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Petrolio

Petrolio: accordo Arabia Saudita – Russia (e non solo) per congelare la produzione

Firmata a Doha l’intesa ufficiale tra Arabia Saudita, Russia, Qatar e Venezuela per congelare, ma non tagliare, la produzione di petrolio L’accordo per congelare la produzione di petrolio c’è. L’Arabia Saudita, la Russia, il Qatar e il Venezuela si sono accordate per congelare, ma non tagliare, la produzione di petrolio. Non si tratta di indiscrezioni o…

Firmata a Doha l’intesa ufficiale tra Arabia Saudita, Russia, Qatar e Venezuela per congelare, ma non tagliare, la produzione di petrolio

L’accordo per congelare la produzione di petrolio c’è. L’Arabia Saudita, la Russia, il Qatar e il Venezuela si sono accordate per congelare, ma non tagliare, la produzione di petrolio. Non si tratta di indiscrezioni o di notizie poi non confermate, ma di un accordo ufficiale, la cui notizia è stata data durante una conferenza stampa.

L’intesa è stata firmata a Doha, nella capitale del Qatar, dove i ministri del Petrolio si sono riuniti a porte chiuse. Obiettivo è risollevare il mercato, dal momento che il prezzo del greggio si è ridotto di due terzi, finendo sotto 30 dollari al barile, ai minimi da tredici anni.

Il congelamento della produzione non è una riduzione, ma fermare il suo aumento è un passo avanti. Nell’accordo vi è anche la condizione che anche gli altri membri dell’Opec facciano altrettanto, ma la cosa non è scontata. Cosa farà l’Iran? Il Paese, sollevato ora dalle sanzioni internazionali, deciderà di stare l’accordo?

Non si è, nonostante l’accordo, vicini ad una svolta. C’è da dire, infatti, che l’output, che secondo l’intesa dovrebbe fermarsi sui livelli di gennaio, è altissimo, tanto che sul mercato petrolifero c’è un eccesso di offerta vicino a 2 milioni di barili al giorno.

Mercato cauto: prezzo del petrolio a 33 dollari

La mancata svolta porta il mercato ad essere scettico: il Brent – che prima volava oltre 35 dollari – ha ridotto il rialzo dal 6,5% a un punto percentuale, intorno a 33 dollari al barile.

Russia

Il basso costo del petrolio mette in ginocchio Venezuela e Russia

Venezuela. Il crollo del prezzo del petrolio sta portando il Venezuela in una crisi catastrofica su tutti i fronti: economico, istituzionale, politico. Il greggio sotto i 30 dollari è la causa principale della devastazione dell’economia chavista venezuelana, che vede la moneta del paese, il bolivar, svalutarsi sempre più verso il dollaro. L’attuale situazione mondiale impedisce al Paese di mantenere in equilibrio il sistema di approvvigionamento di dollari, che si basa su un complesso sistema tripartito. A pagarne le conseguenze, ovviamente, i cittadini che sentono il tracollo del valore del bolivar sul mercato parallelo, con una fortissima riduzione del potere d’acquisto.

Russia. Il Paese di Vladimir Putin non è certo lo stesso con il petrolio a 30 dollari. Per un Paese che basa la sua fortuna sulla commercializzazione dell’oro nero, il basso valore del barile (che potrebbe scendere ancora con la fine delle sanzioni all’Iran, che torna sul mercato ) è un vero e proprio attentato alle casse del Cremlino. Una delle possibili soluzioni alla crisi energetica è quella di avviare un ambizioso nuovo round di privatizzazioni. Il governo russo starebbe infatti valutando la cessione di quote rilevanti della compagnia energetica Rosneft.
Gazprom. da parte sua, ha rafforzato le pressioni sul governo bulgaro per provare a rianimare il progetto del South Stream, spingendo il gasdotto sino ai confini meridionali bulgari attraverso la creazione di un nuovo hub del gas nei pressi di Varna, sulla costa del mar Nero. Il progetto dovrebbe coinvolgere anche la compagnia nazionale bulgara, la Bulgarian Energy Holding.

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