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Perché Audi sloggia da Bruxelles

Termina la produzione dell'elettrica Q8 e-tron nell'impianto avveniristico Audi di Bruxelles, il primo a essere dichiarato "carbon zero". Nessun compratore si è fatto avanti con offerte concrete, mentre Volkswagen non intende affrontare le spese per ulteriori conversioni dell'hub fresco di maquillage. Il destino dello stabilimento, che attualmente occupava circa 3mila persone, sembra la dismissione

Si sarebbero presentati almeno 26 possibili compratori interessati a rilevare l’impianto di ultimissima generazione per l’assemblaggio di auto elettriche che Audi intende dismettere a Bruxelles. Ma, nonostante le trattative condotte a tutta velocità per trovare quanto prima una soluzione che potesse salvare, oltre allo stabilimento, pure la forza lavoro, nessuna proposta si sarebbe tradotta in progetti realmente concretizzabili.

L’AUDI CHIUDE L’IMPIANTO DI BRUXELLES?

La notizia arriva da fonti più che mai ufficiali: a dover ammettere il nulla di fatto è stato Gerd Walker, membro del consiglio di gestione della Casa di Ingolstadt con delega alla produzione e alla logistica.

I rappresentanti delle tute blu speravano di riuscire a strappare dall’azienda la promessa di una conversione (l’ennesima, dal momento che l’intero stabilimento è stato recentemente riammodernato) per salvare almeno un centinaio di posti di lavoro.

Ma dato che Volkswagen si è auto imposta un periodo di spending review molto austero e rigido – che potrebbe contemplare anche la chiusura di alcuni stabilimenti in Germania, oltre a quelli in dismissione in Cina – quell’opzione si è rivelata subito inattuabile.

NEMMENO I CINESI SALVERANNO L’HUB

Nelle scorse settimane si erano fatte più insistenti voci secondo le quali Audi, attraverso la Casa di Wolfsburg controllante, fosse in trattative con i cinesi di Nio per la cessione dell’impianto di Bruxelles. La notizia era stata divulgata dall’agenzia di stampa belga De Tijd che aveva riferito di visite di rappresentanti di Nio all’hub belga.

Ma a quanto pare Nio ha detto no. Per i detrattori dei dazi imposti dalla Ue alle auto cinesi sarebbe l’ennesima prova che la misura non ha comunque la forza di attrarre investimenti di Pechino nel Vecchio continente. Secondo il sindacalista Ronny Liedts, di Acv-Csc, a questi punti è davvero “probabile che gli operai perdano il loro lavoro: l’unica cosa che la dirigenza vuole fare – ha denunciato parlando ai giornali locali – è chiudere l’impianto il più rapidamente possibile. Nessuna delle alternative funziona per loro”,

CHIUDE UN IMPIANTO APPENA RISTRUTTURATO

Fondato nel 1949, passato nel 1970 sotto il gruppo Volkswagen, l’hub ha prodotto finora oltre 8 milioni di vetture e adesso si stava apprestando a vivere una seconda giovinezza puntando sulla nuova mobilità. Le sue linee hanno sfornato poco più di 200 mila auto elettriche.

Negli anni scorsi Volkswagen, convinta sostenitrice dell’auto elettrica – forse per lasciarsi alle spalle l’onta del dieselgate – aveva pubblicizzato in modo serrato il maquillage dell’impianto, rimesso a nuovo così da affrontare le sfide industriali connesse alla transizioni ecologica. La Casa di Wolfsburg, proprietaria del marchio Audi, aveva organizzato visite guidate per frotte di giornalisti, reclamizzando i nuovi modi di intendere le fabbriche: piccole, a misura d’uomo, iperconnesse.

ULTIMA TAPPA DI UNA FILIERA MOLTO (TROPPO?) LUNGA

Poi, se si guarda più attentamente, si scopre che l’alta tecnologia con gli spazi ristretti c’entra ben poco: lo stabilimento Audi di Bruxelles è così piccolo in quanto l’hub è solo la tappa finale di una filiera assai lunga e poco green, considerato che le carrozzerie arrivano da Ingolstadt e i moduli delle batterie da Györ in Ungheria mentre il resto da altri fornitori. Forse anche questa sua interdipendenza da altri stabilimenti l’ha reso poco appetibile a possibili compratori cinesi che devono ancora creare in Europa la propria filiera.

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