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FinTechSta: per il Fintech, l’Italia deve imparare dagli altri paesi

Gli imprenditori sono quasi tutti dei digital nomads e quindi indipendenti dalla posizione geografica. In Italia c’è la possibilità di sposare posizione geografica, creatività e oggettiva capacità di business che varrebbe la pena di tenere in considerazione   “La prima caratteristica comune a tutti gli ecosistemi Fintech è che hanno sei attori: in inglese si…

Gli imprenditori sono quasi tutti dei digital nomads e quindi indipendenti dalla posizione geografica. In Italia c’è la possibilità di sposare posizione geografica, creatività e oggettiva capacità di business che varrebbe la pena di tenere in considerazione

 

“La prima caratteristica comune a tutti gli ecosistemi Fintech è che hanno sei attori: in inglese si chiamano incumbent, cioè gli istituti finanziari, le start up, il regolatore, i partner tecnologici, il capitale, gli investitori e la parte di education o talent”. Lo ha detto Matteo Rizzi, co-founder di FinTechStage in commissione Finanze della Camera nel corso dell’indagine conoscitiva sulle tematiche relative all’impatto della tecnologia finanziaria sul settore finanziario, creditizio e assicurativo. “Assemblare questi sei attori dell’ecosistema Fintech è tra l’altro il lavoro di FinTechStage e da ciascuno di questi attori possiamo imparare qualcosa. Se partiamo dal mondo imprenditoriale posso dire di aver costituito società in varie parti del mondo. In Portogallo posso costituire una società in un’ora e aprire un conto presso una banca immediatamente. In Italia non ho trovato per esempio questa facilità. Un altro aspetto importante è quello del regolatore. Può essere il più grande ostacolo all’innovazione o il più grande abilitatore. L’esempio più importante è Singapore che ha lanciato una serie di iniziative verticali, ha creato una sand-box ed è andata in giro per il mondo a cercare accordi con altri regolatori. La sand-box dà a start up e banche la possibilità di collaborare in uno stesso ambiente tecnologico in cui le banche possono mettere concretamente a disposizione delle start up una serie di dati affinché queste ultime facciano degli esperimenti – ha chiarito Rizzi -.  Se riuscissimo a coinvolgere il regolatore per costituire una serie di gemellaggi, nel momento in cui una start up ha bisogno di crescere avrebbe già dalla sua parte una serie di punti smarcati che le consentirebbero di accedere al mercato in maniera molto più facile. Questa cosa in Italia non è stata fatta ma si dovrebbe imparare dalle esperienze degli altri paesi”.

Per quanto riguarda gli investitori, invece, nel nostro paese Rizzi riscontra “un gap clamoroso fino alla serie A, cioè dai 2 ai 5 milioni di investimento. Tutto quello che c’è prima, il seed e il post seed è un deserto clamoroso. Anche poco specializzato”. Secondo il manager “abbiamo già perso la possibilità di creare fondi generici a qualunque stadio. Il mio suggerimento allora è quello di proporre di realizzare hub mondiali di innovazione nel B2B in cui lending, blockchain e scoring siano in grado di toccarsi. Potremmo diventare un po’ una fucina per questo vertical”. Sull’education & talent, ha proseguito Rizzi “Londra nei prossimi dieci anni creerà 60 mila posti di lavoro nel Fintech. Con un po’ di statistica possiamo capire quali sono le opportunità per l’Italia. Anche perché gli imprenditori sono quasi tutti dei digital nomads e quindi indipendenti dalla posizione geografica e l’Italia è tutto fuorché un paese brutto dove vivere. C’è la possibilità di sposare una posizione geografica, creatività e oggettiva capacità di business che varrebbe la pena di tenere in considerazione”.

Il prossimo anno avvieremo una Fintech week a maggio in 3-4 città italiane, parleremo di digital identity blockchain, assicurazioni. La ragione è che se vogliamo veramente sviluppare questo mercato in Italia l’internazionalizzazione di questo mercato deve andare di pari passo con gli sforzi di localizzazione. Qualunque ecosistema è ad oggi quanto più influente quanto maggiore è il numero di legami ha fatto con gli altri paesi. Noi possiamo diventare un hub, basta trovare il giusto verticale per far si che la massa di clienti a cui possiamo tendere possa essere più ricettiva”, ha concluso Rizzi.

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