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Spesa Pubblica, tra necessità di risparmio e bisogno di ammodernamento

Negli ultimi anni la spesa pubblica degli Stati è al centro del dibattito europeo. Tra l’obbligo di far fronte al patto di crescita e stabilità e la necessità di potenziare le infrastrutture pubbliche All’inizio del terzo millennio, l’analisi economica delle politiche pubbliche è al centro del dibattito europeo. Da un lato, il dibattito concerne la…

Negli ultimi anni la spesa pubblica degli Stati è al centro del dibattito europeo. Tra l’obbligo di far fronte al patto di crescita e stabilità e la necessità di potenziare le infrastrutture pubbliche

All’inizio del terzo millennio, l’analisi economica delle politiche pubbliche è al centro del dibattito europeo. Da un lato, il dibattito concerne la coerenza dei parametri di finanza pubblica con quelli previsti dal “patto di crescita e stabilità” per i Paesi dell’unione monetaria (un indebitamento netto della Pa, non superiore al 3% del prodotto interno lordo, Pil ed uno stock di debito pubblico non superiore al 60% del Pil): la lente è puntata sulla spesa di parte corrente e sullo stock di debito. Da un altro, il dibattito riguarda l’analisi economica delle infrastrutture e del loro potenziamento in quanto temi che meglio si prestano ad essere ben definiti e corredati dei dati puntuali necessari per una valutazione economica quantitativa.

In primo luogo, nei Paesi industriali a reddito medio-alto ed elevato, le infrastrutture del secolo appena iniziato hanno caratteristiche molto differenti da quelle delle infrastrutture realizzate nel 19simo e nel 20simo secolo. Lo sottolineava, già circa 12 anni fa, Alice Rivlin, a lungo alla guida del Congressional Budget Office (Cbo) degli Stati Uniti: la spesa pubblica in conto capitale, e la spesa privata ad essa associata, riguardano sempre meno la realizzazione di nuove infrastrutture (aprire strade o ferrovie, costruire centrali elettriche) con forti esternalità ed interdipendenze (di cui al capitolo 4) per le attività produttive (e, quindi, con rientri poco differiti nel tempo) e sempre più la manutenzione straordinaria e l’ammodernamento del parco di infrastrutture esistenti, oppure il collegamento e l’innalzamento degli standard per lotti o tratti di infrastrutture costruite in un arco di diversi decenni e con caratteristiche tecniche ed economiche molto differenti, oppure ancora investimenti per la qualità della vita (miglioramento ambientale, sanità, risorse umane).

I Trans European Networks (Ten), ad esempio, costituiscono un grande schema di ammodernamento di infrastrutture fisiche attuate nel corso degli ultimi due secoli, ove non precedentemente, nonché di politiche di intervento pubblico ad esse associate. In effetti, la valutazione ha riguardato, in primo luogo, la spesa pubblica in conto capitale: a metà del 19° secolo, in parallelo con i primi programmi di infrastrutturazione in Francia, gli ingegneri economisti della Grande Ecole di Ponts et Chaussées, come Jules Dupuit, cominciarono a riflettere su questi temi impostando le basi della valutazione economica dell’investimento pubblico (l’analisi costi benefici – Acb) quale ancora, in linea di massima, seguita in gran parte dei Paesi industriali e rivisitata nei suoi aspetti di fondo solo circa 30 anni fa. Sotto il profilo concettuale diventa difficile delimitare l’ambito stesso del progetto quale formazione di capitale fisico ed intervento di politica economica, specialmente quando non si è alle prese con infrastrutture del tutto o principalmente nuove. Mentre proprio nei dibattiti europei appaiono impostazioni concettuali differenti o anche divergenti (in seno all’Ue) su cosa debba intendersi per politiche, programmi, “reti” e progetti e sulle metodiche di valutazione (nonché sulle tecniche e le procedure) ad essi pertinenti. Ad esempio, nelle ultime sessioni dei Consigli europei dedicati ai programmi per le infrastrutture, è apparso chiaro che per “reti” i Paesi latini intendono principalmente la formazione di capitale fisico (autostrade, porti, ferrovie), mentre i Paesi dell’Europa del Nord (guidati da Berlino, ma con il supporto vagamente celato di Parigi) puntano sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (banda larga, digitale terrestre e simili). Sono differenze concettuali, non solo di enfasi, su cosa debbano essere le “reti” del 21simo secolo. Senza dubbio è possibile, anzi essenziale, coniugare calcestruzzo e ferro con high tech. Ma il divario concettuale persiste per ragioni sia di diverso grado di sviluppo delle infrastrutture fisiche (in generale, i Paesi latini ne sono meno dotati di quelli del Nord Europa) sia di differente struttura dei settori produttivi (nei Paesi latini, le costruzioni e l’industria pesante hanno un ruolo maggiore, nella struttura della produzione, di quanto ne abbiano nei Paesi nordici), sia di radicate tradizioni culturali su cosa debba intendersi per infrastruttura. Da un lato le autostrade dell’informazione, per fare un esempio, e le autostrade in asfalto sono sempre più complementari (si pensi ai telepass ed ai sistemi di pilotaggio satellitare), specialmente nel ridurre i costi per le attività produttive e migliorare, quindi la competitività di sistema. Da un altro, le infrastrutture, anche più tradizionali, dell’Europa del 21simo secolo saranno sempre di più una combinazione di old e new economy; ciò avviene, negli Usa, già in un comparto che pure oltreatlantico rappresenta per molti aspetti il “vecchio” del “vecchio” (nell’infrastrutturale): il trasporto merci tramite camion, anche nel ramo dove predominano i piccoli trasportatori, in Italia chiamati “padroncini”. Ciò vuole dire nuove sfide nell’allestire e nel valutare i programmi di infrastrutture e le politiche e, in particolare, l’esigenza di metodi, tecniche e procedure che tengano conto delle differenze delle caratteristiche della spesa pubblica in conto capitale di questi anni rispetto a quelle di alcuni decenni fa.

spesa

Dall’inizio degli Anni Novanta, tuttavia, il dibattito sulla valutazione della spesa pubblica, specialmente in seno all’Ue, non riguarda solamente o prevalentemente la spesa classificata in conto capitale ma anche quella di parte corrente. Una determinante importante è stato il percorso definito per giungere all’unione monetaria (il trattato di Maastricht) e per rafforzarla (il patto di crescita e di stabilità, già menzionato). Da un canto, il dibattito ha riguardato come frenare i comparti di spesa di parte corrente, la cui crescita era più veloce: previdenza, sanità, pubblico impiego, trasferimenti agli enti locali, per fare esempi pertinenti alle discussioni ancora oggi in atto e vivaci in Italia. Da un altro, il dibattito ha posto l’accento sulla “qualità della spesa”, ossia su metodi e tecniche di analisi per selezionare (anche all’interno di comparti di spesa di cui si intendeva rallentare la dinamica generale) le voci che meglio corrispondevano agli obiettivi di benessere sociale – in termini tecnici alla Funzione di benessere sociale (Fbs) quale definita dagli economisti specializzati in economia pubblica ed in scienza delle finanze e quale utilizzata correntemente nell’Acb per programmi e progetti di spesa in conto capitale. Una Fbs sintetizza gli obiettivi della collettività in termini di importanza relativa da darsi, ad esempio, alla crescita della produzione o dei consumi, alla distribuzione del reddito, al riequilibrio territoriale, alle risorse umane, alla promozione dell’innovazione e così via. Raramente, come si vedrà nel capitolo 2, una Fbs è esplicitata con il dettaglio e il rigore necessario e l’economista deve spesso ricavarla dai documenti di politica economica.

Ovviamente dato che, nell’ambito dell’Ue, la spesa di parte corrente riguarda il 95-98% della spesa pubblica complessiva , sarebbe bene valutare solo la spesa in conto capitale. Il dibattito sulla qualità della spesa non ha solamente aspetti accademici o scientifici ma riguarda direttamente dirigenti e funzionari delle amministrazioni dello Stato (sia centrali sia decentrate), delle Regioni e degli Enti locali in quanto sono spesso i primi ad essere chiamati dagli organi politici a collaborare alla messa a punto di misure dirette a selezionare spese “di alta qualità” sia in conto capitale sia di parte corrente. A riguardo, è interessante sottolineare che negli Anni Ottanta e Novanta, in Francia, c’è stato un dibattito analogo – il “programma di razionalizzazione delle scelte di bilancio”- svoltosi interamente in seno alla Pa (con pochi contatti con il mondo accademico): un periodico edito dalla Documentation Française, l’equivalente nel nostro Poligrafico e Zecca dello Stato, pubblicava regolarmente gli studi e le analisi sulla “razionalizzazione delle scelte di bilancio” condotti all’interno delle singole amministrazioni; si svolgevano spesso vivaci confronti tra amministrazioni sul metodo e sul merito di tali studi ed analisi. Infine, è importante tenere conto che la tradizione della valutazione nell’amministrazione italiana è di lunga data; il solco, quindi, è tracciato. Questa Guida operativa è, per molti aspetti, path dependent, ossia segue un sentiero pre-determinato da coloro che hanno lavorato su questi temi nel passato, sotto il profilo della metodologia (e dei conseguenti agganci con la teoria economica), delle tecniche e delle procedure operative.

Estratto dal libro: LA BUONA SPESA di Giuseppe Pennisi e Stefano Maiolo
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