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Leonardo-Finmeccanica, Mbda, Fincantieri. Ecco chi e perché subirà i tagli alla Difesa

Leonardo (ex Finmeccanica), Mbda, Fincantieri ed Elettronica dovranno fare i conti con la cancellazione e con lo slittamento di programmi fondamentali nel settore della Difesa. Il commento dell'avvocato Aurelio Giansiracusa, esperto di questioni militari.

Seconda parte dell’intervento; la prima parte si può leggere qui

Ora, tornando al Documento pluriennale programmatico (Dpp), si prevede (o, meglio, prevedeva) di allocare 2,396 miliardi di euro per l’Investimento nel bilancio della Difesa del 2019.

Nell’analisi delle spese per l’investimento il Dpp ricorda che, al fine di assicurare maggiori investimenti nel campo della difesa l’art.1 co. 140 della legge di bilancio 2017 ha previsto l’istituzione di uno specifico fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, finalizzato al “finanziamento degli investimenti e allo sviluppo infrastrutturale del Paese” in settori di spesa specificamente individuati tra i quali rientra anche il settore della Difesa.

In questo fondo, conosciuto nel settore come “Fondone”, alla Difesa sono state assegnate risorse pari a 12,7 miliardi, comprensivi di 2,8 miliardi destinati al finanziamento delle imprese a bilancio MISE di interesse della Difesa. In apparenza sembrerebbe la panacea agli atavici problemi di sotto finanziamento patiti dalla Difesa italiana, ma è, appunto, solo apparenza perché l’allocazione delle risorse negli anni è notevolmente sbilanciata nel lungo periodo piuttosto che nel breve-medio termine.

Al riguardo, è lo stesso D.P.P. ad osservare che circa l’80% della totalità degli stanziamenti è concentrata dal 2027 in poi, il che rende praticamente impossibile far partire oggi tutta una serie di programmi che, invece, sono prioritari e che non sono più dilazionabili per la conclamata obsolescenza di sistemi d’arma e tecnologici in servizio presso le Forze Armate, e senza dimenticare che per il 2020 la voce investimenti del Bilancio ordinario sarà pari a 2,265,4 miliardi, circa il 130% in meno rispetto alla stessa voce del bilancio consolidato 2017.

A tale quadro più scuro che chiaro si aggiungono gli annunciatissimi tagli, pari a 372 milioni di euro di cui 254 milioni si abbatteranno sul bilancio del MinDife e 118 sul bilancio MiSE nella parte destinata alla Difesa. Qui i dolori saranno forti se non fortissimi perché in parte saranno tagli veri e propri e solo in parte saranno frutto della cosiddetta flessibilità orizzontale che consente di recuperare i programmi spostandoli temporalmente negli esercizi successivi al 2019 (sempre che in quelle sedi trovino copertura…) e il bilancio ordinario vedrà un taglio secco di 60 milioni con altri 25 milioni tagliati a seguito della riduzione del “Fondone” con cancellazione tout court di programmi da far partire, mentre 170 milioni, ricorrendo alla predetta flessibilità orizzontale, andranno a colpire gli investimenti già in atto con ovvie conseguenze sulle tempistiche dei programmi (NH90, missile Teseo EVO, missile CAMM ER, missili ASTER 30 Block 1 NT, programma Ariete AMV, nuovo lotto di IFV Freccia 2, Centauro 2, Lince 2, Tornado MLU etc.), che passeranno in “riserva di programmazione” con diversi gradi di priorità, in attesa che possano trovare negli esercizi futuri l’adeguata copertura.

Ma la situazione diverrà ancora più pesante con i 118 milioni di tagli del MiSE perché questi, al momento, saranno “gestiti” con la flessibilità orizzontale, quindi, spostandoli nel tempo e qui si parla di 40 milioni del programma FREMM, 38 milioni del programma Eurofighter ed altri 40 milioni relativi alla legge 808 che finanzia la ricerca e lo sviluppo per l’accrescimento di competitività delle industrie operanti nel settore aeronautico.

Tutto questo si sottolinea al netto della “minacciata” rimodulazione del programma F-35, rimodulazione peraltro resa problematica dalla natura della fornitura, dagli accordi inter governativi in essere, dalla nostra partecipazione industriale alla fornitura di set alari e al montaggio di esemplari destinati ai Paesi Bassi (si comincia a discutere della commessa belga per 34 esemplari) oltre che alla manutenzione non solo dei velivoli destinati alla Aeronautica ed alla Marina di casa nostra.

In conclusione, a fronte di dichiarazioni roboanti a favore del comparto industriale nazionale espresse dal titolare del dicastero della Difesa, peraltro, evidentemente smentite dai fatti, si è costretti ad assistere ad un pesante ridimensionamento del comparto militare e del settore industriale che, si ricorda, porta soldi all’Erario nazionale e, quindi, incrementa il PIL, grazie alle commesse estere.

Tutto ciò non potrà non ripercuotersi sull’efficienza dello strumento militare italiano che, essendo impossibilitato a far partire i necessari programmi di investimento, non sarà in grado di assicurare per diversi anni determinate funzioni o sarà costretto ad assicurarle con capacità degradate per l’obsolescenza dei materiali in uso (ad esempio la difesa antiaerea dell’AM e dell’EI dovrà “tirare la cinghia” con gli Aspide/Spada-Skyguard ormai sul viale del tramonto tecnico-operativo, missili progettati quaranta anni fa ed entrati in servizio con l’Aeronautica nei primissimi anni ottanta..).

Evidentemente, il raggiungimento della fatidica soglia del 2% della spesa militare rispetto al PIL, impegno preso in sede del vertice NATO del Galles del 2014, ribadito ad esito del vertice di Varsavia del 2016, rimane e rimarrà una chimera in mancanza di provvedimenti atti ad invertire l’attuale desolante situazione.

A questo bisognerà aggiungere la concreta crisi industriale che si verrà a determinare per mancanza di commesse; la crisi è già evidente per la Piaggio Aerospace a causa della mancata fornitura all’AM di 10 sistemi con 20 droni P2HH HammerHead, versione ampiamente rivista e profondamente corretta del P1HH destinato agli Emirati Arabi Uniti (il cui fondo sovrano, azionista di maggioranza della società ligure, non ha ricapitalizzato il capitale sociale portandola sull’orlo del fallimento), con il programma fermo nelle pastoie parlamentari, con gravi ripercussioni occupazionali, circa 1.600 posti di lavoro a rischio, e con l’impossibilità per il sistema Paese di dotarsi di una strategica capacità nazionale nel settore vitale della Intelligence, Sorveglianza e Ricognizione (ISR).

Ma, ovviamente, è un discorso che si rifletterà su altre realtà industriali come Leonardo, MBDA, Fincantieri, Elettronica che dovranno fare i conti con la cancellazione e con lo slittamento di programmi fondamentali, essendo costrette ad aumentare la quota di ricavi dal mercato estero per fronteggiare la crisi del mercato interno, export che abbisogna di un chiaro ed inequivocabile sostegno governativo per contrastare una concorrenza sempre più feroce.

Numeri, maledetti numeri.

(2.fine; la prima parte si può leggere qui)

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