I dipendenti Alitalia hanno votato contro il piano industriale pensato da azienda a sindacati per risollevare le sorti dell’ex compagnia di bandiera. Ed ora si rischia il commissariamento
I lavoratori di Alitalia dicono no al piano industriale pensato per salvare l’azienda dal fallimento. Al referendum interno i “no” prevalgono ai “si”, attivando il rischio commissariamento.
E se è vero che il risultato delle votazione vuole essere una protesta contro la gestione voluta da Etihad, entrata in Alitalia nel 2014, è anche vero che i problemi dell’ex compagnia di Bandiera sono iniziati molto prima del 2000. Ma andiamo per gradi.
Il piano di Alitalia
I lavoratori hanno detto “No” ad un accordo stipulato nelle scorse settimane tra azienda e sindacati sul tavolo del Governo, che prevedeva una riduzione degli esuberi complessivi, che scendono a quota 1.700 dai 2.037 preventivati. In particolare, tra i contratti a tempo determinato gli esuberi passano dai 1.338 richiesti a 980.

Il No dei dipendenti
Le misure per frenare la crisi, però, non sono piaciute ai dipendenti, che chiamati a votare in un Referendum a Roma, Milano e sedi periferiche, hanno bocciato il piano di risanamento.
A votare è stato quasi tutto il personale della compagnia. I voti sono stati 6.816 contrari all’accordo sul piano industriale e 3.206 favorevoli.
“Quello che si evince è che la votazione è stata una votazione sofferta, ma decisa contro un’azienda che poco ha fatto finora per risollevare le proprie sorti”, hanno commentato a votazioni ancora in corso Filt-Cgil, Fit-Cisl, UilTrasporti e Ugl Trasporto aereo.
Ed ora? Commissariamento
Se è vero che prevedere il futuro di Alitalia, ora, è ancora presto, è vero che la soluzione più probabile sia l’arrivo di un commissario e la successiva liquidazione nel giro di sei mesi.

Alitalia: una lunga crisi
per la terza volta in meno di dieci anni Alitalia è a rischio di fallimento.
Insomma, la crisi dell’azienda sembra tonare ciclicamente, come se fosse un appuntamento fisso. Se nel 2008 fu scongiurata ua fusione con AirFrance da alcuni “capitani coraggiosi” che decisero di intervenire in nome della salvaguardia dell’italianità, sei anni dopo proprio la fusione con la compagnia tranalpina sembrava essere la soluzione migliore per salvarsi. Ma ad accaparrarsi Alitalia, in quel caso, furono alla fine gli emirati di Etihad. A distanza di un anno e mezzo la compagnia aerea si ritrova nuovamente in punto di fallimento, con perdite di mezzo milione di euro al giorno, secondo quanto dichiarato dal presidente, Luca Cordero di Montezemolo.
La crisi di Alitalia è ben più profonda. Sono mancate le giuste strategie e ci sono state scelte imprenditoriali sbagliate ( con il senno di poi). I problemi dell’exo compagnia di bandiera risalgono agli anni ’90. E allora andiamo indietro nel tempo.
La prima privatizzazione

A tre anni di distanza si trova anche un partner industriale: sono gli olandesi di Klm. Ma l’accordo non andrà a buon fine: dopo nove mesi, per mancanza di accordo su quale avrebbe dovuto essere l’hub principale del gruppo (l’Olanda voleva Milano Malpensa, Alitalia voleva Roma), l’amicizia viene interrotta.
La paura post 11 Settembre
Ai problemi già esistenti si aggiunge anche la paura. I conti di Alitalia risentiranno dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001.La gente ha paura di volare.
L’Arrivo di Ryanair
A cambiare le carte in tavola, senza possibilità di ritorno, è Ryanair. L’imprenditore irlandese, Michael O’ Leary, che nel 1991 ristruttura una piccola compagnia aerea locale, comprende bene che i prezzi bassi avrebbero fatto riprendere fiducia ai viaggiatori. Impone prezzi piccoli e in poco tempo la compagnia spicca il volo. Dal 1999 al 2002 i passeggeri trasportati da RyanAir passano da poco più di 5 milioni a 13 milioni e mezzo all’anno

Un nuovo tentativo di privatizzazione
Nel 2006 Romano Prodi sceglie di cedere il 67% ancora in mano allo Stato, la privatizzazione sembrava essere la soluzione alle perdite e alla strategia sbagliata. La gara, però, finirà deserta. La strada giusta verso il salvataggio dei conti della compagnia di bandiera sembrava essere quella della fusione con Air France: la compagnia transalpina, il 15 marzo 2008, presenta un’offerta di scambio di azioni per il 100% del capitale, che prevede 2.100 esuberi e una ricapitalizzazione da un miliardo.
Salvare Alitalia dalle grinfie francesi, per preservarne l’italianità, diventa la battaglia principale di Silvio Berlusconi, che diventato Premier, affida il salvataggio della compagnia di bandiera all’allora amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, il ruolo di regista dell’operazione.
Sarà Passera il regista del cosiddetto ‘Piano Fenice’. Alitalia si scorpora in una ‘bad company’, che rimane a carico dello Stato, e una ‘good company’ che prende il nome di Cai, Compagnia Aerea Italiana, nata ufficialmente il 26 agosto 2008. Per salvare Alitalia scenderanno in campo nomi illustri del mondo dell’imprenditoria da Roberto Colaninno, che diventera’ presidente, ai Benetton, ai Ligresti, a Caltagirone a Tronchetti Provera. Alcuni si tireranno fuori dalla partita appena concluso il salvataggio.
Il nuovo fallimento
Salvare l’italianità, però, era stato meno vantaggioso (economicamente) che cedere da Air France. Anche perchè, a causa dello scorporameto, Alitalia continua a pesare sulle casse dello Stato. Air France (fusosi con Klm) rimane comunque nel ruolo di partner strategico, con una quota del 25%.

La Compagnia Aerea Italiana non riesce a puntare sulle rotte intercontinentali, che vengono ridotte a 16, e si affida quasi esclusivamente ad un mercato interno oramai dominato dalle compagnie low cost.
La crisi non sembra finire. Anzi, tutto sembra andare peggio: Alitalia brucia oltre 600 mila euro al giorno. In poco tempo i 735 milioni di euro della ricapitalizzazione del 2009 finiscono. Il 2012 si chiude con un rosso di 280 milioni che salirà a 569 milioni l’anno successivo.
La mano di Etihad
Nel 2013 Alitalia rischia nuovamente il fallimento. La soluzione ai guai infiniti della compagnia di bandiera sembra arrivare dagli Emirati Arabi. Il governo, guidato da Enrico Letta, avvia i contatti con Etihad.
L’8 agosto del 2014 si firma un’intesa per rilevare il 49% di Alitalia. L’anno terminerà con una perdita enorme di 580 milioni di euro. Il 1 gennaio 2015 nasce una nuova Alitalia, con il Cai, nel ruolo di holding, a controllare il restante 51%.
I passeggeri, nel frattempo, continuano a scendere. Ryaner conquista sempre più quote di mercato e in pochi mesi Alitalia si ritrova nuovamente sull’orlo del baratro, a fare i conti con la speranza di un salvataggio in extremis.
Il nuovo piano di risanamento. E tutti i tagli

In queste giorni è in discussione il piano di ristrutturazione: si punta alla messa a terra di 20 aeroplani, al risparmio sulle voci principali di spesa, dal carburante ai fornitori, e, soprattutto, a mandare a casa gli esuberi che son tanti.
Secondo le prime indiscrezioni ci sarebbero “Esuberi Staff”, pari a 776 unità, e “Esuberi Operations” per 1.261 persone. In totale 1.138 dipendenti in meno in Italia, 141 all’estero. A rinunciare al posto di lavoro saranno anche 558 tempi determinati.
Gli equipaggi di Alitalia saranno, invece, impiegati da Air Berlin. La low cost tedesca in pesante crisi, appartenente al gruppo Etihad, ha siglato con la compagnia italiana un contratto di wet lease (ovvero il noleggio tutto compreso, equipaggio e assicurazioni inclusi) che riguarda 4 aerei A320 dei 20 parcheggiati.






