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Stellantis, ecco come sfreccia la cassa integrazione

La desertificazione industriale causata dal progressivo disinteresse di Stellantis per il nostro Paese corre a ritmi mai visti: la cassa integrazione diventa così un contagio trasmesso dagli impianti principali del gruppo a quelli delle terze parti sorti tutt'attorno negli anni d'oro di Fiat. Molti fornitori sono già falliti. Fatti, numeri e approfondimenti

Ennesimo stabilimento Stellantis in cassa integrazione. “La direzione aziendale dello stabilimento G.B. Vico di Pomigliano d’Arco ha informato le Rsa di un aumento di produzione sul modello Panda, che passa da 305 vetture turno al giorno a 395. Contestualmente, per il modello Alfa Romeo Tonale, lo scenario è completamente diverso. L’azienda, infatti, ha comunicato una riduzione della produzione: da 200 vetture turno al giorno si scende a 150”. A darne notizia sono Mauro Cristiani, segretario generale Fiom Napoli, e Mario Di Costanzo, responsabile settore automotive Fiom Napoli.

PIÙ PANDA, MENO TONALE

Aumentare i modelli di Panda e, contestualmente, tirare il freno a mano su quelli della Tonale, decisione inattesa, che non permette di festeggiare il successo della city car di casa Fiat e che, per i sindacalisti, servirebbe solo a giustificare ancora il ricorso agli ammortizzatori sociali, cinque giorni spalmati su tutto settembre così da accorciare la settimana lavorativa degli operai: “Secondo Stellantis – affermano – la differenziazione della produzione dei due modelli consente di ricorrere alla cassa integrazione per i cinque venerdì del prossimo mese di settembre. Tale scelta fa comprendere chiaramente il modus operandi della direzione aziendale che, a fronte di un aumento di produzione sul modello Panda, fa ulteriore efficienza utilizzando gli ammortizzatori sociali per tutte le lavoratrici ed i lavoratori del GB. Vico”.

L’impianto di Pomigliano era quello che l’amministratore delegato di Stellantis aveva provato a usare come carta di scambio nel tentativo di spronare il governo italiano a fare ostruzionismo alle norme comunitarie sull’Euro 7, dato che i piani del Gruppo vi prevedono la costruzione della Fiat Panda almeno fino al 2029 e comunque fino a quando la legislazione sulle produzioni endotermiche lo consentiranno: “Bisogna combattere norme come l’Euro 7 che hanno un impatto marginale in termini ambientali, ma rischiano di uccidere modelli iconici come la Panda”, l’avvertimento lanciato a più riprese dal manager portoghese.

GLI ALTRI STABILIMENTI STELLANTIS IN CASSA INTEGRAZIONE

Tra pochi giorni, la geografia degli hub italiani Stellantis in cassa integrazione si arricchirà insomma di una nuova puntina da apporre sulla mappa. Questo nonostante il pressing del governo sulla necessità di aumentare il rateo delle vetture prodotte nel nostro Paese.

Pressing che nelle ultime ore s’è focalizzato sulla realizzazione della prima gigafactory italiana da costruire a Termoli: le parti si riuniranno il prossimo 17 settembre, ma la frenata nella domanda di auto elettriche e la contestuale alleanza col marchio cinese Leapmotor sembrano aver convinto Carlos Tavares a rinviare il progetto finanziato anche coi soldi pubblici del Pnrr.

LA SITUAZIONE AD ATESSA

Ad Atessa, lo stabilimento nel Chietino focalizzato sulla produzione di veicoli commerciali Fiat Ducato, la cassa integrazione è stata attivata lo scorso giugno coinvolgendo 400 dei 600 operai: inizialmente sarebbe dovuta durare una quindicina di giorni, ma poi Stellantis ha deciso di estenderla anche a settembre in modo “precauzionale e preventivo” vista “l’attuale situazione di mercato”, con un calo degli ordini dei cabinati: dal 16 al 22 potrà coinvolgere tutti i dipendenti sospendendo tutti i turni notturni.

“Sono troppe e allarmanti le voci che si rincorrono sulle sorti dello stabilimento Stellantis di Atessa e i segnali che arrivano non sono certo confortanti nonostante le rassicurazioni che si erano avute sulla cessazione della cassa di integrazione in questo mese di agosto”, il commento dell’assessore regionale alle Attività produttive, Tiziana Magnacca, che poi ha aggiunto: “un procedere a passo d’uomo segno di poca chiarezza da parte del gruppo presieduto da Tavares da quale ci aspetteremmo di ascoltare annunci concreti e certi sul futuro del plant della Val di Sangro”.

IL FERMO DELL’IMPIANTO TORINESE

Ma la situazione più critica riguarda l’hub simbolo di Mirafiori. I volumi produttivi misurati nel primo semestre 2024 e riportati da Fiom sono pari a 19.510 unità contro le 53,330 rilevate nel 2023 (-63%). Il 90% dei volumi dello stabilimento torinese, pari a 17.660, è costituito da Fiat 500 bev, il restante da Maserati.

Per Fiom si tratta di una situazione “in peggioramento e per i prossimi mesi non si vedono segnali di miglioramento: una flessione di mercato, determinatasi già nell’ultimo trimestre 2023, ha impattato negativamente sulle produzioni della 500 bev perdendo quasi 2/3 delle produzioni rispetto alle 46.930 unità del 1° semestre del 2023. Questo ha portato alla decisione di organizzare la linea di produzione su un turno e alla richiesta di Cigo e Cds. Dal 19 febbraio nei giorni in attività si è utilizzato l’ammortizzatore sociale coinvolgendo mediamente 35% /40% dei 1050 lavoratori sulla linea della 500bev.”

Nei primi sei mesi si è fatto inoltre ricorso a degli stop produttivi di 45 giornate, 19 nel primo trimestre e 26 nel secondo, che hanno coinvolto sia la linea della 500bev sia quella di Maserati. E proprio il prestigioso marchio del Tridente appare più che mai appannato: nel primo semestre a stento ha raggiunto le 1.850 unità, -70% rispetto al 2023. Negli anni migliori, ovvero soltanto nel 2017, la produzione, tra Grugliasco e Mirafiori, nel 1° semestre raggiungeva oltre le 27.000 unità. Ora non tocca le 1.900 vetture.

MASERATI, TRIDENTE SPUNTATO

Con l’uscita di produzione della Levante che ha di fatto bloccato le attività a Mirafiori e la chiusura improvvisa dell’hub di Grugliasco (comunicata nel peggiore dei modi, attraverso un annuncio apparso su Immobiliare.it), il Gruppo ha di fatto azzoppato una delle Case emblema del made in Italy nel settore sportivo e del lusso.

Il risultato è stato, oltre ai 65 giorni di stop produttivo nel primo semestre, il contestuale ricorso dal 3 di aprile fino al 31 dicembre 2024 del Contratto di Solidarietà per circa 968 lavoratori in base agli ordinativi da evadere.

Va probabilmente verso l’abbassamento definitivo delle serrande il Maserati Innovation Lab di Modena, inaugurato appena cinque anni fa con l’intenzione di dare nuovo lustro alla Motor Valley emiliana in un periodo – quello della transizione ecologica – che sta mettendo in difficoltà le Case automobilistiche storiche, superate dagli agguerriti marchi cinesi.

Scrive La Gazzetta di Modena: “È uno stillicidio di notizie negative quello che riguarda la Maserati di Modena. Nei prossimi giorni infatti inizierà il trasferimento delle 400 maestranze impiegate finora in via Emilia Ovest negli uffici della torre che domina lo stabilimento di via Ciro Menotti. Entro l’anno il grande edificio ex Orlandi rimarrà così un guscio vuoto”.

LA CRISI DEI FORNITORI ITALIANI DI STELLANTIS

E poi c’è l’indotto, lo sterminato sottobosco di fornitori germinato attorno a Fiat. Su tutti Magneti Marelli, il cui fatturato è sempre stato legato prima a Fiat, poi a Fca e quindi al gruppo Stellantis, che nei conti pesa per il 49% delle commesse. Percentuale che sale all’80% per i 462 dipendenti della Magneti di Sulmona che infatti fino a fine settembre lavoreranno solo di mattina e pomeriggio.

La desertificazione industriale causata dal progressivo disinteresse di Stellantis per il nostro Paese corre a ritmi mai visti: la cassa integrazione è per esempio scattata anche per 50 lavoratori fino al 5 ottobre della Sodecia automotive di Raiano, in provincia dell’Aquila, nota in passato come F&B, specializza nella produzione di componenti in ferro e alluminio per il settore automobilistico.

LE CONSEGUENZE DELLA CASSA INTEGRAZIONE IN STELLANTIS SUI FORNITORI

In bilico il destino della Lear, la fabbrica di sedili per auto sportive con sede a Grugliasco che impiegava 410 persone, travolta dalla chiusura del vicino hub Maserati. Proma, che produce scocche e strutture dei sedili, ha già annunciato la chiusura dello stabilimento di Grugliasco e intende spostare i 110 lavoratori nel polo di Bruino, a circa venti chilometri da Torino. Già chiusa la Delgrosso che per decenni ha rifornito prima Fiat e poi Stellantis di filtri per l’aria.

CHI VA VIA E CHI CHIUDE PER NON RIAPRIRE

A leggere le cronache delle testate torinesi è un continuo stillicidio di chiusure e vertenze. Nomi sconosciuti nel resto d’Italia ma che hanno permesso al Piemonte di essere tra le regioni più industrializzate del Paese. Almeno finora.

Traslochi in vista anche per la svizzero statunitense Te Connectivity, fornitrice di cablature per auto, che a ottobre 2025 procederà con la chiusura dello stabilimento di Collegno dove lavoravano 220 persone. Traballa da anni la nipponica Denso di Poirino e non se la passa meglio la PrimoTECS S.p.A. che nel suo sito villarese produce componenti per cuscinetti e ingranaggi.

Cancelli desolatamente chiusi, capannoni che arrugginiscono, edera e piante infestanti che iniziano a ricoprire i punti di accesso di strutture un tempo vive e pulsanti. Ricomprendendo anche gli altri settori sono venti, per un totale di 3.216 lavoratori coinvolti e 1.190 esuberi dichiarati, i dossier sulle crisi industriali che stanno colpendo il solo Piemonte, un tempo epicentro industriale della nazione grazie a Fiat. La fetta più grossa senza troppe sorprese è proprio quella legata al mondo dell’auto.

LE CRISI INDUSTRIALI CHE SPAVENTANO IL PIEMONTE

La Regione intende rispondere col  potenziamento dell’Ucri, l’Unità di crisi integrata per la gestione delle crisi aziendali costituita insieme ad Apl e Sviluppo Lavoro Italia con l’obiettivo di garantire ai lavoratori provenienti da situazione di crisi una porta di accesso pubblica e, nei casi più fortuiti, una continuità del ciclo di vita dell’azienda. Ma si tratta di toppe che non ricuciono un tessuto industriale che va sfilacciandosi.

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