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Marelli TECNOMECCANICA NICHE FUSINA

Flop Marelli? Colpa di Stellantis. Parola di Marelli

Marelli congela la chiusura di Crevalcore ma per la sopravvivenza del sito deve spuntare un nuovo player, intanto l'azienda accusa Stellantis che starebbe prediligendo la filiera francese (in particolare Forvia) a quella che fu di Fiat

«In crisi perché Stellantis all’Italia preferisce la Francia». Questa volta non lo dicono i sindacati, non lo dice Carlo Calenda (che ancora qualche giorno fa, dai cancelli dello stabilimento a rischio, attaccava: “Se cambiano i modelli di fornitura e vanno verso i fornitori francesi, tu puoi bloccare Kkr, ma la crisi ce l’hai uguale. Se hai un milione di macchine prodotte in Francia da Stellantis e 400.000 in Italia, fai qualcosa?“), non lo scrive il Corriere della sera (che pure, come vedremo, sta evidenziando tutte le disparità tra il nostro Paese e i cugini francofoni nei piani industriali vergati da Carlos Tavares) e certamente non ne dà conto Repubblica. A mettere nero su bianco che Marelli, un tempo di proprietà di Fca, è costretta a chiudere per via del nuovo baricentro del colosso dell’auto, sempre più pendente al di là delle Alpi, è l’azienda stessa.

STELLANTIS PREDILIGE LA FRANCIA E MARELLI SOFFRE

L’insoddisfazione del fondo americano Kkr emerge dalla frase pronunciata di fronte al ministro del Made in Italy Adolfo Urso per tirare esplicitamente in ballo Stellantis, dalla quale nel 2018 ha acquisito il gruppo Marelli per circa 6 miliardi di euro (con una plusvalenza di 1 miliardo immediatamente distribuita agli azionisti, ovvero agli Agnelli – Elkann). L’accusa che la dirigenza di Marelli muove al colosso dell’auto nato dopo la fusione con Psa è infatti di aver scelto «di lavorare su piattaforme ex Peugeot e non ex Fiat».

Non proprio una novità, almeno per chi segue da tempo la vertenza. La medesima denuncia finora era stata fatta dai rappresentanti dei lavoratori. È un inedito, invece, che a dirlo sia stata la dirigenza della Magneti Marelli, il cui fatturato è sempre stato legato prima a Fiat, poi a Fca e quindi al gruppo Stellantis, che nei conti pesa per il 49% delle commesse.

Ma se Stellantis predilige la Francia e, per risparmiare, intende accorciare le filiere, ecco che in Italia si rischia quella desertificazione industriale paventata da più parti. E l’ultimo bilancio di Magneti Marelli Europe con le sue perdite per 465,5 milioni di euro ne sarebbe, dicono dall’azienda, in parte la prova o comunque monito di quello che rischiamo.

IL PUNTO SULLA MARELLI DI CREVALCORE

Ed è lì che ha origine la crisi della Magneti Marelli di Crevalcore (Bologna) dove si producono pressofusi di alluminio e collettori di aspirazione, componenti per i motori endotermici ma non per quelli delle auto elettriche.

Il tema è che se Stellantis, impegnata nella transizione ecologica, nel ridisegnare la propria filiera guarda ad altri fornitori in altri Paesi, molti stabilimenti qui in Italia rischiano di non avere più un futuro. Da qui la comunicazione del 19 settembre con la quale la proprietà ha fatto sapere l’intenzione di chiudere lo stabilimento, con il licenziamento di 230 lavoratrici e lavoratori.

CHI HA PRESO IL POSTO DI MARELLI?

Alcuni osservatori sostengono che, dopo la fusione con Psa, la nuova realtà abbia privilegiato i fornitori storici di Peugeot, tra cui la francese Faurecia, oggi nota come Forvia a seguito della fusione con la tedesca Hella. Si tratta del settimo Gruppo al mondo nel settore della componentistica, dal fatturato di oltre 25 miliardi, 150.000 dipendenti in più di 40 Paesi.

LA MARELLI DI CREVALCORE È APERTA MA NON SALVA

Quel che è certo, è che dopo tre ore di summit al dicastero dello Sviluppo economico sembra sventata per il momento la chiusura del sito Marelli di Crevalcore, sebbene tutte le incognite sul futuro produttivo dello stabilimento bolognese restino sul tavolo. Senza un nuovo player sarà difficile per la proprietà americana avallare un piano industriale che tenga conto della transizione energetica ed ecologica in atto.

LA POSIZIONE DEI SINDACATI

E se il il ministro Urso ostenta sicurezza (“L’incontro di oggi delinea un futuro per lo stabilimento Marelli di Crevalcore e per i suoi 229 dipendenti. La nostra priorità è sempre stata quella di sostenere e rilanciare la produzione nel settore e nella filiera dell’automotive, e siamo convinti che ciò passerà dall’accompagnamento verso una piena reindustrializzazione di questa storica realtà produttiva, orgoglio del Made in Italy”), i sindacati sono di tutt’altro avviso e scalpitano, attaccando il governo: “Siamo l’unico Paese a non avere un piano industriale sull’automotive. Non abbiamo risorse straordinarie da dedicare al settore ed è per questo che siamo qui perché la vicenda Crevalcore è paradigmatica del futuro dell’auto: per questo continuiamo a dire che c’è bisogno di un tavolo sull’automotive ma anche di risorse pubbliche che devono servire a salvaguardare l’occupazione negli stabilimenti”, l’affondo del leader Fiom, Michele De Palma prima dell’incontro.

”Da come si gestirà questa vertenza si gestiranno tutte le vertenze che mano mano arriveranno”, il cupo monito del leader della Cisl, Roberto Benaglia. “Sono tre anni che diciamo che serve un piano per sostenere la transizione ecologica, oggi la pagano i lavoratori. Se le imprese e i sindacati sono lasciati da soli finiamo per discutere di ammortizzatori e invece il governo deve mettere in campo quello che ha promesso da tempo e ancora non ha fatto: un piano di sostegno alla transizione dell’automotive”.

E Benaglia non sbaglia: la Fiat aveva contribuito a far nascere lungo tutto il territorio italiano decine e decine di PMI che sono legate, per la propria sopravvivenza, a contratti di fornitura che Stellantis potrebbe non rinnovare, data la sua natura multinazionale. Pertanto vertenze di questo tipo potrebbero realmente moltiplicarsi nel prossimo periodo.

LA FUGA DALL’ITALIA DI STELLANTIS SECONDO IL CORRIERE

La situazione è insomma complessa e la responsabilità potrebbe essere equamente suddivisa tra più parti ma Marelli potrebbe anche avere ragione quando  al tavolo col governo ha detto che la chiusura di Crevalcore sarebbe dovuta “alla scelta di Stellantis di lavorare su piattaforme ex Peugeot e non ex Fiat”

A via Solferino per esempio sulla fuga di Stellantis dall’Italia non hanno dubbi. Ancora negli ultimi giorni il Corriere scriveva: “Sino al 2022 la produzione è risultata comparabile tra gli impianti italiani e francesi: entrambi avevano sofferto della mancanza di materiali, ma attualmente sono previsti 13 veicoli, tra il 2024 e il 2026, nei siti dello Stivale, contro i 24 che saranno prodotti nelle fabbriche Oltralpe, che risultano essere più competitive per lo sviluppo e il riadattamento di tutta la filiera”.

Insomma, se fosse una competizione sportiva, che solitamente accendono l’amor patrio nell’opinione pubblica e nella politica più che le questioni industriali, Francia batterebbe Italia 24 a 13.

“Inoltre – prosegue il Corriere – nel 2024, la differenza potrebbe essere superiore di 11 modelli, a favore della Francia. Identica situazione per i componenti che vedono il coinvolgimento di un unico sito italiano — Mirafiori — dove sono assemblate parti per i veicoli elettrici e ibridi, contro i cinque francesi. Per il futuro ne sono opzionati 3 su 6 in Italia e 6 su 6 in Francia. Il processo di riconversione degli impianti è molto più avanzato al di là del Monte Bianco — ci battono 5 a 1 — e coinvolgono naturalmente tutta l’attività di ricerca che vede in Francia 1.239 brevetti, contro i 166 depositati nelle nostre Camere di Commercio”.

Se in Italia si produrranno sempre meno auto, non solo saremo destinati a uscire di scena dal settore dell’automotive, storicamente presidiato dal nostro Paese con alcuni dei marchi più amati a livello globale, ma rischiamo anche di vedere spazzato via quel sottobosco di imprese medio-piccole, talvolta familiari, talvolta aperte anche al mercato estero, germinato nel dopoguerra attorno a Fiat.

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