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Startup italiane, poco digitali e anonime per il mercato

Di 5.143 startup iscritte al registro, 2.998 ha dichiarato di avere un sito internet: più della metà risulta anonima per il mercato e per niente digitale Più della metà delle startup italiane (il 58%) non ha un sito. È questo il dato più eclatante che emerge dal Report Startup SEO 2016 R, elaborato da Instilla,…

Di 5.143 startup iscritte al registro, 2.998 ha dichiarato di avere un sito internet: più della metà risulta anonima per il mercato e per niente digitale

Più della metà delle startup italiane (il 58%) non ha un sito. È questo il dato più eclatante che emerge dal Report Startup SEO 2016 R, elaborato da Instilla, startup innovativa impegnata a ottimizzare i processi del marketing digitale.

Dall’indagine, realizzata in collaborazione con il venture accelerator Nuvolab, emerge che tra 5.143 startup iscritte al registro, di quasi 2mila non si sa nulla. Solo sei startup su dieci hanno dichiarato di avere un sito e di questi siti tre su dieci non funzionano (non sono accessibili, hanno un dominio scaduto o in vendita, hanno un sito web in costruzione) e solo uno su due è ottimizzato per il mobile. In pratica, solo il 15% raggiunge e performance minime degli standard di Google. E la brutta notizia è che la percentuale di siti web non funzionanti cresce con il passare degli anni: dal 14,3% del 2009 al 30,7% del 2015.

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“Appare chiaro anche da questa analisi che puntare sulla quantità non è necessariamente efficace e non contribuisce a costruire un ecosistema sano. È perfettamente inutile propagandare la crescita quantitativa di startup iscritte al registro definito dall’apparato governativo centrale se poi queste startup non sono in grado, o lo sono solo in minima parte, di produrre valore in termini industriali, in termini di creazione di posti di lavoro, in termini di slancio innovativo per il tessuto economico del Paese. Non è la quantità ma la qualità che fa la differenza e la ricerca sui siti web delle startup lo dimostra: qualunque sia il settore di innovazione, una qualsiasi azienda di nuova fondazione non può permettersi di avere un sito web poco efficiente, poco funzionale, difficile da trovare, mono-lingua, o perfino non funzionante.”, scrive Emil Abirascid, direttore di StartupBusiness, nella prefazione al report

Notizie negative anche per il Google Mobile Friendly Test, il test per verificare se Google riconosce il sito web come responsive: solo il 68,1% dei siti web funzionanti (ovvero il 49.2% del totale dei siti web dichiarati) supera il Google Mobile Friendly Test. E come è facile immaginare, anche la velocità del caricamento dei siti sul mobile lascia a desiderare, come rivelato dal Google Mobile Page Speed Test: dei siti web dichiarati dalle startup che hanno passato il test di responsiveness solo il 31,2% ottiene un punteggio sufficiente per la velocità, ovvero il 15,3% delle dichiarate.

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Insomma, le startup innovative iscritte al registro non sono digitali. “Un’azienda, soprattutto se ritenuta innovativa e aderente alle indicazioni del decreto non può non avere un sito web che non è funzionante perché ciò indica una mentalità inefficiente, poca attenzione verso il proprio business, inconsistenza del progetto. Se i siti web delle startup del registro sono non funzionanti o non appropriati nella misura in cui rileva la ricerca di Instilla è ulteriore cartina tornasole della inconsistenza di tale registro, che evidentemente ospita nelle sue file tante aziende che di innovativo hanno ben poco, quando invece una politica seria a sostegno delle startup innovative dovrebbe lavorare per sostenere quelle, anche se poche, che mostrano potenzialità di crescita, impegno e volontà di emergere. Presentarsi con un sito che non funziona significa non avere né il desiderio né il bisogno di sviluppare il proprio business e significa essere quindi anonimi e insignificanti per il mercato: quello degli investitori da un lato e quello dei consumatori dall’altro”, scrive Emil Abirascid.

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