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Russia, Putin pensa di vendere quote di Rosneft

Risollevare le sorti della Russia non è certo semplice. E il Cremlino pensa a vendere una quota  della società petrolifera Rosneft a indiani e cinesi La Russia potrebbe vendere una buona parte delle quote della società petrolifera Rosneft: servono soldi per risollevare le casse di Mosca. Lo riporta Bloomberg, che rivela anche che i possibili…

Risollevare le sorti della Russia non è certo semplice. E il Cremlino pensa a vendere una quota  della società petrolifera Rosneft a indiani e cinesi

La Russia potrebbe vendere una buona parte delle quote della società petrolifera Rosneft: servono soldi per risollevare le casse di Mosca. Lo riporta Bloomberg, che rivela anche che i possibili acquirenti sarebbero cinesi o indiani. Il Cremlino starebbe cercando di vendere a una joint venture tra cinesi e indiani, ben il 19,5% del colosso petrolifero di proprietà in maggioranza del governo russo: in questo modo entrerebbero nelle casse del Paese almeno 700 miliardi di ribli (11 miliardi di dollari), un record per il Paese. Cina e India

Le azioni Rosneft sono salite venerdì a Londra, portando il valore della società oltre 52 miliardi di dollari, mentre da inizio anno ha guadagnato il 43%.

Solo una necessità economica?

Non si tratterebbe solo di una questione di soldi, almeno secondo quanto affermato da Bloomberg. La mossa Russa andrebbe, infatti, a controbilanciare la presenza dei britannici di Bp, che nel 2013 avevano comprato il 20% del gigante petrolifero russo. E non solo. La vendita consentirebbe alla Russia di ottenere un posto privilegiato nel settore energetico in India, che nei prossimi anni dovrebbe essere uno dei maggiori consumatori di oro nero.

Russia

Russia: un Paese in Crisi non solo per il petrolio

Strategie a parte, la Russia lo fa anche per ottenere denaro per risollevare il Paese. Il Cremlino deve fare i conti con un inizio d’anno davvero pesante per l’economia: le sanzioni europee per le vicende legate all’Ucraina, il valore del rublo ai minimi storici e il crollo del prezzo del petrolio mettono la Russia in una situazione di equilibrio precario.

Da marzo 2014 l’UE ha gradualmente imposto una serie di misure restrittive al Paese di Vladimir Putin, in risposta all’annessione illegale della Crimea e alla deliberata destabilizzazione dell’Ucraina. Tali misure vanno a limitare l’accesso ai mercati dei capitali primari e secondari dell’UE da parte dei cinque maggiori enti finanziari russi di proprietà dello Stato e delle loro filiali controllate a maggioranza stabilite al di fuori dell’UE, nonché di tre grandi società russe attive nel settore energetico e di tre operanti in quello della difesa. Non solo: impongono un divieto di esportazione e di importazione per quanto riguarda il commercio, stabiliscono un divieto di esportazione per i beni a duplice uso per impiego militare o per utilizzatori finali militari in Russia e limitano l’accesso russo a determinati servizi e tecnologie sensibili che possono essere utilizzati per la produzione e la prospezione del petrolio.

Ad influire sulla grave crisi è anche il crollo della moneta russa, che ha infranto le scorse settimane quota 80, 81, 82, nei confronti del dollaro, registrando nuovi minimi storici e aumentando le preoccupazioni per la tenuta dell’economia.

Tra i motivi che più influenzano la caduta del rublo vi è anche il crollo del prezzo del petrolio: mentre la moneta perde valore, i colossi petroliferi e energetici come Gazprom e Lukoil continuano a macinare perdite. Per un Paese che basa la sua fortuna sulla commercializzazione dell’oro nero, il basso valore del barile (sceso nei mesi scorsi anche sotto i 30 dollari) è un vero e proprio attentato alle casse del Cremlino. Una delle possibili soluzioni alla crisi energetica è quella di avviare un ambizioso nuovo round di privatizzazioni.

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