per trasportare truppe e rifornimenti destinati alla liberazione dell’Europa sudorientale. Sei mesi dopo il ponte provvisorio, esaurita la sua funzione, fu abbattuto dal ghiaccio trasportato dalle correnti.

Negli anni ’60, il governo sovietico diede vita al Progetto “Unità idroelettrica di Kerch”: una serie di ponti e di dighe progettate con il duplice obiettivo di collegare la Crimea all’Unione Sovietica continentale e di captare l’energia prodotta dalle correnti marine.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il progetto del ponte fu accantonato per tornare ad affiorare e scomparire più volte nelle intricate vicissitudini diplomatiche fra Ucraina e Russia.

Col referendum sull’autodeterminazione del 16 marzo 2014 – dove il 97,3% dei cittadini della Crimea votò per aderire alla federazione Russa – la costruzione del ponte tornò ad essere un obiettivo strategico sotto la responsabilità di un solo governo. La compagnia Stroygazmontazh – incaricata di realizzare l’opera – ha cominciato la costruzione del ponte stradale nel maggio 2015 per concluderla con sei mesi di anticipo in soli tre anni.

A testimonianza del fatto che si tratti di un luogo di importanza strategica, durante la pulizia del fondale, nell’area sono stati recuperati i resti di oltre 200 bombe, di aerei Ilyushin Il-2 e Curtiss P-40 Kittyhawk e di numerosi residuati bellici hitleriani.

Da notare che, a causa delle sanzioni contro la Russia, nessuna grande compagnia di assicurazioni aveva potuto coprire i rischi di un’opera costata 230 miliardi di rubli (circa 3 miliardi di euro) se qualcosa fosse andato storto. Per questo Arkady Rotenberg – il proprietario di Stroygazmontazh – giura di aver avuto la pelle d’oca per tutta la durata della costruzione.

Il 15 maggio 2018 il presidente della Federazione Russa ha inaugurato il ponte più lungo d’Europa: quattro corsie in grado di far transitare 40.000 veicoli al giorno senza pedaggi per 18,1 km (per confronto, il ponte di Messina – eternamente in fase di progetto – dovrebbe essere lungo sui 3,3 km). Accanto al ponte stradale, un doppio binario ferroviario dovrebbe essere ultimato entro i primi mesi del 2019.

Significativo che – invece dell’usuale corteo inaugurale di limousine nere – Putin alla guida di un grosso camion Kamaz da costruzione abbia guidato da Taman a Kerch una carovana di pesanti mezzi da cantiere arancioni con a bordo gli operai che hanno realizzato l’opera. Non solo un riconoscimento ai lavoratori ma anche un chiaro avvertimento che quel ponte è già in grado di trasportare rapidamente mezzi pesanti da un punto all’altro della Federazione Russa.

Ora la Russia ha un collegamento terrestre continuo con Sebastopoli da cui partono le navi che raggiungono Tartus in territorio siriano. Una base navale di fondamentale importanza per consentire a Mosca di proseguire la guerra contro i terroristi dell’ISIS.

Parlando di collegamenti, ricordiamo che la crisi ucraina e le sanzioni che sono state imposte dall’Occidente alla Russia hanno fatto saltare il progetto del gasdotto South Stream, ora ridefinito Turkish Stream, dove erano stati depositati due miliardi di euro di commesse dell’Agip. Se andrà in porto il progetto TAP, il Turkish stream insieme al Trans Anatolian Gas Pipeline porteranno metano – via TAP – fino alla Puglia e a casa nostra.

Tornando ai giorni nostri, Il ponte di Kerch ha recentemente dimostrato non solo la sua efficacia nel collegamento terrestre Est Ovest, ma anche quello di barriera fra il Mar d’Azov e il Mar Nero.

Lo abbiamo visto col blitz punitivo della marina russa, che il 25 novembre ha catturato tre navi da guerra ucraine – apparentemente in risposta alle provocazioni della marina ucraina verso pescherecci russi al lavoro nel Mar d’Azov. Quando Poroshenko ha ordinato alla marina ucraina di inviare altre navi militari attraverso lo stretto, ai russi è stato sufficiente mettere di traverso, nel vano largo 227 metri e alto 35 metri al centro del ponte, una nave portacontainer vuota “casualmente” pronta nei paraggi per tagliare fuori i bellicosi ucraini.

Il presidente Poroshenko, in vista delle elezioni previste a fine marzo 2019, tenta di avere una riconferma ma, secondo i sondaggi, si trova solo al quinto posto nella classifica dei candidati alla presidenza. Per questo ora – come molti leader prima di lui – tenta la carta della mobilitazione dei suoi connazionali su un tema di sicurezza e di minaccia dall’esterno. È chiaro che, in pieno calo di popolarità, alla guida di una nazione altamente indebitata che ha già chiesto prestiti alla UE ed al Fondo Monetario Internazionale, Poroshenko voglia fare vedere alla Nato che lui rappresenta una pedina strategica per l’Alleanza Atlantica e che l’occidente deve continuare a puntare su di lui.

Il generale Giuseppe Morabito, docente presso il Nato  Defense College Foundation, ritiene che, dopo alcuni giorni di «dichiarazioni bellicose anche ad uso interno (vedi le citate elezioni di marzo), l’Ucraina passi nuovamente al dialogo diplomatico in quanto il paese dipende quasi interamente dalle forniture di gas russo e “mezzo giro di manovella” da parte di Putin in questo inverno equivarrebbe a “tanto freddo” per i pur “focosi” nazionalisti di Kiev».

A buon intenditor…

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