Forse, a livello marketing, il Gruppo ha provato a enfatizzare l’inaugurazione dell’impianto per l’assemblaggio di batterie all’interno dello stabilimento di Martorell (in quella Spagna “piglia tutto” quando si parla di automotive) dove, oltre alla Seat e alla Cupra si produce anche la ID. Polo per non lasciare il campo libero solo alla ferale notizia del fermo delle attività produttive della Gläserne Manufaktur, l’avveniristico hub aperto nel 2001 a Dresda, fortemente voluto da Ferdinand Piëch con la precisa volontà di farlo diventare il simbolo della forza economica di Volkswagen anche nel Terzo millennio e destinato invece ad assurgere agli onori delle cronache come mesto emblema della crisi che attanaglia il principale costruttore automobilistico del Vecchio continente.
DRESDA PERDE IL SUO HUB HI-TECH
Gläserne Manufaktur è infatti la prima fabbrica nazionale che il Gruppo quest’oggi dovrà chiudere per tamponare le spese e provare a rimettere in carreggiata i conti. Un’onta difficile da far sbiadire, dato che è la prima fabbrica col marchio Vw ad abbassare definitivamente le serrande in 88 anni di vita. Peraltro il 2025 era iniziato con la chiusura a suo modo storica di un altro impianto per auto elettriche del Gruppo: quello di Audi a Bruxelles.
L’AUTO ELETTRICA HA SCARICATO VW?
E, volendo continuare con la simbologia, è certamente emblematico il fatto che l’impianto sacrificato sull’altare delle sforbiciate sfornasse esclusivamente auto elettriche (lì è difatti nata la e-Golf nel 2017 e poi la ID.3 nel 2021) nelle quali – è noto – Volkswagen aveva scommesso ben più di molte altre Case automobilistiche del Vecchio continente, almeno fino alla cacciata del precedente amministratore delegato, Herbert Diess, disposto a sacrificare migliaia e migliaia di posti di lavoro pur di mantenere la sostenibilità di un comparto che non ha mai avuto ritorni.
VENTICINQUEMILA LICENZIAMENTI VOLONTARI
Il paradosso attuale è che nonostante il Gruppo tedesco abbia inchiodato sulla mobilità elettrica i licenziamenti messi in conto dall’ex Ceo ci saranno comunque. Il gruppo di Wolfsburg ha comunicato nelle scorse settimane di aver già raccolto oltre 25 mila adesioni ai licenziamenti volontari che fanno parte di quel piano draconiano fatto approvare sotto Natale lo scorso anno con grande fatica dai rappresentanti dei lavoratori: entro il 2030 il gruppo Volkswagen dovrà necessariamente aver tagliato 35mila posti di lavoro, riducendo così gli occupati nei siti tedeschi da 130mila a meno di 100mila unità. E nel piano vi rientra appunto anche il Gläserne Manufaktur di Dresda.
QUALE FUTURO PER L’EX IMPIANTO?
Secondo quanto concordato con le organizzazioni sindacali esattamente un anno fa, nel momento più difficile della lunga vita del marchio tedesco, l’hub non sarà smantellato: a gennaio, infatti, dovrebbero avere i lavori di ristrutturazione portati avanti dalla stessa Volkswagen con il Land della Sassonia e l’Università Tecnica di Dresda per aprire un centro di innovazione tecnologica attivo in campi come intelligenza artificiale, robotica e microelettronica. Ai 230 dipendenti con la chiusura definitiva dei cancelli quest’oggi, martedì 16 dicembre, saranno proposte opportunità di ricollocamento in altre fabbriche della Volkswagen.
E il timore è che il proseguimento della crisi possa costringere la dirigenza a rimettere mano al piano emergenziale: all’annus horribilis 2024 è seguito infatti un 2025 a dir poco tragico. Nei primi nove mesi Volkswagen ha registrato un utile operativo di 5,4 miliardi con un crollo del 58% se raffrontato al medesimo periodo dello scorso anno.
Alla crisi dello scorso anno, causata anche dalla rapida marginalizzazione del marchio nel mercato cinese strettamente presidiato negli ultimi 40 anni (il marchio tedesco è stato infatti tra i primi coloni a insediarvisi) si sono infatti aggiunti i dazi trumpiani che rischiano di aumentare i problemi nell’approdo a un mercato in cui correva parecchio soprattutto un altro marchio del Gruppo attualmente in forte crisi: Porsche.
LA CRISI TAMPONA ANCHE PORSCHE
Secondo le ultime dichiarazioni di Ibrahim Aslan, presidente del comitato aziendale mancando al momento un preciso piano di rilancio si va verso il rischio di “delocalizzare lo sviluppo e la produzione in Paesi con livelli salariali significativamente più bassi. Questo – ha avvertito – mette a rischio un posto di lavoro su quattro presso Porsche Ag”.
Tradotto in numeri, dal momento che Porsche impiega in Germania circa 23.000 persone, la maggior parte presso la sede centrale di Zuffenhausen, se le sue fosche previsioni fossero corrette sarebbero a rischio oltre 5.500 posti di lavoro. Al momento, ricorda la stampa economica tedesca, l’occupazione presso la Casa di Zuffenhausen è tutelata da uno specifico accordo che esclude licenziamenti, ma è valido fino a giugno 2030. Per questo, considerate le ultime trimestrali tempestose registrate dal marchio, i rappresentanti dei lavoratori hanno iniziato a chiedere con forza garanzie occupazionali e di essere messi al corrente delle strategie poste in essere dai vertici per tirare fuori Porsche dalla più grave crisi che l’abbia mai colpita.




