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Greta Thunberg

Chi gasa Greta?

Fatti, commenti, ipotesi e commenti su Greta. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

Come ha rivelato William Engdhal, analista geopolitico americano, gli uomini chiave che hanno tessuto la rete mondiale per sostenere la rivoluzione verde come nuova fonte di profitti speculativi sono stati Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra e capo del Financial stability board della Banca dei regolamenti internazionali, e Al Gore, ex vicepresidente Usa, ambientalista da sempre, presidente del gruppo Generation Investment, specialista in investimenti a lungo termine per la sostenibilità ambientale. Se l’inglese Carney, forte dell’incarico alla Bri di Zurigo, è stato lo stratega finanziario, Al Gore lo è stato per la parte culturale e mediatica, soprattutto per l’affermarsi di Greta come icona mondiale.

Il loro legame si deve a una Ong svedese, «We don’t have time» (Non abbiamo più tempo), fondata da Ingmar Rentzhog, esperto di campagne pubblicitarie. È stato Rentzhog a fotografare per la prima volta Greta seduta davanti al parlamento svedese, con accanto il famoso cartello sul suo sciopero scolastico per il clima. Foto rilanciata all’istante da Rentzhog sui social media e capace di raccogliere più di 20 mila like in 24 ore. L’inizio di una valanga di consensi a livello mondiale: da allora «we don’t have time» è diventato il motto che Greta ha ripetuto come un disco in tutti i suoi interventi, fino a dire davanti all’Onu che abbiamo soltanto otto anni per salvare il pianeta dalla catastrofe climatica. Una bufala colossale (basti pensare che l’Ue sposta al 2050 le emissioni zero), ma presa dai media come oro colato.

Come è stato possibile? Semplice, sostiene Engdhal: chi ha lanciato Greta, vale a dire Rentzhog, è un uomo di Al Gore, addestrato a Denver nel 2017 e a Berlino nel 2018, fino a diventare membro della Organizzazione per la realtà climatica, fondata da Gore, nonché suo uomo di punta per la politica climatica in Europa. Non solo. Il Progetto per la realtà climatica di Gore è partner della «We don’t have time», proprio la Ong che ha lanciato Greta. Nel 2018 questa Ong, diventata start-up, ha raccolto 13 milioni di corone (1,2 milioni di euro) dagli investitori. E nel febbraio scorso il settimanale tedesco Der Spiegel ha accusato Greta, presente nel comitato consultivo di una fondazione affiliata alla start-up, di essere «una marionetta in mano a lucrosi burattinai». Per tutta risposta, Greta si è dimessa, dicendo di non avere mai preso un soldo e troncando i rapporti con la Ong. Ma ormai, per i suoi promotori, il più era fatto: come icona mondiale, Greta ha milioni di fans, pronti a scendere in piazza con lei per la rivoluzione verde.

Una rivoluzione, denuncia Engdhal, promossa dalle grandi banche d’affari con finalità speculative, poi fatta propria dall’Onu con l’Agenda 2030, vocata all’economia sostenibile. Infine sposata anche dall’Unione europea, con il primo solenne discorso della Von der Leyen davanti al parlamento Ue, in cui ha promesso 260 miliardi di euro di investimenti l’anno per arrivare a emissioni zero di CO2 entro il 2050. Ovviamente, con green bond a iosa, nuove tasse, e tagliando di molto gli investimenti europei di vecchio stampo, come la coesione e l’agricoltura, gli unici su cui ha sempre potuto contare l’Italia.

(estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi; qui la versione integrale)

 

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