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Web Tax: firmato primo accordo internazionale

Web Tax: 60 Paesi hanno firmato a Parigi una convenzione multilaterale mirante a prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili   Risolvere, una volta per tutte, la questione Fisco delle grandi multinazionali. É questo l’obiettivo dell’introduzione di una Web Tax che possa costringere i colossi di internet a pagare le tasse nel…

Web Tax: 60 Paesi hanno firmato a Parigi una convenzione multilaterale mirante a prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili

 

Risolvere, una volta per tutte, la questione Fisco delle grandi multinazionali. É questo l’obiettivo dell’introduzione di una Web Tax che possa costringere i colossi di internet a pagare le tasse nel Paese in cui operano e non in altri, sfruttando magari i vantaggi del tax ruling.

Una norma definita in materia ancora non c’è, ma nelle scorse ore la lotta contro l’evasione fiscale delle multinazionali ha superato una nuova tappa: oltre 60 paesi (Italia compresa) hanno firmato a Parigi una convenzione multilaterale mirante a prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (Base Erosion and Profit Shifting, BEPS). Tra i grandi assenti: gli Usa di Donald Trump, patria delle più grandi aziende multinazionali. Ma andiamo pre gradi.

Il fenomeno del tax ruling e l’evasione fiscale

Quello che l’introduzione di una web tax dovrebbe evitare è il fenomeno del tax ruling, un meccanismo in base al quale un paese spiega ad una multinazionale quale trattamento fiscale avrà (o le sarà riservato) in anticipo, delineando una sorta di accordo.

Secondo Margreth Vestager, commissaria Antitrust Ue, che nei mesi scorsi, per questo fenomeno ha imposto una multa record da 13 miliardi di euro ad Apple, questa pratica sarebbe da considerare un aiuto di Stato indiretto. Vietato dalle leggi sulla concorrenza comunitarie.

La web tax

Una web tax internazionale dovrebbe introdurre a livello comunitario delle nuove linee guida a livello fiscale che obbligherebbero tutti gli operatori del mercato digitale ad aprire una partita Iva nel Paese in cui fatturano.

Un cambiamento importante, soprattutto, se si pensa che la normativa vigente prevede che  queste società possano avere una sola sede legale in Europa. Una norma che ha favorito Tax ruling, il meccanismo in base al quale un paese spiega ad una multinazionale quale trattamento fiscale avrà (o le sarà riservato) in anticipo, delineando una sorta di accordo. L’importo della tassazione che dovrà essere applicato è al momento sconosciuto.

L’accordo internazionale

Se è vero che il mondo, e l’Europa in particolare, non hanno ancora una Web Tax e che delle linee guida in materia da parte dell’OCSE potrebbero arrivare, secondo accordi del G7, già a marzo 2018, è vero anche che un passo per la lotta all’evasione fiscale è stato fatto nelle scorse ore da ben 60 Paesi, tra cui l’Italia.

web taxIn pratica, i diversi Paesi hanno firmato una convenzione multilaterale con l’obiettivo di prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili. Si tratta del progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), lanciato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e dal G20.

Dunque, il trattato vorrebbe impedire alle multinazionali di trasferire i loro profitti da un paese all’altro per aggirare il fisco. I gruppi di società non potranno più sfruttare le disparità tra due o più giurisdizioni fiscali per ridurre la propria responsabilità fiscale complessiva.

Verso la fine del 2017 il Consiglio federale avvierà una procedura di consultazione relativa alla Convenzione BEPS. Prima di entrare in vigore, le norme OCSE saranno sottoposte alle ordinarie procedure di approvazione.

Trump grande assente

A non firmare sono stati gli Stati Uniti di Donald Trump, come avevano annunciato già alla vigilia dell’incontro. Una decisione, però, che sembra strana alla luce di quanto avvenuto al G7 tenutosi in Italia.

Di Web tax, inTrumpfatti, si era discusso anche durante il tavolo bilaterale tra il ministro italiano e il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin. In questa occasione, l’America ha aperto, per la prima volta alla possibilità di tassazione.
A favore di una web tax sono anche tutti i ministri partecipanti al G7, che hanno dato mandato all’Ocse per formulare delle proposte concrete già a marzo del prossimo anno.

Italia approva una web tax, tutta sua

L’Italia, intanto, ha bruciato i tempi. Proprio nei gironi scorsi, infatti, il Governo ha approvato un emendamento alla manovrina che prevede l’istituzione di un percorso ad hoc per le multinazionali che operano nel digitale e che vogliono mettersi in regola con il fisco italiano, senza dover ricorrere per forza ad

Agenzia delle Entrate, tribunali e Guardia di Finanza, come già successo con Apple e Google. Si tratta di una web tax leggera, provvisoria. L’introduzione della norma, secondo Francesco Boccia, deputato del Pd e presidente della commissione Bilancio, potrebbe garantire allo Stato un miliardo di euro nel 2017.

web taxQuando arriverà una norma internazionale sulla questione, l’Italia potrebbe guadagnare molto di più. Secondo i calcoli realizzati dalla dalle principali associazioni dei consumatori. Con una aliquota pari al 20%, infatti, lo Stato italiano incasserebbe circa 3 miliardi di euro (cifra che arriva a 50-70 miliardi se si pensa all’Europa). Il nuovo gettito potrebbe abbassare la pressione fiscale delle imprese italiane e introdurre nuove misure di assistenza per le fasce più svantaggiate della popolazione.

Andare avanti da soli, è bene, ma è molto meglio se la questione la si affronti in maniera organica e a livello internazionale. E di questo ne è convinto, tra gli altri, l’ex premier Matteo Renzi. “Sono contrario a una web tax solo italiana perché alla fine ci fregano e se ne vanno da un’altra parte”, ha affermato Matteo Renzi in un intervista Tv, convinto che una decisione unilaterale dell’Italia possa avere ricadute poco piacevoli. “Sono d’accordo con Orlando, ci vuole un’unione fiscale europea. Dunque o si fa a livello europeo o saremmo penalizzati come Paese, non solo a livello fiscale ma anche occupazionale”.

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