Il Fintech è un valore, ma solo se governato bene. Questo il pensiero espresso da Paolo Giudici, professore ordinario di Economia all’Università di Padova nel corso del ciclo di audizioni sulla tecnologia finanziaria in commissione Finanze alla Camera
“Non bisogna spaventarsi del mondo Fintech, può essere un valore ma va governato in termini di metodologia e strumenti”. È quanto ha detto Paolo Giudici, professore ordinario di Economia all’Università di Padova nel corso del ciclo di audizioni sulla tecnologia finanziaria in commissione Finanze alla Camera. Secondo Giudici una delle figure più importanti che dovremo curare nel nostro paese è quella del data scientist “che non stiamo formando in maniera adeguata” ma che ha “tre competenze integrate: informatica, statistico-matematica ed economico-finanziaria. Abbiamo poche università che formano scienziati dei dati e ancora meno che formano financial data scientist. Non è facile plasmare queste figure che sono attualmente le più ricercate nel mercato. Ma credo che il nostro paese abbia le competenze e le capacità per farlo”. In fondo, ha aggiunto, “la scienza dei dati si sviluppa dal filone della statistica: e nel mondo del data science, un mondo dove ci sono i Big data cioè produzione di dati creati dalle macchine, occorrono persone che sappiano governare i flussi”.
Giudici ha ricordato che a Pavia da alcuni anni è presente un laboratorio che si occupa di data mining e ora di data science applicata al mondo economico e finanziario con un gruppo che insieme alle imprese affronta i problemi del settore: “La Fintech è un’attività economica che integra la fornitura di servizi finanziari con l’utilizzo di tecnologie innovative in genere online, basate su analisi dati o Big data. Le Fintech sono diventate competitive ma questa maggiore competitività porta incrementi dei rischi in particolare cyber risk e scoring risk, cioè rischi informativi: ad esempio quelli definiti dai rating delle piattaforme p2p che se fuorvianti possono portare l’utente a compiere scelte errate. In più – ha aggiunto il professore – ci sono rischi sistemici: le Fintech sono collegate in rete e c’è una potenzialità maggiore di rischio. Questo non vuole dire che la Fintech sia negativa ma che porta dei vantaggi e al contempo dei rischi che vanno valutati”.
Secondo Giudici, “se è vero che le Fintech possono portare dei rischi è anche vero che tali rischi possono essere più facilmente valutati rispetto alle banche classiche perché vivono in un mondo di dati relazionali come i social, i dati transazionali e quelli delle proprietà. Se riusciamo a valorizzare questi dati allora i rischi della Fintech possono essere compresi e mitigati – ha spiegato l’accademico -. Un buon modello di rating si valuta sulla base della capacità predittiva dei fallimenti. Ciò significa che possiamo proteggere il risparmiatore che investe nella Fintech dando una valutazione con un algoritmo che la Fintech usa”.
Le fonti del credit scoring, ha precisato, “sono numerose ma devono essere di qualità: ad esempio i dati di bilancio poi quelli delle transazioni, il self assesement cioè il direttore di filiale che valuta il cliente mostrando l’importanza delle relazioni come in passato”. In sostanza, “l’idea che un buon metodo di analisi dei dati possa effettivamente migliorare la protezione del risparmiatore porta alla necessità di investimenti in capitale umano, formando data scientist adeguati che abbiamo tutte e tre le competenze. Ciò in modo concreto, esternalizzando le attività dei lavoratori presso sandbox o innovation hub da realizzare. Sarebbe importante mettere in contatto diretto università, imprese e regolatore favorendo la ricerca concreta. Occorre poi considerare di specializzare i finanziamenti sul tema del data scientist”. Infine, terzo punto importante per fare una buona analisi dati “è la condizione che i dati siano di buona qualità. Il mondo Fintech può avere dati transazionali ma deve averne ulteriori come gli accordi tra imprese stesse. Alcune lo stanno facendo ma sarebbe importante che il paese incentivasse un sviluppo di data base comuni per le transazioni prima che Psd2 e Gdpr ci tolgano questa possibilità e la indirizzino verso Big Tech che non faranno solo gli interessi del nostro paese”, ha concluso Giudici.